"The needle and the damage done" è un bellissimo pezzo scritto e suonato da Neil Young, grande cantante, compositore e chitarrista della generazione degli anni settanta. Neil Young fece parte di quella famosissima band che prese il nome dai loro appartenenti, ovvero la Crosby, Still, Nash e Young, mitici e favolosi, i loro pezzi erano veramente notevoli. Come era bellissimo il brano descritto, scritto da solo e performato con un'introduzione di chitarra che è rimasto un "must"della storia della chitarra rock, insieme al brano "Starway to Heaven" dei Led Zeppelin, con l'introduzione di Jimmy Page, che  trent'anni dopo la sua comparsa invitava i giovani aspiranti chitarristi a cimentarsi in quell'introduzione veramente stupenda. 

"The needle and the damage done", vuol dire "lo stiletto ed il danno fatto". E racconta di un carcerato che piange nella sua cella, pensando all'uccisione di un altro uomo per mano sua.  
E qui possiamo spaziare al significato di needle, che può essere assimilato anche alla parola "ago". Infatti il più famoso romanzo di Ken Follett si intitolava "The needle of the eye" , letteralmente "La cruna dell'ago", dal quale fu girato un film straordinario interpretato da un mirabile Donald Sutherland, e che descriveva la perversa abilità di una spia tedesca a Londra durante la seconda guerra mondiale, molto avvezzo ad usare il suo "stiletto", che lui chiamava "ago".

Ma quanti danni può fare uno stiletto, ovvero un coltello?
Ieri, nel centro commerciale di Assago, ne ha fatti parecchi, per mano di uno squilibrato che improvvisamente ha deciso che tutte le persone attorno a lui non era giusto che fossero felici, e quindi ha preso un coltello da un reparto di cucina e ha colpito chiunque gli capitava a tiro. Contrariamente a quanto succede di solito, alcuni clienti del supermercato hanno deciso di reagire, e tra questi un ex giocatore di calcio di serie A, ex Inter, che ha valutato il soggetto ed ha potuto constatare che, seppure in preda alla furia omicida, presentava goffaggine e lentezza di movimenti. Con un calcio, degno del miglior rinvio al volo, lo ha disarmato colpendolo al braccio, dopodichè altri sono potuti intervenire per bloccarlo e probabilmente è volato anche qualche pugno, tanto per renderlo più "malleabile".   
Ma "the damage", il danno, era già fatto. Un povero ragazzo di origine boliviana che lavorava nel centro commerciale, svolgendo le mansioni di cassiere, non è sopravvissuto all'insano gesto.
Luis Fernando aveva 46 anni, e studiava anche all'università, dimostrando una gran voglia di essere come tutti gli altri, un italiano in cerca di una vita migliore, non solo lavorativa, ma anche culturale. Nell'assalto, ci sono stati anche altri feriti, tra i quali Pablo Marì, difensore del Monza. Ma fortunatamente sia Pablo che tutti gli altri feriti se la caveranno con una guarigione in tempi piuttosto brevi, non essendo stati in pericolo di vita.
Restano tante domande in sospeso! Tra queste, chi aveva in custodia il soggetto, che se ne andava in giro indisturbato, stante che la sua situazione era chiaramente definibile come quella di una personalità pericolosamente disturbata? E chi lo aveva in cura, come mai aveva pensato di fargli la visita rinviandola di quasi un mese? Chi è che dovrebbe vigilare sulla salute mentale degli individui, se nessuno si accorge che questi individui sono soggetti che vanno valutati molto seriamente? Forse la medicina psichiatrica presenta molte lacune, come di competenza nelle analisi, e il coraggio di prendere decisioni impopolari, ma che la famiglia deve accettare e farne un proprio dovere di ascolto. Anche perché oggi la famiglia dell'omicida dovrà sobbarcarsi  una serie di denunce per danni e spese legali non quantificabili al momento, ma comunque cospicue. E sempre di ieri è la notizia dell'omicidio ad Asso, provincia di Como, del Maresciallo dei carabinieri, ad opera di un commilitone. Fattore scatenante, il rifiuto da parte del comandante della stazione di reintegrare il militare in servizio, perchè aveva avuto in passato comportamenti che avevano indotto l'arma a sottoporlo a visita psichiatrica. Ma sembra che non si sa quale struttura,  lo abbia ritenuto completamente riabilitato e pronto a riprendere il suo lavoro. Ed infatti era talmente guarito che al diniego del suo superiore ha risposto con un colpo di pistola che ha ucciso il malcapitato. Non contento, si è barricato nella stazione e sono dovute intervenire le squadre speciali per stanarlo, con il ferimento di una delle guardie del Gis, intervenute per fermarlo. Resta forte il dubbio che ci sia stata una blanda e poco seria valutazione del soggetto, con un'analisi che non  ha colto la pericolosità sociale del brigadiere, e i fatti lo hanno dimostrato. 

