Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”. Pure io, Roy. 

Io ho visto l’Inter vestirsi d’arancione; e sì, ho financo immaginato navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäus… Ma l’Inter in arancio proprio no, non me la sarei mai immaginata.
Arancione è il colore delle albe migliori, il colore del sole che tramonta sul mare, di coriandoli, palloncini e caramelle. Arancione è il colore della mia Sicilia, aspra e succulenta come le arance di Ribera; è mescolanza di passione e speranza, di vita ed energia, di attesa e ripartenza. Arancione è il colore dell’eroiche rivoluzioni, degli Hare Krishna, dell’arte di Van Gogh, di Pel di carota e di uno spritz a bordo piscina, dell’Olanda regina di mulini, tulipani e calcio totale. 

Ed è il colore dell’Inter. Già!
Martedì 24 settembre 2023, primo turno di Champions League: Real Sociedad-Inter. Sì, è proprio l’Inter quella squadra lì, in maglia arancione!

"Che strano!": l'abbiamo esclamato tutti, l'abbiamo pensato tutti. L’Inter in arancione sembrava una bislacca fotografia di undici liceali goliardici, un apparente (solo apparente) paradosso, un ghiribizzo cromatico. Ad alcuni è piaciuta (a me è piaciuta), per altri è stata pura “dis-armocromia” (direbbe la Schlein e beato chi la capisce), per il marketing è grasso che cola.

È multiculturalismo e stile urban, dicono dall’emisfero Nike... Sarà! 
Ma perché l’arancione? Ne abbiamo viste, di maglie indosso ai meneghini: il nerazzurro, ovviamente, in ogni sua possibile e immaginabile combinazione geometrica, retta o persino sghimbescia; poi c’è il bianco - seconda maglia abituale - lindo come le lenzuola della prima notte o a quadretti come la tovaglia della domenica, storico come una finale di Coppa dei campioni, ordinario come un’amichevole di fine estate.
E poi c’è stato il nero, come il carbone d’una befana che spesso non ha mangiato il panettone. C’è stato il giallo, indossato a più riprese come una strana febbre che ogni tanto spunta (ne conservo una con la scritta Fiorucci davanti).
C’è quella recente un po’ così… celestiale, ché quando Lukaku la indossava sembrava Kunta Kinte vestito da chierichetto; e quella celeste cielo, ché Barella sembrava un nuvola a forma di centrocampista.
Quella verde “pisello scaduto” (parole del mio bambino, io non c’entro) e quella verde militare con strisce color verde scuro - targata Pirelli - utilizzata solo una volta, in un match contro il Napoli nella stagione ‘95/‘96; quella a strisce orizzontali e rotondeggianti grigie e verdi, che ci fece impazzire di gioia nella finale di Coppa UEFA tutta italiana (contro la Lazio), col Fenomeno che stordiva anche noi con quelle gambe che parevano elementi d’una giostra allucinata; quella scudocrociata del ‘28 e del centenario, che certo contribuiva all’idea, che abbiamo dei nostri beniamini, di cavalieri senza macchia.
E tante altre ancora, che a descriverle tutte ci vorrebbe un’intera redazione di VXL, che si mettesse lì a correggere pagine e pagine di parole in libertà. 

Infinite maglie, dalle molteplici sfumature, motivi e fantasie; a V o girocollo; senza stelle e poi con una stella … Inzaghi, quest’anno la seconda, giusto? Talvolta con coccarda tricolore, talaltra con scudetto, troppo spesso senza l’una né l’altro; a maniche lunghe o a mezze maniche, per mezze calzette o per campioni di lungo corso; col Biscione dei Visconti o senza; baciate e poi tradite, sudate, strappate, tolte e sventolate come drappi di giubilo, scambiate col “nemico”per far pace o tirate in pasto a Curve voraci.

Ma l’arancio proprio no, non me lo sarei mai immaginato. E vedere Lautaro e company con quei colori addosso, gusti personali a parte, ha messo a dura prova la nostra stessa appartenenza, quasi ci ha causato una crisi d’identità. Il toro argentino sembrava la riproduzione in miniatura di Marco Van Basten (complimento migliore non saprei proprio fargli), Asllani un monaco tibetano in perenne meditazione, Simone invece aveva la solita camicia bianca, ma all’intervallo ne aveva già cambiato sei e s’apprestava a sudare la settima.
Insomma, fino all’ottantasettesimo altro che arancione! Faceva più buio di mezzanotte.

