Sette mesi. È un lasso di tempo indefinibile, un ponte che unisce due lembi di terra, l’una bruciata, l’altra promessa; è lo scorrere carsico della memoria, la corrente dell’esistenza, è un battito di ciglia, la veglia d’una sentinella intirizzita. 

È un tunnel! Per te non è altro che un tunnel. Un po’ come quelle gallerie che non finiscono mai, che zittiscono le radio, rarefanno l’aria, rabbuiano il mondo, attraggono lo sguardo dei bambini verso luci intermittenti e che prima o poi finiscono. 

Sette mesi sono tanti e possono essere pochissimi. Sono meno di una gestazione, durano un paio di stagioni.

C’è tempo, sì, e il tempo è un concetto relativo, vedrai.  Il tempo è gratis e non ha prezzo, non puoi possederlo però puoi usarlo, non puoi conservarlo però puoi spenderlo. il tempo è galantuomo, se non ti sputa in faccia le tue stesse disillusioni. Il tempo vola, se non tarpa le ali ai tuoi slanci. Il tempo è tuo, se non è lui a soggiogarti.

Può essere infinito, può essere breve, può generare tarli oppure riflessioni. E se nei tarli marcisce la mente, nelle riflessioni maturano le idee migliori. Matura l’uomo. Quello che in te non è ancora sbocciato, perché in fondo non sei altro che un ragazzino cresciuto troppo in fretta, ma non abbastanza; hai indossato grandi orologi senza avere abbastanza polso, hai giocato un gioco più grande di te, hai pensato di volare e invece precipitavi. 

Ma non demoralizzarti, c’è un senso in tutte le cose, anche nel cadere: del resto, è da lì che ci si rialza. Ci vuole tempo. Che siano sette mesi o una vita intera, non importa, purché lasciamo che esso “faccia il mestiere suo”.

Il tempo può guarire le ferite o far macerare la rabbia, è unguento di un’anima che si metta in pace oppure benzina sul fuoco per i focosi. In fin dei conti è la misura di quello che siamo, “è il tempo che ci misura, che ci fa uomini o soltanto frenesia”.

Sette mesi può essere un sacco di tempo, se sprecati; oppure possono durare un lampo, se usati bene.

Lì sprecherai, se ti farai sopraffare dal rimpianto, che è “il passatempo degl’incapaci”. Li sprecherai, se li regalerai a quel Guru che è il cellulare; fidati, non sa proprio un bel niente di te, della vita, del mondo.  Li sprecherai, se la rabbia immobilizzerà i tuoi preziosi arti, se lo sconforto cristallizzerà i tuoi errori, se la fragilità ti frantumerà in 231 pezzettini. Uno per ogni giorno, un pezzettino d’anima che ogni giorno si staccherà dal tuo corpo. Oppure no. Oppure quel pezzettino d’anima diventerà, mese dopo mese, una crosticina robusta, che alla fine comporrà una corazza incredibilmente resistente. Dipende da te. 

213 sono i giorni contenuti in sette mesi.

Se in ognuno di quei giorni ti sveglierai talmente eccitato per l’allenamento che ti aspetta, da non vedere l’ora di uscire da casa … Se ognuno di quei giorni lo vivrai tra la gente che davvero ti vuol bene e che saprà ricavare un tuo sorriso da un momento di sconforto o saprà richiamarti ai tuoi doveri nei momenti d’eccesso… Se in ognuno di quei giorni “riuscirai ad avere fiducia in te quando tutti ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio”… Se in ognuno di quei giorni avrai letto una pagina in più d'un qualsiasi libro e un post di Instagram in meno… Se in ognuno di quei giorni farai della noia una mappa su cui ricercare e ricercarti continuamente, se comprenderai, insomma, che anche la noia può essere salvifica …  Se in ognuno di quei giorni “riuscirai a mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono, e te ne fanno una colpa”… Se in ognuno di quei giorni giocherai al pallone, giocherai alla Play, giocherai a padel o giocherai come ti pare e non giocherai nessun risultato…Se ogni giornata l’unica tua scommessa sarà “portarla a casa” con la serenità e la tenacia di chi è nel tunnel e sa che l’uscita c’è… Se ognuna di quelle sere andrai a letto stanco morto per la fatica del dovere, ma soddisfatto per averlo assolto interamente; e se nel sonno, o ad occhi aperti, “riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone”… “Se riuscirai ad aspettare senza stancarti di aspettare”… Allora sì che arriverai alla fine del tuo tunnel! 

“Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare”. Aspetta e non disperare, ché il cielo prima o poi cambia colore. 

Sì perché l’uscita c’è, c’è sempre: basta contare i giorni, ad uno ad uno, come fossero gemme preziose da raccogliere in quel sacchetto resistente che si chiama esperienza. Contali, ad uno ad uno, quei giorni; e raccontati quello appena trascorso e aspetta quello che verrà. “In fondo, domani è un altro giorno”: aspettalo, immaginalo, progettalo.

Ma cogli il presente, cogli ogni attimo che vivi, purché sia l’attimo giusto, perché ogni attimo dell’attesa può essere inerzia o vita, può essere assuefazione o speranza, può essere strascico o desiderio. “Cogli l’attimo”, sì, ma non dar retta a Orazio, si sbagliava: il domani è l’unica cosa su cui devi fare affidamento.

Domani: quella è l’uscita. Ogni domani ti avvicinerà sempre più a quell’uscita. Che c’è, c’è sempre. Ed è bellissima, sai? Più buio e lungo è il tunnel, più luminosa è la luce che ti aspetta alla fine.

