Quel pomeriggio, una ragazza stava prendendo il treno per Parigi, perché Susanna, era una brava ballerina di danza classica e avrebbe fatto parte del balletto dell'Opera. Mentre aspettava la partenza, sentì voci e agitazione, in un crescendo di volumi e di passaggi veloci di gente che comunicava agli altri la stessa notizia: "è caduto l'aereo del Torino!".
Susanna si sentì mancare, e a fatica, scese immediatamente dal treno. Su quell'aereo viaggiava suo Padre, l'allenatore della squadra. 

Nel frattempo, una giovane madre, incinta del suo secondo figlio, aspettava il ritorno dal lavoro di suo marito, ma non avendo il telefono, fu la vicina di casa le comunicò che quella sera sarebbe arrivato tardi. Aveva infatti telefonato dicendo che era successo un fatto che lo avrebbe obbligato ad un lungo lavoro, ma che lui stava bene. Fortunatamente, la vicina aveva il telefono e lui potè avvisarla. Allora, non tutti avevano il telefono e nemmeno la televisione, anche se la radio poteva diffondere le notizie, seppure con tempi diversi da quelli odierni. 
Giuseppe e Rosa erano migrati dalla Sicilia, ed avevano già una bimba di quattro anni e, da lì a pochi giorni, sarebbe nato un maschietto. Giuseppe aveva trovato lavoro nel Comune di Torino, e si occupava dei servizi mortuari. A venticinque anni non avrebbe mai immaginato di assistere ad una simile tragedia, lavorando in mezzo a odori di carburante bruciato, calore ancora forte e componendo corpi carbonizzati di giovani ragazzi come lui, che avevano tutto per essere felici, ma trovarono il muro della tragedia a renderli tristemente famosi.
Fu una immagine che non si levò più dalla mente, ed ogni tanto ne parlava con noi figli, e si scorgeva una lacrima che usciva dai suoi occhi come dagli occhi di Rosa, donna molto sensibile. Arrivò a notte fonda, lei ancora sveglia, ed entrambi piansero mentre si abbracciavano.
Ma lui doveva cercare di tranquillizzare la sua sposa, perché erano gli ultimi giorni e lei nove giorni dopo avrebbe partorito. 

Susanna Erbstein invece non sapeva cosa fare, si precipitò dove poteva avere notizie e conoscenze nell'ambiente del Torino, perché suo padre era l'allenatore del Torino Ernö Egri Erbstein. E la memoria la portò a quanto avevano dovuto lottare per sopravvivere prima e durante la guerra, a causa del fatto che suo padre era di origine ebrea. 
Ernö Erbstein, aveva cambiato il cognome in Egri, per camuffare le sue origini, ma non servì a nulla. Fin dai primi tempi del suo arrivo in Italia, si scontrò contro le ideologie nascenti antisemite che invadevano sia l'Italia che l'intera Europa sottoposta al giogo nazista.
Era nato il 13 maggio 1898 a Nagyvárad, in Ungheria, e pochi giorni dopo avrebbe compiuto cinquant'anni. Aveva vissuto a Budapest con la famiglia, diplomandosi nella scuola superiore di educazione fisica, nel Bak Budapest incominciò come mediano, distinguendosi come giocatore forte fisicamente e bravo tecnicamente. Dopo varie peripezie, riesce ad arrivare alla Fiumana di Fiume, allora città italiana. Era il 1924, ed ancora non era esplosa totalmente la "febbre" che avrebbe portato l'Europa alla guerra ed agli stermini che ne seguirono! Mentre giocava in Italia, arrivò la prima difficoltà: la carta di Viareggio! Quel documento redatto in Versilia nel 1926 e pubblicato il 2 agosto di quello stesso anno, vietava a tutti gli stranieri presenti in Italia di partecipare a qualsiasi campionato tricolore, a partire dal 1928. Era un documento che nasceva dalla pressione esercitata dall'allora partito Fascista, ormai al potere da qualche anno. Ernö fu così costretto ad emigrare ed andò negli Stati Uniti, dove giocò nell'American Soccer, nella squadra dei Brooklyn Wanderers, ma qui arrivò la crisi di Wall Street del 1929, che provocò una forte depressione economica.
Il sogno era già svanito, ed allora non gli rimase che tornare con la famiglia nella sua Ungheria. Per qualche tempo riesce a non avere problemi, ma all'arrivo dei tedeschi in Ungheria viene recluso in un campo di lavoro, dove fortunosamente riesce a fuggire. Nel frattempo sua figlia Susanna, che era battezzata e quindi di religione cattolica, trovò sponda in alcuni enti religiosi, riuscendo così a tenerlo distante dai pericoli e farlo arrivare in Italia. Ma non fu sufficiente, venne  di nuovo bloccato, questa volta durante un viaggio  in Germania e Paesi Bassi, perché avrebbe dovuto allenare una squadra del luogo. Ed in Germania non veniva accolto da nessuno, perché Ebreo, decise allora di tornare in Ungheria, ma fortunatamente Ferruccio Novo, presidente del Torino, si era interessato alla sua sorte e sospinto dalla figlia di Ernö, Susanna, riuscì a riportarlo in Italia e a nasconderlo, eludendo le leggi razziali che vigevano al tempo nel nostro paese.
La sua storia sarebbe molto più lunga, ma per abbreviare, non mi sono dilungato in tutte le situazioni che aveva attraversato nel suo triste peregrinare attraverso un'Europa ostile e in preda alla guerra. Vale però menzionare un signore, un diplomatico svedese che salvò almeno 1800 ebrei grazie alle sue relazioni, ma che poi cadde vittima dei nazisti, Raoul Gustav Wallenberg, oggi inserito nei Giusti tra le Nazioni, onorificenza tributata dal Governo israeliano. Fu anch'egli artefice della salvezza di Erbstein. 

