La tecnologia, per me in maniera distorta, come ho detto in alcuni interventi, ha invaso il mondo del calcio e non solo. Due elementi per così dire numerici caratterizzano la valutazione delle partite. Il primo è antico e il secondo è molto più recente grazie ai sistemi di rivelazione automatici delle azioni  dei protagonisti in una partita di calcio.

Il primo è il voto al calciatore, di cui sembra si debba la primogenitura a lui sempre lui, il guru del giornalismo sportivo italiano, il Gianni Brera che, quando era redattore del “Giorno”, sembra che fosse stato il primo a introdurre il voto al singolo giocatore.
Di Brera ho letto tutto, non i suoi tentativi romanzeschi, e francamente più passa il tempo e più penso, opinione ovviamente del tutto personale, come del resto queste considerazioni, che il peso della sua scrittura calcistica, fatto salvo l'insieme di geniali neologismi che ha inventato e che fanno parte ormai del linguaggio e del cronachismo parlato e scritto calcistico, stiano avendo con il passare del tempo un valore piuttosto decrescente, mentre, a mio avviso, sono indimenticabili, come pezzi di vera poesia sportiva i suoi resoconti sul ciclismo.
Anche se dicono il contrario, pure con fare sprezzante, penso che tutti i protagonisti di una partita dentro o fuori dal campo tengano in gran conto e per prima cosa vanno a vedere il voto che il cronista assegnatore ha assegnato, come un professore a scuola, alla prestazione singola del giocatore, nonché al suo allenatore, e magari pure alla squadra. Sono celebri e basta cercarle sul web le furiose reazioni di alcuni campioni, tra cui il grande Diego, a valutazioni numeriche non ritenute adeguate.
La prima considerazione che comporta un voto nel calcio e non una valutazione qualitativa senza assegnare un valore numerico, cosa  tipica della scuola, è la facilità con la quale chi lo assegna può passare dalla valutazione della prestazione all'essere del valutato. Penso sia innumerevole la lista degli scolari, me compreso, convinti che un certo  professore ce “l'avesse” con loro, tipico travalicamento del confine apparire/essere. E quanti al contrario dei miei tanti amici e amiche docenti potrebbero alzare la mano per non aver mai dato una qualcosina in più a chi risultava più simpatico? Credo proprio nessuno.