Poi il pareggio e quello strano colore, acceso come un televisore sintonizzato su Paramount plus, ci sembrò lo stesso strano, ma almeno non una iattura.
Vero è che ormai si son tutti fatti prendere la mano, con ste terze e quarte maglie, e che ne vediamo di tutti i colori (sul vero senso della parola), ma l’Inter in arancio … chi l’avrebbe detto?
Questo perché abbiamo la memoria più corta di un pigmeo, perché in realtà l’Internazionale in arancione è storia. In altre tredici occasioni, infatti, i nerazzurri, pardon, gl’interisti hanno indossato maglie di quel colore.

Il primo utilizzo risale addirittura alla stagione 1937/1938, quando all'epoca l'Ambrosiana vinse il campionato, grazie alle prodezze di Peppìn Meazza, alle parate di Perucchetti e al fosforo della mezz’ala Ferrari, incantando gli spettatori assiepati all’Arena civica (le luci a San Siro per l’Inter si accenderanno solo nel ‘47). All’epoca la maglia di colore diverso non era un vezzo del merchandising e non rispondeva a nessun capriccio di nessuna multinazionale. All'epoca la squadra di casa cambiava divisa, utilizzando la seconda, nel caso in cui la squadra ospite utilizzasse colori simili: era gesto di cortesia, insomma. Ecco perché il 3 aprile del 1938, nella partita contro lAtalanta (la quale assunse i definitivi e odierni colori nerazzurri dal 1920, dopo un’iniziale maglia bianconera), l’Inter scese in campo vestita d’arancione, imponendosi per 1-0, grazie al gol di Ferraris II.

Tra il 1941 e il 1958 i nerazzurri utilizzarono la divisa arancione in altre dieci occasioni. Le foto in bianco e nero dei vari Angelillo, Lorenzi e Skoglund testimoniano l'utilizzo a San Siro della maglia di questo colore; altra testimonianza è quella del 17 settembre del 1953, quando il settimanale sportivo illustrato della Gazzetta dello sport uscì in edicola riportando in copertina un’azione di gioco dell’Inter proprio in maglia arancio.
Colore che fu poi accantonato per quasi cinquant'anni.
Ma, direbbe Vico, nel calcio è un continuo corsi e ricorsi. Così, l'arancio si rivede nella stagione 2000/2001 e in quella successiva.

Nella stagione 2000/2001 non porta bene, anzi. La squadra, allenata da Marco Tardelli, subisce un sonoro 6-1 in Coppa Italia, contro il Parma. È l’Inter di Cirillo, Ferrari, Simic, Serena, Vampeta, Cauet, Gresko … della serie: non è stata certo colpa dell’arancio. 
L'anno successivo viene riproposta per ben due volte: in occasione di un’amichevole e nuovamente in Coppa Italia, contro l'Udinese (la sfoggiano Ronaldo, Adriano, Vieri e compagni).
Non solo, ma - udite, udite - secondo lo storico dell’Inter Francesco Ippolito, l’arancione è il colore più utilizzato dall’Inter per le maglie di riserva, ovviamente se si esclude il bianco.
Inoltre, l’arancio restituisce alla nostra fragile e nana memoria un’antica pratica del calcio milanese, ormai perduta: il MilanInter United. L’arancione è infatti il colore utilizzato anche, in alcuni frangenti, nella cosiddetta "mista", la formazione che negli anni passati vedeva scendere in campo una rappresentativa, per l’appunto mista, di calciatori di Inter e Milan.

Bisogna comprendere che dagli albori del calcio meneghino, sino ai primi anni ottanta, le due sponde milanesi hanno più volte unito forze e giocatori sotto gli stessi colori.
Era il 2 giugno del 1907 – l’Inter ancora neanche esisteva – quando la Milano calcistica scendeva compatta in campo per affrontare gli svizzeri del Grasshoppers, riunita per la prima volta indossando la stessa casacca.
Già al termine degli anni venti si tentò di imbastire all’ombra della Madonnina quanto già accaduto a Firenze, Napoli e, in parte, Roma, quando il regime fascista attuò una serie di accorpamenti forzati, volti a ridurre drasticamente il numero di formazioni calcistiche presenti in ogni città. Ai nastri di partenza della stagione 1928-29 erano ben tre le società meneghine in massima serie, sicché l’Inter e la neopromossa Milanese, in virtù del loro peggior coefficiente rispetto al Milan, dovettero forzatamente unirsi per dare vita all’effimera Ambrosiana, che un anno dopo diventerà l’Ambrosiana Inter nerazzurra, antenata dell’odierna Internazionale. 
Poi ci fu il MilanInter United vero e proprio: un esperimento calcistico che ha attraversato il Novecento, consegnando alla memoria sfide leggendarie, formazioni da sogno e, soprattutto, un paio di maglie inevitabilmente uniche… appunto!
Questo ibrido in salsa meneghina, al tempo stesso tanto straniante quanto affascinante, ebbe il suo periodo di gloria nel secondo dopoguerra, quando peraltro tali unioni calcistiche godevano di un discreto seguito in tutto il continente.