Ferruccio Novo aveva capito che Ernö aveva un grande talento da allenatore. Aveva ispirato già allora dei metodi moderni di allenamento e tattiche di gioco rivoluzionarie, In Italia aveva allenato molte squadre di serie A e B, come Cagliari e Bari. Quando arrivò al Torino, consigliò gli acquisti di Loik e Mazzola, due fuoriclasse, e affiancò come esperto tecnico l'allenatore del Torino, l'inglese Leslie Lievesley. 
Ma proprio quando sembrava che tutto fosse finito e che finalmente avrebbe avuto una vita normale, il destino si accanì definitivamente sulla sua persona.
Quell'aereo, tradito dall'altimetro difettoso, alle ore 17 del 4 maggio 1949 si schiantò sulla collina di Superga.
Nella valigia aveva un piccolo ricordo per sua figlia Susanna, e per un triste gioco del destino la sua valigia fu ritrovata intatta. Così almeno Susanna ebbe il suo dono postumo che suo padre aveva acquistato a Lisbona. 

Da quella tragedia si salvarono alcuni personaggi famosi, come Niccolò Carosio, commentatore sportivo, che non partì a causa della cresima del figlio, il giornalista Vittorio Pozzo (sostituito all'ultimo dai dirigenti del Torino da Cavallero). Infine rimasero a casa causa influenza, Tommaso Maestrelli, giocatore, che poi allenò la Lazio del secondo scudetto, e Ferruccio Novo presidente della società. Per uno strano gioco del destino, il primo pilota dell'aeromobile si chiama Pierluigi Meroni! 

Nove giorni dopo, sarebbe stato il compleanno di Ernö Egri Erbstein, e proprio quel giorno nacque il figlio di Rosa.
La vita continuava, io nacqui sette anni dopo.
Mio padre ricordò che si era occupato della salma di Valerio Bacigalupo, nato a Vado Ligure, al quale hanno dedicato lo stadio di Savona. E tutte le volte che entravo in quello stadio e giocavo su quel campo ricordavo mio padre e mia madre che ancora con le lacrime agli occhi mi parlavano di quella storia triste che coinvolse anche la mia famiglia.
Qualche anno dopo, negli anni sessanta, una mattina mia madre mi svegliò per andare a scuola, ma aveva di nuovo gli occhi lucidi: era morto Gigi Meroni. La tristezza si era di nuovo impossessata delle nostre vite, ed anche se eravamo tifosi della Juventus, il Grande Torino ebbe sempre un pezzo del nostro cuore, come la grande classe di Meroni, ucciso in una notte dall'automobile del futuro presidente del Torino, mentre attraversava in corso Re Umberto, insieme a Poletti, che si salvò per miracolo. 

Un ricordo per quelle giovani vite di campioni spezzate da un triste destino.
Un abbraccio a tutti i tifosi, dirigenti e giocatori del Torino.
Ad majora.