È davvero singolare che una delle attività umane nella quale girano più denari, sia così prova di regole certe!

Il calcio molto spesso si riempie la bocca con termini come Financial Fair Play, turni preliminari, stadi, ripartizioni di diritti televisivi, a sottolineare quanto i vertici siano attenti alle regole ed al loro rispetto.

Sappiamo che non è affatto così: il controllo dei conti finalizzato a regolamentare le faraoniche campagne acquisti, è valido solo per chi non ha santi in paradiso e sempre ad esclusione dei soliti club che lo scavalcano sistematicamente; lo stesso vale per quanto riguarda i diritti televisivi, dove il malloppo è sempre spartito tra pochissimi.

Siamo poi al di fuori di qualunque regola se ci addentriamo nell'oscuro ed esclusivo mondo dei procuratori che, in un mondo normale, dovrebbe essere attività riservata a legali qualificati con remunerazioni prefissate. Stiamo invece parlando di una giungla con retribuzioni faraoniche e del tutto ingiustificate al pari dei cartellini dei giocatori: altro aspetto sfuggito a qualunque regolamentazione da un ventennio.

Da bambino ero abituato al fatto che il Milan operasse sul mercato perché era bravo a strappare Rivera all'Alessandria, perché la capacità di scovare il giovane talento era una gara regolare in cui vinceva chi era più bravo. Ero anche abituato al fatto che i Rizzoli fossero i proprietari e perseguissero, in questa funzione, il solo obiettivo sportivo di portare il Diavolo a vincere lo scudetto o la Coppa dei Campioni.

Oggi, cinquant'anni più tardi, molti di noi si fanno il sangue amaro perché il Rivera di turno non finisce ai più bravi, ma a quelli che lo pagano il triplo del suo valore: si sbaraglia la concorrenza a suon di sporco denaro. In questo gioco, affatto controllato da un ente superiore, chiunque giri intorno al giocatore, intasca bonifici sontuosi. Il prezzo inevitabilmente arriva alla follia e non è più solamente il Cagliari di Riva a non avere più alcuna possibilità di vincere, ma il Milan di Elliott. Questo perché anche sulle proprietà non esiste alcuna verifica del mero obiettivo sportivo: e nel caso dei rossoneri sappiamo benissimo quanto sia lontano rispetto a ben altre finalità finanziarie.

Stupirsi nell'anno 2020 del fatto che dopo un mese dalla chiusura del campionato il Milan non abbia concluso un solo acquisto, stupirsi della manfrina Ibra-Raiola a suon di euro ancora oggi "in dirittura d'arrivo",  sgranare gli occhi perché da 25 giorni "il Milan scopre le carte per Bakayoko" che è ancora in spiaggia o perché Calabria è confermatissimo in quanto gemma del glorioso settore giovanile, significa aver travisato del tutto che noi siamo questi e lo rimarremo ad andar bene fino al 2024, anno della presunta prima pietra del nuovo stadio. Da quell'anno in poi, non prima, sarà necessario incrociare le dita circa il fatto di venire acquistati da chi ha una montagna di soldi e interessi secondari tali da fargliene spendere in quantità industriale per ridare ai rossoneri quella dimensione internazionale oggi distante anni luce.

Il Milan è abbondantemente fuori da ogni gioco dalle cessioni di Kakà e Sheva, quindi da una generazione, semplicemente perché qualcuno si era stufato di fare il padrone: il gingillo era troppo dispendioso e non esistevano più i tornaconti indiretti, visto che un altro aspetto su cui ci si rifiuta di far luce è proprio sul perché l'attività imprenditoriale calcio produce sempre e comunque passivi da libri in tribunale, nonostante la mole spaventosa di denaro che muove.