Tutti lì a stupirvi di Tonali, di Fagioli, di Zalewski, di Zaniolo e di tutto il resto di questa (ancora) misteriosa comitiva di bamboccioni annoiati; tutti lì, con lo stupore disegnato in faccia, indignati, arrabbiati, delusi. Ma per favore!

Le scommesse nel mondo del calcio sono come l’aria per gli asfissiati, quello è un mondo dove ormai si respira solo danaro. E dove c’è danaro c’è malaffare. Mica abbiamo scoperto l’acqua calda!

Il calcio scommesse, del resto, è un cancro vecchio, a cui non si è mai voluto trovare la cura, se non i palliativi di squalifiche esemplari, che non sempre, tra l’altro, si sono rivelate giuste, nel senso che anche in questo ambito gli errori giudiziari (o accanimenti, punti di vista) non sono mancati. Per carità, i colpevoli di scommesse illecite vanno puniti, squalificati, ma nessuno dimentica le gogne, mediatiche e processuali, a cui sono stati ingiustamente sottoposti, per esempio, Paolo Rossi e Beppe Signori.  

Ad ogni modo, se i tre, quattro, cinquanta ragazzi milionari hanno commesso ciò che il “signor” Corona loro addebita, al di là dei rilievi penali, debbono essere squalificati e di brutto anche. 

Ma non è questa la cura.

La cura non può essere, sempre e solo, l’intervento ex post: l’indignazione, le ricette, il codice etico, le squalifiche, le esclusioni. Sono tutte azioni, ovviamente indefettibili, conseguenti al malaffare imperante e probabilmente inevitabile. Ma sono pronto a scommetterci (tanto per restare in tema): appena si saranno spenti i riflettori su questo ennesimo scandalo, nessuno più si occuperà del problema.  

Che non è se Zaniolo abbia scommesso dalla panchina o abbia solo giocato a blackjack. Quello, pur nella enorme gravità “sportiva” del fatto, è un problema che va oltre il sistema, è insito nella natura umana e nella sua innata propensione alla corruttela. E, a volere entrare di più nello specifico, è la rappresentazione più gravemente fedele di ciò che sono gl’interpreti dello sport moderno: divi senza cultura, ubriachi di se stessi e di noia permanente; piccoli, tristi Marchesi del Grillo che, assuefatti ai privilegi, pensano di poter fare quel che vogliono e guardano gli altri dall’alto verso il basso, convinti che loro son loro e tutti gli altri non sono un cacchio; tatuati sulla pelle e vuoti dentro, pieni di orecchini e incapaci di ascoltare, traboccanti di soldi e di tracotanza, iper social e asociali perché chiusi nei loro fantasmagorici microcosmi; virtuosi in campo e viziosi nella vita; fortunati, talmente tanto da non saperne godere veramente; oppure (a voler essere buonisti), più banalmente, bambini cresciuti troppo in fretta, spesso lontani dagli affetti familiari, che si rifugiano in un cellulare come se fosse l’isola che non c’è ... per loro non c’è mai stata. Nemici del calcio: una donna che li ama alla follia e che tradiscono così. Nemici di Dio (o del Fato, se più vi aggrada), che li ha benedetti, ricevendone, però, in cambio bestemmie ed eresie. Nemici dei loro migliori amici, che li osannano, li incitano, dedicano loro cori e applausi, gridano i loro nomi. 

Sì, oggi è morto il calcio, direbbe il Marchese Onofrio del Grillo, quello vero. 

Ma, come dicevo prima, non è questo il vero problema, semplicemente perché questo è un problema senza fine; come, del resto, la storia stessa c’insegna, se è vero, com’è vero, che il primo caso di Scommessopoli risale addirittura all’ante guerra, col tentativo, nel 1927, di corruzione del difensore juventino Allemandi da parte di un dirigente del Torino, prima di un derby. È un male senza fine!  Certo, si può approntare un meccanismo più stringente di controlli, si può adottare un codice etico e farne un mantra quasi fino alla nausea per tutti gli addetti ai lavori, si possono comminare squalifiche pesantissime; ma ci sarà sempre un atleta, un arbitro, un allenatore o un dirigente che truccherà, trufferà, raggirerà, imbroglierà …Omnia munda mundis! 

Il vero problema è un altro e si chiama ludopatia. Ed è un problema che non riguarda questi sciocchi ricchi, riguarda contesti ben più modesti, normali, dove la ludopatia diventa dramma!

La ludopatia è una pandemia silenziosa, che sta ammorbando tutto il mondo, soprattutto le nuove generazioni, sperse nell’inedia di giorni sempre uguali, in cui il miglior amico è uno schermo luminescente di diverse dimensioni e in cui non si è più capaci di divertirsi, se non in compagnia di quell’amico.

La ludopatia è il male del secolo! 