Alla fine di questi stramaledettissimi sette mesi. Benedicili, invece: solo così potranno essere la gestazione della tua rinascita, anziché agonia.

Sette mesi. Sono il risultato di un accordo; sono il male minore che, però, fa un male cane. Lo so. 

Ma “è tutto relativo”, tutto diventa marginale, tutto scorre, tutto scompare al cospetto del silenzio che farà attorno a te. È prezioso, quel silenzio. Non sottovalutarlo. 

Il tuo successo e la tua rovina sono solo estemporanei, chiassosi falsari. L’originale sei tu, quello che hai dentro, la voce del tuo silenzio, il tuo cuore, le tue origini, quel bambino che è cresciuto tra le strade di Piacenza e la cui essenza, pura, non è alla mercé del tempo. Quella no. Il tempo, sempre lui, aggiusta tutto o guasta tutto, ma non intacca quell’essenza. Forse la soppianta; in combutta coi moti ondosi della vita, magari la rinchiude nello sgabuzzino della coscienza; ma quell’essenza è sempre lì e riemerge, se la invochiamo. Ci sente e riemerge.

E dunque, che aspetti? “Metti le ali, bambino”. Metti le ali ad ognuno di quei benedetti 213 giorni e vola verso il futuro che ti spetta di diritto. Il diritto naturale dei campioni. 

Vedrai che non è poi così lontano e comunque il futuro non è di chi lo aspetta e basta, è di chi lo prepara. Aspetta e preparati al meglio. C’è sempre un altro gong dietro l’angolo d’ogni pugile al tappeto; e il suono delle campane, per quanto distanti esse possano essere, non è mai irraggiungibile. Sì, “l'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza,  nei primi giorni di malato sole la primavera danza”.

Non c’è primavera senza un freddo inverno che ne accresca il desiderio; e non c’è inverno che non sia lungo e freddo. Lo sarà di sicuro il tuo. Sarà freddissimo e a volte non basteranno la coperta della nonna e il latte caldo nella tazza dell’infanzia, a lenire i tuoi patemi. No. Dovrai scaldarti al fuoco che cova nelle tue stesse viscere, dovrai rannicchiarti su te stesso, dovrai sfregare le tue stesse mani o cospargerle del tuo stesso fiato. Dovrai avere fiato lungo, sappilo. 

Sette mesi. 

Vedrai i tuoi compagni scendere in campo e ti sembreranno le immagini in bianco e nero di un vecchio film che hai vissuto. Ti sembrerà tutto un triste finale, vedrai tanto nero e poco bianco. Vedrai e piangerai. Non vergognartene: le lacrime purificano lo spirito e sono messaggere di verità.

Le tue verità! Non quelle dei fatti, non quelle delle carte, non quelle della gente. Bensì, quelle che si sedimentano nei fondali imperscrutabili dell’anima e che riemergono, se calpestate dalla solitudine più profonda.  E lì che ci riscopriamo, è lì che riaffiora ciò che veramente siamo. È lì che ritroverai te stesso e lo riporterai in superficie, di nuovo fiero, ancora solare.

Sette mesi. 

Non saranno mai lunghi quando quest’ultimi sette giorni (o giù di lì). Ti hanno sbattuto in prima pagina, ti hanno messo all’ultimo banco, ti hanno maciullato, fatto a pezzi. È il prezzo. 

Ma non ti preoccupare, passa. Passa sempre. Il pubblico ludibrio è una strana candela, capace d’una prima fiammata violentissima e d’uno scioglimento repentino.  I riflettori si spegneranno, tu passerai la maggior parte del tuo esilio nel dolce oblio, dove colpe ed errori trovano ristoro.

Ti lasceranno in pace, ma ricorda che è un’altra la pace che dovrai ricercare: è quella interiore, che è figlia della consapevolezza.  Perciò, tu no, non dimenticartene. Non dimenticarti degli errori, gli sbagli, le bugie. Non dimenticarti di tutti gli autogol che hai fatto a te stesso. Perché la consapevolezza è la tua arma migliore. 

La cicatrice è profonda e non la troverai mai passandoci sopra il dito, perché è l’anima che adesso sanguina. Cercala, quella cicatrice, non smettere mai di cercarla, tra le maglie fitte del tuo vivere quotidiano, tra le cianfrusaglie dei tuoi umori, tra i tuoi tanti perché. Ogni volta che la troverai, ricorderai, imparerai.  Quella cicatrice ti dirà chi sei stato e chi sei veramente; ti indicherà la via, quella che avevi smarrito e quella che hai ritrovato, se la ritroverai. “Ogni cicatrice è un autografo di Dio”, conservalo gelosamente. 

Buona vita. 

E scusa per le troppe citazioni. Forse ha ragione il buon Crepet (leggi qualcosa di suo, te lo consiglio), quando dice che chi va per citazioni è un perfetto cretino. Il fatto è che non ho niente da insegnarti, io. Queste mie modeste righe vogliono semplicemente essere l’arrivederci di un tifoso a un giovane calciatore italiano. Anzi, no. Un cosa da insegnarti ce l’ho. Rifugi gl’insegnamenti di chi pretenderà di dirti quello che devi e quello che non dovevi fare: è tutta viscida saponata, su cui farti scivolare ancora. Ascolta il tuo cuore e le persone che al tuo cuore sanno parlare (non affannarti a cercarle, son sempre quelle, sempre le stesse).

Arrivederci, Nicolò.

E sappi che non hai niente da farti perdonare. Solo, chiedi scusa a te stesso, per questi sette mesi in cui dovrai smettere di essere Fagioli e trovare il coraggio di chiamarti semplicemente Nicolò. Non è che poi suoni così male …