Quello di raspadori è stato il primo gol su punizione diretta di questa serie A e siamo addirittura alla decima giornata. Stiamo forse assistendo a una crisi del gesto? Forse l’estremizzazione di schemi da play station ha finito per mortificare la leggendaria “punizione in una”, in cui ogni ragazzino, almeno ai miei tempi, si cimentava, cercando di emulare il suo numero 10 del cuore? Che traiettorie col Super Santos! Io le facevo alla Platinì, con tanto di maglietta fuori dai calzoncini e rincorsa felpata che culminava in un accenno di finta prima di calciare.

Il calcio di punizione andrebbe preservato dall'Unicef, andrebbe catalogato dall'Unesco, meriterebbe trattati di calciologia, rappresentando una delle massime espressioni dell'arte calcistica. Un gesto tecnico tra i più spettacolari e mitologici del calcio, d’esclusivo appannaggio di fuoriclasse o, talvolta, estemporanea scintilla di calciatori “normali”. E' l'assolo che lascia a bocca aperta, l’ardimento di chi sfida la fisica, la chirurgia balistica tutta contenuta in un piede.  Una specialità, che regala parabole delle più svariate, ma tutte di egual fascino quando la palla supera la barriera e s’insacca in rete.

Inclassificabili fuoriclasse 
Chi sono stati i migliori 10 specialisti?  Difficile stilare una classifica, a meno che non ci si rifaccia ai numeri, che sono oggettivi e, perciò, assolutamente insindacabili. Ma il calcio di punizione è un’opera d’arte, i suoi esecutori migliori non possono essere catalogati per numeri; sarebbe come dire che Cimabue è più bravo di Picasso perché ha dipinto più quadri. E poi, basta andare su Google e la classifica vi appare in tutta la sua asettica plasticità. Vero è anche che - almeno nello sport è così - la ripetitività d'un gesto ne qualifica veramente l’autore; anche io un giorno segnai su punizione, un gol alla Pernambucano nella piccola porta da calcio a 5, ma ciò non mi ha reso la star del rione. No.  E allora non chiamiamola classifica, chiamiamolo piuttosto il decalogo dei tiratori migliori e mettimali in ordine rigorosamente alfabetico. Così non si offende nessuno.

No, macché! Che barba i decaloghi in ordine alfabeto! Questi sono i calci di punizione! Sono l’arcobaleno, la scintilla, la magia! 
E allora, bando alle classifiche. La parola all’arte.

Un’avvertenza doverosa
Mettendo insieme calciatori contemporanei e del passato, si mescolano numeri e prodezze come se parlassimo di un unico palcoscenico - il calcio - sempre uguale; solo che non è così, perché il calcio cambia, si evolve, si diversifica, modifica le sue dinamiche, le logiche e i suoi strumenti, anche. Perciò, ai “vecchi” vanno necessariamente riconosciuti almeno tre elementi non trascurabili: anzitutto, il numero di partite inferiore da questi disputate (che certo incide sul numero di gol realizzati); poi, il fatto che le barriere non rispettavano sempre (per non dire “mai”) la distanza da regolamento, non essendoci, come oggi, la bomboletta che segna il limen; e poi, last but not least, la “mutazione genetica” della sfera, perché i palloni utilizzati nell’anticristo del calcio non erano quei gioielli di tecnologia che troviamo oggi in campo, erano più pesanti, meno soggetti a subire effetti e certamente meno facili da direzionare.

Tutto ciò riporta all’assunto secondo il quale meglio di un’asettica classifica di numeri è l’illustrazione (modesta e me ne scuso) di questi artisti del calcio e della sublimazione della loro arte.

Il calcio di punizione.

 

Il brasiliano dall’esterno d’oro

Per esempio, non ne ha segnati poi così tanti (ma nemmeno così pochi) Roberto Carlos, 35 in tutto; tuttavia, quando dici calcio di punizione il pensiero corre direttamente a lui, al suo sinistro, alle sue parabole e a quel calcio di punizione allucinante. Sì, allucinante: il brasiliano ha fatto la storia col calcio di punizione contro la Francia nel 1997. È stato un gol che ha sfidato le leggi della fisica e lasciato un’impressione duratura. Un esterno sinistro a 137 km/h, che curva in maniera quasi innaturale, battendo un Barthez ancora incredulo. Forse, e dico forse, il più bel calcio di punizione di tutti i tempi… forse.

 

Dio c’è, ho le prove!