Vogliamo occuparcene o no? Che Tonali perda dei soldi non mi frega un accidente, non finirà certo sotto un ponte. Tantissimi, invece, ci finiscono per davvero. È di questi che m’interessa ragionare. Non su pseudo campioni che scommettono e falsano risultati … Che vadano in malora! Maledetti punitori di se stessi (Terenzio li definirebbe così), impietosi untori del pallone (Manzoni li definirebbe così). Ma il fatto che gente così, che di tutto può aver bisogno fuorché di denaro, scommetta e sembra quasi non saperne fare a meno, ci da la stura per affrontare l’argomento per quello che effettivamente è: la ludopatia è, per sua stessa definizione, una malattia. 

E lo Stato - ecco il problema - ne alimenta il proliferare. 

Basta mettersi a navigare in internet, per capire come sia semplicissimo scommettere su qualsiasi cosa, e in qualsiasi sito (legale e non, puntoCom e puntoIt), e in qualsiasi giorno della settimana. Senza nessuna reale limitazione, anzi, con tutte le possibili e immaginabili agevolazioni e sollecitazioni (bonus, cash-out, eccetera). Un Paese dei balocchi, dove ogni asino azzardopatico si perde e rispetto al quale le istituzioni si puliscono la coscienze con avvertenze e controlli di facciata. Per non parlare delle agenzie di scommesse. Provate a entrare in una qualsiasi agenzia di scommesse, ci troverete di tutto: slot, giochi virtuali, giocate già stampate e messe a mo’ di vetrofanie, fogli in ciclostilo zeppi di eventi, “monumenti” (più o meno fasulli) alle vincite realizzate. E un’aria pesante, fuligginosa, tesa. E gente disperata, d’ogni età, che gioca.  

No, non è un gioco, quello apparitene alla felicità. È un suicidio quotidiano, una continua roulette russa, che prima o poi ti presenta il conto d’una pallottola che ti colpisce in pieno, ma non ti uccide veramente; perché domani dovrai tornare, dovrai scommettere di nuovo.

Noi difettosi ci fottiamo continuamente di proposito, perché abbiamo sempre bisogno di ricordare a noi stessi che siamo vivi. Il tuo problema non è scommettere, ma il cazzo di bisogno di provare qualcosa, per convincere te stesso che esisti”. Al Pacino li definisce così, i ludipatici (il film s'intitola “Rischio a 2”); ed è una rappresentazione profondissima e perfetta, che scava nell’Io più recondito d’ogni scommettitore incallito. 

E lo Stato che fa? Fa melina, giusto per adoperare una terminologia calzante. Fa leggi assurde e inutili, come quella sulle distanze, che un’agenzia deve rispettare, da chiese (mah!) scuole e altri cosiddetti luoghi “sensibili” (per esempio,  le case di riposo … mah!). Per non parlare della contraddittoria, e ipocrita, normativa sulla pubblicità del gioco d’azzardo: un florilegio di regole e divieti e limitazioni e finti recinti, che s’intersecano e collidono e poi a volte collimano e poi … non se ne capisce nulla. Tutti fanno tutto ciò che vogliono. E ancora, la limitazione della maggiore età: giustissima, ma inutile perché i controlli sono pressoché inesistenti e un quindicenne ci mette dieci minuti scarsi a registrarsi su un sito (magari col documento dell’inconsapevole papà o del complice amico più grande) e mettersi a giocare. 

La verità, amarissima, è che lo Stato non fa nulla o fa davvero poco per contrastare questo tumore della mente e guarda, inerte, esistenze andare in rovina. Guarda le macerie e ci si arricchisce. È un terremoto quotidiano: patrimoni, sentimenti, lavoro, vite … tutto distrutto. Tanto poi c’è chi ricostruisce. E si arricchisce.

Questo è il problema. Non la, sia pur riprovevole, disonestà sportiva dei Zaniolo … che vada in malora, Zaniolo! Che vada in malora lui e tutti noi che abbiamo ancora la pazienza di credere in questo sport! 

Il fatto è che chi va davvero in malora sono le migliaia di famiglie che vivono veri drammi, non solo economici. La ludopatia colpisce il patrimonio. La ludopatia colpisce gli affetti. La Ludopatia colpisce la socialità. La ludopatia colpisce l’umore. La ludopatia colpisce il lavoro. La ludopatia arricchisce lo Stato e arricchisce anche gli usurai. La Ludopatia olea le mafie. La ludopatia è la morte di uno Paese civile, che con una mano si mette i soldi in tasca e con l’altra asciuga le lacrime di una società allo sfacelo. 

E sì, la ludopatia ammazza il calcio, pure, perché quello che sta succedendo in queste ore è la morte del pallone, della sua credibilità, del nostro amore per questo sport, che è, e rimane, il più bello del mondo.

E nessuno fa niente! 

Non sono un qualunquista, se non appronto qui delle soluzioni è perché non spetta a me individuarne, non ne ho il ruolo né le competenze; al contrario, proprio il farlo rischierebbe di essere qualunquismo. C’è già troppa accademia e retorica attorno a quanto sta accadendo. Troppi fenomeni del “te l’avevo detto”, troppi santoni col dito puntato. Troppi teorici del mondo perfetto. 