Il secondo aspetto valutativo che si sta “abbattendo” sul calcio è di tipo statistico e riguarda ogni aspetto registrabile del giocatore, passaggi, stop, colpi di testa etc. una messe di dati che cercano di descriverne la prestazione come se il giocatore fosse una macchina e quindi alla fine identificando, più che la prestazione, il suo vero "essere".
Questo fenomeno, sempre più presente nella nostra società pervasiva, si chiama “Infodemia”, e francamente finendo in “mia” la associo ad una vera “pandemia” di dati che alla fine, proprio perché sono tanti e privi di peso specifico in un contesto di valutazione globale finiscono per essere fuorvianti oppure per dare indicazioni interpretabili, pur con rigorosità di ragionamento scientifico e socratico, in senso diametralmente opposto.
C'è una considerazione aggiuntiva ed è che un professore, e quindi un critico, anche se è un essere umano, dovrebbe porsi deontologicamente in una posizione “neutrale”.
Nel caso del giornalismo sportivo, lo stesso Brera, di cui sembra che fossero molto sospettabili le sue simpatie interiste, quanto di “interismo”, per dirla così, poteva mettere nei suoi voti? E quanto l'appartenenza più o meno occulta per una squadra non sia condizionante per gli attuali commentatori di importanti giornali sportivi addetti alla emissione dei voti?
Ormai il giro dei voti, vedi Fantacalcio e altro, è diventato anche lui una sorta di business oppure di valutazione globale pervasiva, che a mio avviso si inserisce molto bene nel fenomeno più globale della “Infodemia”.
Mi permetto di porre a chi questi voti li emette un duplice quesito. Il primo dovrebbe essere di principio, ormai visto l'uso che se ne fa, come un fenomeno acquisito e indispensabile, se sia giusto o meno identificare singoli giocatori e valutarne numericamente la prestazione in un gioco di “squadra”, e poi se sia giusto o meno, una attenzione, forse considerazione del tutto personale magari non indispensabile nel gioco del calcio che però tanto gioco non è più, se chi li assegna questi voti debba anche più o meno tenere  presente la sensazione deontologica e di responsabilità che si assume assegnandolo, per quanto detto sopra.
Per me infatti ci possono essere due distorsioni frazionando e identificando “singoli” voti invece che uno, molto più auspicabile, per me, singolo e unico voto di squadra... Vista quindi la grande importanza che si dà ai singoli, appare abbastanza distorcente un voto massimo ad un giocatore in una squadra che globalmente ha giocato male e ugualmente lo stesso in una squadra che gioca bene. Se si dà un voto alto a un singolo si finisce per deprezzare in fondo oltre misura quelli che hanno partecipato a una prestazione globale negativa e,  quando si elegge il migliore nel bene si fa ugualmente lo stesso con tutti gli altri che hanno comunque fatto un gioco di squadra vincente. Si finisce per creare dall'esterno con il tempo delle gerarchie, che magari all'interno non esistono oppure sono opposte.
E nel voto quanto pesano le cause e gli effetti? Se Jovic per esempio nel voto basso che ha preso con l'Atalanta avesse ottenuto dei gol con le due sponde vincenti di alta classe, avrebbe avuto lo stesso voto? E perché un assist (che porta al gol per definizione) dovrebbe avere un peso diverso magari di un gol, se tale assist viene eseguito con elevata tecnica, e quindi meno valutato magari rispetto ad un gol con valore tecnico inferiore e quindi proprio per il fatto che un attaccante non segna , ottenere un voto inferiore, oppure addirittura essere messo in discussione come “essere” come nel caso di Leao?.. Perché posso definire in valore diverso, in un gioco di “squadra” un gol, un assist, una parata fondamentale? E magari dare voti in più e in mano rispetto alla specifica funzione del giocatore?
Da una parte si parla sempre di più di collettivo e poi si valuta alla fine, con una certa distonica preponderanza, molto il singolo. Questo insieme di voti entra poi a far parte registrata della “Infodemia” prima accennata. E' ormai parte inscindibile e anche irrinunciabile della valutazione di una partita. Finiscono questi numeri, sommandosi, magari già distorti dal  principio, almeno come la vedo io, a fornire delle somme ancora più distorte che portano alla fine a una percezione scorretta della sostanziale differenza tra l'essere e l'apparire di un giocatore. Con i relativi risvolti non certo trascurabili, anche in termini economici.
Quanta è l'influenza di questa numericità, chiamiamola così, tipicamente prodotta dall'esterno sulle scelte interne? Quanto influisce, essendone ormai parte integrante, sulla tifoseria e pure su chi dovrebbe cercare di distinguere con una certa esperienza tra l'essere e l'apparire e sulle azioni di compravendita?
Ormai si tende a dare voti a tutto, creandosi poi artificialmente scalette di merito piuttosto astruse, se non totalmente soggettive, oltretutto molto schiacciate come peso e valenza emotiva molto di più verso il basso. Gli otto, ad esempio, sono rarissimi e poi qualcuno mi spieghi perché se non totalmente in maniera soggettiva si dà un 7,5 oppure un sette. Maradona si imbufalisce per il voto negativo e non perché invece di un 7,5 gli danno un 7. Già da qui si può capire come sia facile distorcere soggettivamente una numericità di per sé anodina e quindi come sia facile giudicare un “professionista”, e un calciatore lo è, facilmente sul suo essere piuttosto che sulla sua prestazione e quindi sul suo apparire.
Come ho già indicato, un grande allenatore più che alla prestazione dovrebbe cercare di capire l'essere del giocatore oggetto di voto piuttosto che il cumulo di dati su di esso che comunque gli entra dentro anche se dice di no e ciò vale anche per il giocatore e sul suo rapporto verso la squadra.
Se un giocatore il cui “essere” è giudicato scarso dal suo allenatore, tanto da portarlo ad una esclusione, si rivela buono in altra squadra o contesto, vuol dire che quell'allenatore è solo uno che cerca di far giocare meglio solo quelli che appaiono meglio. I voti fanno parte ormai indissolubilmente del mondo del calcio.

In conclusione un voto, a mio avviso, può avere una valenza se assegnato non al singolo, ma solo della squadra, fatte salve le considerazioni qualitative che però colpiscono meno che un giudizio numerico. Ma ora così lo è sempre di più da quando Gianni Brera fu il primo ad appiccicare etichette, pur nel suo funambolico e gustoso vernacolo, arrabbiandosi pure a chi lo paragonava a Gadda.
E poi nel calcio qual è il valore assoluto del voto e chi ne stabilisce il criterio? Nella scuola e nell'Università ha un senso, ma lo ha anche per una prestazione artistica? Per me tutti questi dati e questa tecnologia cominciano a fare proprio in senso gaddiano un gran bel “Pasticciaccio brutto...” nel Calcio.

Ho trovato la foto che pubblico nell'archivio di calciomercato.com. Non so quale sia la squadra e il contesto, ma mi ha colpito, considerandolo congruente con quanto ho esposto, magari in maniera discutibile.
Sulle magliette hanno una “Z” che interpreto come zero, un numero bellissimo, perché è neutrale come mai capita di essere nel calcio e molto difficilmente nella vita.
Un non voto “appunto” né negativo né positivo per un singolo in una squadra, che come unico voto appunto di squadra coinvolgerebbe tutti nello stesso modo.