Forse. Perché quanto a leggi della fisica la punizione - indiretta - di Diego Armando Maradona contro la Juventus è proprio un mistero. Ha dell’inspiegabile. Diego ha segnato 62 volte su punizione, ma quel gol ha segnato per sempre la percezione comune di ciò che è umanamente possibile. È il 3 novembre del 1985 e il Napoli sfida la Juventus al San Paolo … al Maradona, va. Una punizione in due dentro l’area juventina, il pallone è a circa 16 metri dalla porta, la barriera non è a distanza regolamentare, così ad occhio dovrebbe essere a meno di 3 metri; da quella barriera si staccano Cabrini e Scirea, i quali nel momento dell’impatto sono a una trentina di centimetri dal piede di Maradona. Tocco di Eraldo Pecci e colpetto d’interno sinistro del Pibe de oro, per un’incredibile traiettoria; la palla sfrutta ogni millimetro di quel poco, pochissimo spazio disponibile per superare la barriera bianconera e infilarsi in porta, alle spalle d’un esterrefatto Stefano Tacconi. Una cosa impossibile, un mistero della balistica, una specie di sorriso della Gioconda disegnato dal più grande calciatore di tutti i tempi, che più lo guardi e meno ci capisci qualcosa. Quel pomeriggio la geometria s’é piegata al prodigio. Sì, la geometria! Perché quel tiro è geometricamente inspiegabile: la parabola è una curva ottenuta come intersezione di un cono circolare e un piano parallelo ad una retta generatrice del cono, ma doveva essere un cono schiacciato per poter planare in rete così rapidamente; forse bisogna considerare quella traiettoria più simile alla sezione di un’ellisse, che sarebbe tuttavia un nodo tridimensionale; o forse è un’iperbole, cioè l'intersezione di un cono circolare retto con un piano che taglia il cono in entrambe le sue falde, ma il cono è troppo stretto.  Anche l’anatomia quel pomeriggio fu costretta a riscrivere tutti i suoi i trattati: non può una caviglia distorcersi in quel modo e dare quella direzione alla palla. Una sola parola, la stessa che un telecronista uruguaiano, Víctor Hugo Morales, letteralmente impazzito al gol del secolo contro l’Inghilterra, gli tributò ripetendola fino allo sfinimento: genio.

Diego, non ci passa” “Toccala un pochito” “Ma non ci passa” “Tu toccala un pochito” “Vabbè, fai come ti pare. Maradona sei te

 

Il portiere matto che faceva scacco matto

E che dire del brasiliano Rogerio Ceni? Un portiere, sì! Il più prolifico della storia (dietro di lui il paraguaiano Chilavert). In una carriera di oltre due decenni, ha segnato 131 gol per il suo San Paolo (1.200 partite, 3 campionati brasiliani, 2 Copa Libertadores e 2 Coppe Intercontinentali), 59 dei quali su calcio di punizione, il resto su rigore. La leggenda nasce il 15 febbraio del 1997: União São João-San Paolo, campionato paulista; punizione dal limite, sul pallone va lui, il portiere matto; due passi, destro a giro e gol. “Magia!”, urla il telecronista di Rede Globo.  Già, una magia. La prima di tante.  Insomma, Ceni incarna alla perfezione il sogno d’ogni appassionato di PlayStation: modificare le impostazioni per far sì che sia il portiere a battere il calcio di punizione dal limite che è appena stato assegnato; e, naturalmente, provare a farlo segnare.  Qual è stato il suo segreto? Semplice, lo volle, fortissimamente volle: “All'inizio calciavo dalle 2500 alle 3000 punizioni al mese in allenamento. Prima che avessi l'opportunità di farlo in partita, sono arrivato a 15000”. 

 