Insomma, so poco e quello che so me lo tengo per me. 

Ma una riflessione mi sia consentita. Dico solo che l’educazione e l’informazione possono essere un punto di partenza importante. Campagne di forte sensibilizzazione, stage nelle scuole, attività di formazione per gli atleti (specie per quelli minori, che conseguono guadagni normali e finiscono in mezzo alla strada), avvertenze shock (anziché il lemme “Gioca responsabile”), che compaiano in ogni sito e in ogni ricevuta (un po’ come è stato fatto con le sigarette e non ditemi che non si è ottenuto dei risultati).  Si potrebbe partire da qui, no?

Macché! Questo è il Paese del “Se non giochi non vinci”, del “Ti piace vincere facile” e cose simili. Il Paese dove, sulle pay tv, non è raro imbattersi in contenuti pubblicitari che forniscono informazioni sulle attività legate al gioco d’azzardo e alle scommesse sportive; o dove, negli stadi, a bordo campo sono spesso presenti pannelli pubblicitari coi nomi di siti collegati al gioco d’azzardo.

Perciò, ecco quello che so. Quello che so è che nessuno fa veramente nulla e che le istituzioni, calcistiche e civili, vivono il “gioco” (io ci metto le virgolette) quasi come se fosse un male necessario. Quello che so, perché l’ho visto coi miei occhi, è che anche oggi un padre di famiglia o un figlio di papà si getteranno consapevolmente da quella rupe che è la loro dipendenza e si lanceranno nella solita loro vita vuota. Quello che so è che la noia vincerà anche quest’oggi la sua battaglia e annienterà esistenze grigie come le ombre di coloro che si trascinano, vagando nel loro mondo, estraniati, obnubilati, ammalati. Quello che so è che nessuno fa niente. Nessuno dice loro di fermarsi.

Lo faccio io, che sono un perfetto nessuno, ma che voglio ugualmente fare la mia parte. 

Fermatevi! Avete perso? Fa' niente, non cercate di rifarvi, perché è lì che inizia il vostro baratro.

Fermatevi!

Quando accendete quel computer, andate su You tube e guardate i video delle vostre canzoni preferite, magari quelle che vi ricordano i bei momenti, quelle dell’adolescenza, del vostro primo amore, dei tempi dell’università … Cancellate dal cellulare le App di scommesse: non averle a portata di mano aiuta. Quando passate davanti a un’agenzia di scommesse, tirate dritto e pensate a un modo diverso di trascorrere quel tempo: ce ne sono un’infinità, sapete? Andate all’allenamento di vostro figlio, ne sarà felice. Oppure, portate vostra moglie a fare una semplicissima passeggiata, ne sarà felice. Oppure, prendete un biglietto del cinema, uno qualsiasi, e andateci. Oppure no, non bisogna per forza essere santerelli virtuosi, perciò, andate a farvi una birra con un amico, andate a comprarvi la cosa più inutile che ci sia, andatevene in palestra a rimorchiare, andate a puttane, andate a farvi il mondo, perché ognuno di noi può essere John Travolta, basta volerlo.

Ci sono mille modi di trascorrere il tempo lontano da quella maledetta droga, fatta di numeri, percentuali, acronimi e parole inglesi. Una droga tagliata malissimo, fatta di perdite e illusioni estemporanee. Fatta di disperazione. Fatta di annullamento. Statene lontani, è la più infida delle droghe: come le altre, crea dipendenza e senso di momentaneo finto  benessere, però fa male all’anima e non si vede, non si tocca, non si annusa, non si ingoia, non s’inietta; ce l’avete dentro, nasce nei vostri disagi, nelle vostre frustrazioni, nelle vostre incomprensioni, nei vostri fallimenti, nelle vostre malinconie, nella vostra noia. 

E cos’è la noia? È oziare, è lasciarsi vivere, è sprofondare in una catalessi della mente, è perdere di vista i veri piaceri della vita, quelli che stupidamente diamo per scontati fino a perderli del tutto. 

E se proprio non ce la fate, giocate. Ma poi fermatevi! 

Mio nonno mi diceva sempre (e ve la dico in slang palermitano, così come lui la diceva a me): Un mi scantu ca piaiddi, mi scantu ca ti vo rifari. Tradotto: la mia paura non è che tu perda, ma che tu ti voglia poi rifare. Mio nonno era ignorante come la calia, ma più saggio di un laureato alla Bocconi. 

Ascoltatelo, mio nonno. E fatevi aiutare! 

Ah, cos’è la calia? Sono ceci tostati. Qui si mangiucchia assieme alla semenza, cioè i semi di zucca, ed è uno dei passatempi preferiti dei palermitani. Anche così si contrasta la noia. Calia, semenza e passito di Pantelleria. Magari davanti a una partita di pallone, sul cui esito  scommettere una pizza con vostro figlio.