In tutto, 23 incontri amichevoli, in cui le varie anime del tifo cittadino misero da parte il campanilismo, per riunirsi unicamente sotto il nome di Milano: per esempio, quando, il 27 novembre del 1949, il MilanInter United affrontò l’Austria Vienna, per celebrare il 50° compleanno dei Diavoli; oppure l’amichevole organizzata contro il Bayern di Monaco dopo il terremoto in Irpinia, per raccogliere fondi da destinare alla ricostruzione; o ancora, ultima volta, nel 1982, quando Altobelli, Bagni, Novellino e Tassotti fecero da “arancioni” sparring partner al Perù di Uribe e alla Polonia di Boniek, impegnate nella preparazione ai mondiali spagnoli. 

Insomma, quando l’altra sera ci siamo ritrovati davanti a quello scherzo della natura calcistica, abbiamo inconsciamente sfogliato un album dei ricordi, troppo presto riposto nel cassetto del dimenticatoio, trascinati dal tempo e dall’assuefazione del pensiero e dei suoi riflessi automatici.
Perché Inter vuol dire nerazzurro (e il bianco in alternativa): è un assioma. 

Del resto è da quel lontano 9 marzo del 1908, anno di sua fondazione, che l’Inter veste con quelle meravigliose strisce verticali nere e azzurre, dalle dimensioni diverse negli anni (nella stagione 1962-63 le strisce raggiunsero il numero più alto, ovvero 9, quattro nere e cinque azzurre).

A dire il vero, ci fu un tempo in cui l’Inter cambiò maglia: fu nel 1928, in piena epoca fascista, quando si fuse con l’Unione Sportiva Milanese, dando vita all’Ambrosiana e utilizzando la famosa maglia bianca con la croce rossa sopra, sulla quale s’intravedeva il fascio littorio.
Ma, come sopra detto, durarono solo un anno, sia l’Ambrosiana (che divenne Ambrosiana Inter), sia questa maglia (si tornò al nerazzurro).

I colori sociali furono probabilmente scelti da Giorgio Muggiani, socio fondatore e pittore - caricaturista dell'epoca. Quella stessa sera del 9 marzo del  1908 - in una saletta del Ristorante Orologio, insieme con altri 43 soci dissidenti -  disegnò anche il logo societario (scegliendone quindi, anche se indirettamente, il colore delle maglie). 

La tesi più accreditata, anche dalle sue stesse parole, è che abbia scelto questi colori, per immortalare i colori di quella notte della fondazione, cioè il blu e nero del cielo e l'oro delle stelle: “Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo”. È anche vero però che la scelta gli venne facile da un punto di vista squisitamente pratico, dal momento che nel suo mestiere, non potendo all’epoca disporre di pennarelli, si usavano matite metà blu e metà rosse, perciò, la scelta cadde sul blu, perché opposto all’altro, il rosso, che simboleggiava il Milan.

Come molte maglie dell’epoca, anche le divise dell’Inter Football Club furono inizialmente sempre prodotte in-house, ovvero dalla stessa società: ci si affidava a sartorie artigianali o maglifici di Milano; e altro non erano se non camicie di cotone e flanella. Poi, nel corso dei decenni, il progresso ha fatto il suo mestiere e anche la maglieria è completamente cambiata, fino ad arrivare alle t-shirt in poliestere di oggi. 

Maglie su cui hanno campeggiato sponsor storici di aziende che hanno fatto l’Italia (Inno Hit, azienda di elettronica di consumo, fu il primo sponsor nella storia: era il 1981, anno in cui la FIGC aprì alla possibilità d’inserire dei marchi sulle divise da gioco, diversi dallo sponsor tecnico). Maglie sulle cui spalle sono stati stampati (o cuciti, a seconda dei tempi) numeri poi destinati a diventare iconici: dalla 8 di Mazzola alla 4 di Zanetti, dalla 20 di Recoba (scusate la mia personalissima debolezza) alla 9 di Giuseppe Meazza, dalla 3 di Giacinto Facchetti alla 10 di Lothar Matthäus.
Numeri, marchi, colori, stemmi e fregi: non sono sole le maglie di una squadra, sono i tratti di una storia lunga più di un secolo. 
Una storia a tratti arancione. 

Probabilmente succederà ancora, di vedere l'Inter con quei colori lì, perciò non stupitevi e ricordatevi che c’è stato un tempo in cui la Milano nerazzurra si mascherava d’arancione, per far cortesia agli avversari.