I colpi che Sinisa aveva in serbo

Non era affatto un segreto per i portieri avversari il pericolo che incombeva sulle loro teste, meglio, alle loro spalle, quando Sinisa Mihailovic (pace all’anima sua) si apprestava a calciare una punizione. Un tiro potentissimo, cannonate portentose di una precisione da cecchino. Magiche traiettorie, disegnate col pallone sopra la barriera, che un sacco di volte si sono insaccate mettendo in saccoccia barriere e portieri.  Erano di una bellezza rara, sia quelle battute da fermo, senza prendere la rincorsa, sia con la lunga rincorsa e di potenza. Alla qualità dell’esecuzione abbinava infatti una potenza micidiale, che era stata oggetto anche di un particolare studio del Dipartimento di Fisica dell'Università di Belgrado, il quale aveva quantificato in 160 km/h la velocità media dei suoi bolidi. Ha fatto gol su punizione per ben 61 volte, tre volte nella stessa partita. Già, è l’unico calciatore ad avere segnato un’incredibile tripletta tutta su punizione diretta (Giuseppe Signori fece lo stesso nel ‘94 contro l'Atalanta, ma due delle punizioni vincenti avevano visto il precedente tocco di un compagno). Succede tutto contro la Sampdoria, sua ex squadra, in porta c’è il mal capitato Ferron; tre gioielli, uno più bello dell’altro, di cui l’ultimo da una distanza siderale (35 metri); era il 13 dicembre del 1998, a quel tempo Sinisa giocava con la Lazio, la partita finisce 5-2. Detiene inoltre - con Pirlo - il record di gol su punizione nella nostra massima serie: 28. I suoi segreti? La rincorsa breve, che sorprendeva i portieri, la tendenza a usare diverse tecniche di tiro, nonché l'insolita routine di esercizio, che comprendeva l'impiego di barriere artificiali poste a una distanza inferiore a quella prevista in partita. “Guardavo il portiere fino all'ultimo e decidevo di conseguenza. Il resto lo faceva la convinzione: non c'è mai stata una volta in cui, prima di battere, non fossi stato convinto di segnare".

 

Le roi

Quando si parla di convinzione, di personalità, di carisma non si può non pensare a le roi Michel: il re delle punizioni per antonomasia. Platini ne ha trasformate 60, tutte di rara bellezza, d’una eleganza pari solo a quella del suo esecutore. Alcune scaltrissime, altre imprendibili.  Più che il re sole del pallone, un architetto, che faceva prima salire e poi scendere quella palla, come fosse la punta di una matita guidata da sapiente mano… ehm, piede. Le punizioni di Platini erano un vero e proprio stato di grazia. E anche lui ha segnato un gol su punizione in due dentro l’area. Un gol molto simile, quasi uguale, a quello segnato da Maradona, però dall'altro lato dell'area (lui era destro); lo segna con la maglia della Nazionale francese, sulle spalle ha un improbabile numero 8, perché non è ancora il re dei transalpini, bensì uno splendido principino predestinato allo scettro. Inutile descriverlo e descriverne l’irrazionale che c’è in quel gesto, l’ho fatto qualche riga sopra parlando del prodigio maradoniano. Due gol quasi uguali, egualmente sovrumani, segnati dai due numeri dieci più forti degli anni ‘80 e della storia.

 

Da Corso (anzi Didì) a Pirlo: la parabola - discendente o ascendente, fate voi - della foglia morta che divenne maledetta

La storia di questo meraviglioso sport ultracentenario ci riporta indietro di qualche decennio, ci riporta a Mariolino Corso e alle sue punizioni a foglia morta. Il piede sinistro di Dio calciava con l’interno del piede e una postura armoniosissima, il pallone seguiva una traiettoria praticamente lineare in fase di ascesa, alzandosi sopra la barriera, per poi scendere successivamente nel lato scoperto dal portiere.  Le "foglie morte", ahimè, sono scomparse dai campi di calcio e non c’entra niente il clima. La ragione, più che ambientale, è di natura tecnica: i giocatori di oggi hanno per lo più i piedi ruvidi e i polpacci di marmo, non posseggono la grazia nel tocco e non hanno l’educazione di colpire il pallone con gentilezza. Corso ne divenne l’immortalante, traendo ispirazione dai tiri a 'folha seca' del grande Didí ed avendo suoi eredi in Juninho e Pirlo, con la loro “maledetta”. C’è una sua punizione più bella e più magistrale, perché più importante, di tutte le altre… rigorosamente a foglia morta, ovviamente. Siamo nel maggio del 1965 e di fronte ci sono la grande Inter di Helenio Herrera e un Liverpool che era riuscito a vincere per 3-1 la gara di andata della semifinale di Coppa dei Campioni. Serve un mezzo miracolo ai nerazzurri, che però già all’ottavo del primo tempo sbloccano la partita: Mario Corso si aggiusta la palla per una punizione dal limite, fa qualche passo indietro e poi con la sua solita breve rincorsa piazza la palla oltre la barriera, nell’angolo dove Lawrence non può arrivare; passa un minuto e Peirò mette anche il 2-0. Una notte magica per l’Inter, che con Facchetti porterà poi a casa vittoria e passaggio in finale. Con il seguito che già conosciamo: vittoria contro il Benfica per 1-0 e seconda Coppa in bacheca.

