È una splendida giornata la domenica del 28 ottobre del 1984. Una di quelle giornate terse a Milano, dove se vai a ovest e' possibile scorgere lo scintillio del ghiacciai del Rosa e se vai verso Lecco ti  godi l'anfiteatro superbo delle Grigne e del Resegone che sembrano così vicini che quasi le potresti toccare con un dito.
Ma non è una bella giornata per noi. L'unica adorata figlia e sorella ci aveva lasciato pochi giorni prima, lieve come come la sua brevissima vita.
No, non ne voleva sapere mio padre, dopo oltre 25 anni di domeniche seduti sui gradoni di San Siro per  Milan e Inter, di vedere il derby. In piedi  sotto la pioggia, la neve a Natale e Capodanno, a tutte le domeniche di feste comandate insomma. Mai il mio appassionato padre avrebbe mancato una partita, amante del calcio, più verso il Milan, ma solo perché alessandrino come Rivera mandrogno come lui.
Non mi arrendo. Piombo inaspettato a casa sua in via Teodorico, in ruoli invertiti io padre, lui figlio, lo obbligo a uscire e così ripetiamo ancora una volta la nostra camminata rituale, attraverso piazzale Lotto e poi lo splendido viale Caprilli, dedicato, non a caso, ad un grande studioso di tecniche ippiche dei primi del '900, perché allora c'era ancora non solo il galoppo ma il trotter accanto allo stadio. Si assisteva, a volte, alla ultima corsa tra le urla dei seguaci di questo bellissimo sport. Ci si soffermava quasi come un ultimo atto di serena domenica, che per noi studenti finiva con un poco di tristezza con il Musichiere di Riva e la sua canzone che chiudeva la settimana..."domenica è sempre domenica...".
Si andava in silenzio quel giorno lungo il viale le cui rigogliose piante trattenevano ancora la sinfonia dei colori di autunno delle loro foglie, ognuno con i propri ricordi.
Ma appena eccolo lì, alla vista delle rampe che lo abbracciavano, gli occhi di mio padre si illuminano, pronto a ricevere la gioia quasi misterica di una partita di pallone imminente.
È già in boato lo Stadio, ci guardiamo stupiti con quelli che camminano con noi. Riportano alcuni che tanti vi hanno bivaccato la notte. Saliamo veloci le rampe. Niente da fare non si entra sui gradoni, neanche a parlarne. Troviamo un pertugio quasi in uno degli ingressi, dove vediamo una parte di campo solamente. Torniamo a casa dice mio padre. Mai e poi mai. Anche con un pezzo di campo qui si sta. Mi ubbidisce quasi avesse conservato il nostro ruolo invertito.
Quello era il derby che celebrava un Milan risorto da appena un anno dalla serie cadetta e una Inter ben più  importante e sicura di sé. Ma celebrava la "Milano da bere", quella citata molto pomposamente e con molta retorica dalle  famosa pubblicità, "una città che rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore; Milano è positiva, ottimista, efficiente; Milano è da vivere, sognare e godere. E poi si chiude con sequenza di fotogrammi veloci con "Milano da bere". Oggi forse ci faremmo una risata se la riproponessero.

Gli anni cambiano cose e uomini. Ma in fondo in quel periodo forse solo Milano da bere, un poco per tutto il Paese chiudeva dagli inizi degli '80 una stagione oscura di piombo e di stragi come quella dell'agosto 80, falcidiando vigliaccamente a Bologna allegri vacanzieri con già il mare negli occhi. Era quello il derby dei "traditori". Il mite Ilario Castagner aveva ceduto alle lusinghe interiste. Collovati era sommerso di fischi. Pure derby in famiglia con i fratelli Baresi che mai però si incrociarono. C'è l'intero filmato di quella partita per chi volesse riviverla. Non la racconto che per sommi capi.

Liddas con un armonico 442 retto da Di Bartolomei e Wilkins, con Verza e Evani alle ali. Dietro Battistini, Tassotti, Baresi e Galli in difesa. Davanti Hateley e Virdis.
L'Inter ospite, in trasferta. Ha il suo portierone Zenga. Bergomi e Baresi  esterni e Bini e Collovati al centro. Davanti un centrocampo a tre con Sabato, Brady e Mandolini a sostegno. In attacco Causio a destra, il grande Rummenigge a sinistra  con il razzente Altobelli al centro. Abbiamo scelto lo scorcio giusto. Poco si vede se non le azioni interiste in campo milanista. Il filmato fa vedere un Milan in elegante possesso palla orchestrato da Wilkins, a cui si contrappongono veloci ripartenze interiste. Su una di queste,  bucati a destra Altobelli infila Terraneo con bellissimo stacco. Boato attorno a noi! In mezzo a tutti interisti siamo e ci rimaniamo.
Mio padre mi guarda sconsolato. Vedi, dovevamo tornare. Ma si sta, li', tosti in mezzo al nemico che subito ci sgama di fede contraria. Non vediamo il pareggio di Di Bartolomei, ma il boato ci giunge come uno tsunami sonoro, e urlo di gioia, guardato torvo. Mio padre sgrana gli occhi. Ma sei matto? Un Milan inglese con Wilkins e Hateley. Mark pescato con una genialata alla Giuntoli da un Portsmouth dove segna 22 gol. Nasce a Derby il 23enne ragazzone inglese, città dal nome profetico. Wilkins no, lui ha trascorsi illustri,  28 anni e 5 anni al Manchester United. Wilkins giganteggia a centrocampo e nella fluida manovra zonista di Liddas c'è un grande lascito piuttosto misconosciuto ereditato da Sacchi. Ma in quel piccolo pezzetto di terra che intravediamo c'è lui il Mark a dominare. Vola in cielo una prima volta, perfetto, preciso e il Walterone vola a prendergliela all'incrocio in parata superba. Ma poco dopo no, l'uomo di Derby, nel Derby che il Milan non vince da tempo, c'è lui a volare come un angelo. Il Fulvio è surclassato. Quasi increduli vediamo la palla invano inseguita da Zenga infilarsi, perfetta, letale.
Io sto muto, gli interisti mi guardano, ma questa volta ridono per il mio rispetto e uno mi dà pure una pacca sulle spalle. Forse il mio angelo da poco in cielo, milanista anche lei, dà una magica spinta all'angelo in terra, chissà.
Ma Mark ci regala due ore di oblio. Per mio padre sarà una sera meno brutta di quella precedente. Mi ringrazia con gli occhi, ma è Mark il mistero del calcio.
Il mistero della palla rotonda che fa dimenticare dolori e miseria... domenica è sempre domenica.