Nella bacheca personalissima di Juninho Pernambucano, vero erede in salsa moderna di Corso, ci sono ben 77 gol su punizione. Record assoluto! Col suo destro magico e velenoso, è il profeta benedetto della punizione a scendere, antesignana della maledetta, appunto una rivisitazione in chiave avveniristica, e coi palloni moderni, della foglia morta, che fu inventata da Didì e cristallizzata nel tempo dal mitico numero 11 nerazzurro. Juninho ha ispirato un’intera generazione di tiratori.  In occasione di brevi distanze si portava tre passi indietro e a sinistra della palla, prendeva una rincorsa perpendicolare al punto di battuta e focalizzava gli occhi sul pallone, poi sulla porta e di nuovo sul pallone: la parte superiore e inferiore del suo corpo si controbilanciavano a vicenda e l'utilizzo del collo del piede gli permetteva di colpire in modo da farla viaggiare più velocemente possibile verso il punto scelto. Dalla lunga distanza, invece, prendeva una rincorsa con quattro passi dietro rispetto alla palla ma più diretta rispetto alla precedente per dare più slancio possibile; manteneva il busto e la parte superiore del corpo più eretti al momento dell'impatto perché gli permettevano di imprimere più forza al pallone; il punto di contatto nella parte centrale della palla con le famose "tre dita" permetteva il tipo di movimento che poi abbiamo sempre associato alla sua figura. Secondo molti, Juninho è il più grande e versatile tiratore di calci di punizione che sia mai vissuto. La sua capacità di far volare la palla in aria, girando in diverse direzioni prima di trovare la rete, era fenomenale. La distanza faceva poca differenza, che fosse a 20, 30 o 40 metri dalla porta, i tiri erano spesso di tale purezza, qualità e ferocia che i portieri semplicemente non potevano farci nulla.

“Durante la sua permanenza al Lione, quell'uomo ha fatto fare alla palla cose davvero straordinarie. […] Non ha mai sbagliato. Mai. Ho controllato le sue statistiche e ho capito che non poteva essere solo un caso.  […] L’ho studiato, ho raccolto dvd e vecchie fotografie delle sue partite e alla fine ho capito. Calciava in maniera particolare, ma non capivo il metodo. Andavo in campo e provavo a imitarlo, ma all’inizio senza risultati. […] Gli esperimenti sono proseguiti per settimane e, siccome i pensieri migliori nascono nei momenti di massima concentrazione, e la massima concentrazione, come insegna Inzaghi, si raggiunge anche cagando, l’illuminazione è arrivata mentre mi trovavo in bagno […] La magia che stavo inseguendo non dipendeva dal punto in cui colpivo la sfera, ma dal come: Juninho non la prendeva con tutto il piede, bensì con sole tre dita. Il giorno dopo sono andato prestissimo a Milanello e senza togliere nemmeno i mocassini ho cominciato a provare. Fu subito un tiro perfetto, all’angolino. Finalmente avevo battuto il fantasma di Juninho". Firmato Andrea Pirlo. Proprio così. Ad essere maggiormente ispirato dal campione di Recife fu il nostro Andrea Pirlo, che qualificò il gesto tecnico del brasiliano, individuandone le specifiche caratteristiche dinamiche, fisiche e motorie e dando ufficialmente vita alla maledetta.  La maledetta: utilizzare soltanto le prime tre dita del piede, mantenendolo dritto e fermando la gamba subito dopo il contatto. Ci sono forze diverse in gioco in quei momenti, ma forse quello più importante per questo tipo di azione è l’effetto Magnus: si tratta di un principio fluidodinamico (l’aria è un fluido) e parte dal presupposto che sul pallone sia stato impresso un moto rotatorio (altrimenti la palla procede semplicemente in linea retta secondo la direzione data).  Pirlo ha segnato circa la metà dei gol realizzati dalla sua Musa brasilera, ma ne è stato indubbiamente il suo discepolo prediletto. Ed è senza dubbio uno dei migliori, se non il migliore, tiratori italiani di tutti i tempi. 

 

L’ultima perla di O’rei

Da un brasiliano al brasiliano. Pelè ne ha realizzate 70, sebbene non sia propriamente ricordato per le punizioni. Eppure, tra i suoi innumerevoli colpi, c’erano anche i calci di punizione. E c’è chi sostiene che il segreto delle “tre dita” fosse contenuto nello scrigno della sua classe incommensurabile. Ma forse non è così, forse, più banalmente, tutto il calcio è contenuto in quello scrigno. Tutto! Prediligeva il tiro di potenza, che però risultava al contempo più preciso di un orologio svizzero, pardon, brasiliano. Inoltre, il suo ultimissimo ultra millesimo gol fu proprio realizzato su calcio di punizione, l'1 ottobre del 1977, giorno dell'addio al calcio della Perla nera. Per l'occasione, fu organizzata un'amichevole tra il Santos e i New York Cosmos (dove Pelé giocò a fine carriera), in cui O’ Rei scese in campo, un tempo a testa, con entrambe le maglie, realizzando, appunto, su punizione, con la casacca della squadra statunitense, la sua ultima rete.

 

Da Pelè al Pelè bianco

Poi c’è il Pelé bianco: Arthur Antunes Coimbra detto Zico. Gol su punizione: 62. È uno dei migliori tiratori di tutti i tempi. Ha fissato lo standard e ha mostrato quanto le punizioni potessero essere vitali nel cambiamento del volto del calcio negli anni ’70 e ’80. Per Zico calciare una punizione era quasi come battere un rigore: era il suo marchio di fabbrica. Non è un caso se proprio con questa sua specialità Galinho bagna il suo esordio in serie A. Succede l’11 settembre del 1983, al Ferraris l’Udinese incontra il Genoa, la partita finisce 0-5, Zico sigla l’ultimo gol della cinquina, il suo primo in Italia: è l'ultimo minuto, punizione dal limite per i friulani; lo stadio, che dovrebbe fischiarlo, lo invoca, lui non si fa pregare e calcia magistralmente, infilando la palla nel sette, con Martina completamente fermo.

 

Messi e Ronaldo: punizioni d’oro

Ma non si può dire calcio di punizione e non associarlo ai due fenomeni degli anni 2000, che si sono contesi record e palloni d’oro: Leo Messi e Cristiano Ronaldo. Il fresco, freschissimo pallone d’oro argentino è andato a segno 65 volte da calcio piazzato. L’ultima volta lo scorso settembre, un gioiello confezionato al Monumental di Buenos Aires, nel match di qualificazioni mondiali, contro l’Ecuador. E con un capolavoro si è presentato in MLS: gol partita al 94esimo, che ha fatto impazzire i tifosi: una punizione monstre, con palla sulla parte destra della lunetta, calciata di sinistro, a disegnare un arco perfetto sopra le teste della barriera e ad insaccarsi sul lato opposto. Da vicino, da lontano, da destra, centro o sinistra, il suo interno mancino è una sentenza.  Col destro e con più potenza l’altro asso degli ultimi 20 anni, il portoghese CR7: ne ha messi a segno 58. Per ben tre volte, l’uomo dei record ha realizzato una marcatura multipla su calcio di punizione in una singola partita. La prima risale al 2008, con la maglia del Manchester United, quando ha messo a referto una punizione per tempo contro lo Stoke City. Le restanti due si registrano con la camiseta del Real Madrid, di cui una nel 2009, in Champions League, nella vittoria per 5-2 ai danni dello Zurigo, e l’altra due anni dopo, nel 2011, in un match de La Liga contro il Villarreal. Iconica la sua rincorsa, famosissimo il suo inspirare ed espirare, magnetico il suo sguardo prima di calciare. Al resto ci pensa il suo piede, il suo talento, la sua grandezza e …Sium! La sua ultima perla qualche giorno fa, in Saudi League: un bolide che ha fissato sul definitivo 2-1 il risultato del match contro il Damac. 

 

Lo Spice Boy e Rambo: i reali applaudono i loro sudditi 

Cristiano Ronaldo vuol dire Manchester United e a Manchester hanno ammirato non solo le sue, ma anche le punizioni di David Beckham. Uno specialista, il miglior britannico di tutti i tempi in questa esecuzione.  È uno dei maggiori interpreti di calci piazzati nella storia del calcio mondiale. Sono 65 le reti siglate su punizione tra club (Manchester United, Real Madrid, Milan, Los Angeles Galaxy, Paris Saint-Germain) e Nazionale inglese.  Ma la punizione che forse resterà per sempre impressa nel suo cuore, e nei cuori degli inglesi, è quella calciata proprio all’Old Trafford di Manchester il 6 ottobre del 2001: all'Inghilterra serve un pareggio contro la Grecia per accedere alla fase a eliminazione diretta dei Mondiali in Corea e Giappone del 2002, solo che è sotto di un gol; in pieno recupero Beckham disegna una traiettoria beffarda da circa 25 metri, una conclusione arcuata eppure tesa, potente eppure precisissima, un arcobaleno che s’infila vicinissimo all’incrocio dei pali e fa mancare il terreno sotto i piedi al portiere greco e fa esplodere il "suo" stadio, la sua gente, una nazione intera, regina compresa.

Anche i reali d’Olanda hanno ammirato un loro “suddito” fare magie da calcio piazzato: sto parlando di Ronald Rambo Koeman. È il difensore che ha segnato di più nella storia del calcio: 253 reti in 763 gare ufficiali, 60 da calcio piazzato. E mettiamoci pure i reali di Spagna, perché è grazie a una delle sue poderose punizioni che il Barcellona vince la sua prima Coppa dei campioni contro la nostra Sampdoria. Stadio di Wembley, 20 maggio 1992: al 7’ del secondo tempo supplementare un bolide a 188 km/h disintegra i sogni blucerchiati, consegnando ai blaugrana vittoria e trofeo. “Non credo di esagerare se dico che l'ho guardato più di mille volte". R.Koeman.

 

Legrotaglie, chi? 

Sì, d’accordo, tutti fenomeni. Però … Nè Maradona, nè Platini: nessuno calciava le punizioni come Legrotaglie. Victor Legrottaglie è stato il vero artista del calcio piazzato, capace di scavalcare qualunque barriera, disegnando traiettorie illeggibili per i portieri avversari ai quali non rimaneva altro che raccogliere il pallone in fondo al sacco. Quasi del tutto dimenticato, El Maestro è stato, senza ombra di dubbio, uno dei talenti più fulgidi della storia del calcio argentino. Per lui si scomodò Santiago Bernabeu in persona, che, innamorato della sua classe immensa, provò in tutti i modi a convincerlo a trasferirsi a Madrid. El Maestro però decise di rimanere fedele ai colori della squadra della sua città, il Gimnasia y Esgrima di Mendoza, declinando la proposta del Real e degli altri top club che nel corso degli anni s’interessarono a lui. Era un cecchino infallibile, non esisteva antidoto alle sue traiettorie velenose: quando sistemava il pallone sulla sua mattonella, il portiere avversario sapeva già che probabilmente lo avrebbe raccolto in fondo alla rete (cosa che è successa per ben 66 volte). Ci sono due aneddoti che meglio non potrebbero spiegare la sua dote unica nel tirare le punizioni.  Primo aneddoto. Si narra che nel corso di una sfida tra Gimnasia e Talleres, l’arbitro concesse un calcio di punizione dal limite in favore del Lobo: sul punto di battuta si presentò come sempre Legrottaglie, ma l’autore del fallo protestò con il direttore di gara, sostenendo di aver steso l’avversario all’interno dell’area di rigore. Allora, i compagni gli domandarono se per caso gli avesse dato di volta il cervello, ma quello rispose: “No, i matti siete voi. Contro Legrotaglie meglio un calcio di rigore che una punizione dal limite”. Non si sbagliava: Legrottaglie piazzò il pallone all’incrocio dei pali, come sempre! L’altro aneddoto. Durante un incontro col Gutierrez Sport Club, al Gimnasia venne assegnato un gran numero di punizioni dal limite, ma incredibilmente il pallone non centrava mai lo specchio della porta, neppure quando a calciare era Legrottaglie. Si verrà poi a scoprire che la ragione di quell’insolita imprecisione era una scommessa tra Los Compadres: vinceva non chi faceva gol, ma chi riusciva a colpire in testa il fotografo appostato dietro alla porta avversaria; inutile dire che a portarsi a casa l’intera posta fu El Maestro…

 

Ps: il più potente della storia

Questo mio excursus sarebbe monco se non chiosassi menzionando il calcio di punizione più potente della storia del calcio mondiale. Può un pallone, calciato da fermo, raggiungere la velocità di 221km/h? Sì, può!  Il suo autore è il brasiliano Ronny Heberson. Ai tempi indossava la maglietta dello Sporting Lisbona e, durante un match contro il Naval, lasciò partire una conclusione da 221 km/h. Un missile di forza inaudita, il tiro più forte di sempre.