Posso descrivere quello che mi capitò a me personalmente, con un collega. Tralascio i fatti particolari, ma un giorno, con questo collega che reputavo una persona altamente equilibrata e di profonda cultura, scoppia una lite, piuttosto furiosa, per motivi oltremodo futili, e fui accusato di cose inesistenti e inconciliabili con il mio comportamento. Rimasi di stucco e mi permisi di dirgli: "Non ti metto le mani addosso solo per la stima e l'amicizia che ho nei tuoi confronti, ma se fosse successo con un altro, non avrei esitato a passare alle vie di fatto". Colpii nel segno, si calmò, ma io rimasi piuttosto perplesso. Cosa gli era successo? Mi informai, e anche grazie a notizie che avevo già in possesso, capii che il suo era un matrimonio difficile, ma una reazione così era lo stesso esagerata. Intanto l'azienda non solo non se ne accorgeva, ma lo incaricava di mansioni di carattere superiore. Non sapevo con chi parlare, quel giorno c'era solo una collega con me, ed era spaventata. La fissai, e lei non sapeva che dire.
Qualche mese dopo, il mio collega sparì di colpo. Il fatto che lasciava sbigottiti era che non aveva preso nessuna somma di denaro o valori. Non aveva fatto danni, ma era scomparso improvvisamente. Finì persino a "Chi l'ha visto?", ma fortunatamente ritornò, in seguito, a casa. Poi, dopo qualche tempo, sparì  di nuovo, ma la famiglia comunicò alla redazione di "Chi l'ha visto", di non occuparsi più  del caso, in quanto sotto controllo dei parenti. Non lo vidi mai più! Ed anche qui, possibile che io, semplice impiegato, senza nessuna competenza in materia psichiatrica, avessi compreso che il soggetto era instabile, mentre chi doveva capirlo non se ne curava? Il dispiacere più grande era non avere avuto la possibilità di avvisare o potere parlare con qualcuno di queste sue difficoltà. Spesso si hanno le mani legate, perché probabilmente sarei stato scambiato per uno che voleva fare le" scarpe" al collega, con l'unico intento di denigrarlo. ma io gli volevo bene, apprezzavo la sua umanità e la sua cultura, esibita negli anni in cui avevamo lavorato insieme. 
Ma qualche tempo dopo, mi trovai in una situazione analoga.
Un collega, appena andato in pensione, telefonò nell'agenzia, lo riconobbi immediatamente, ma lui sembrava non conoscermi, pretendendo di parlare con una collega. Gli chiesi il cognome per riferirlo alla collega, e mi rispose comunicandomi  il cognome della moglie. Naturalmente, conoscevo la moglie, e capii che non dovevo insistere. Nel tempo seguirono altri comportamenti strani, ed io mi permisi di parlare con la collega, con la quale aveva molta confidenza, e mi rispose che anche lei era preoccupata. Alcuni comportamenti non erano proprio normali, e me ne fornì altri esempi. Temevo che fosse in preda a qualche forma di depressione, e non sapevo cosa fare. Siccome non sono uno che si fa gli affari suoi, e non accetto di stare con le mani in mano, riuscii un giorno a contattare un suo parente. 
L'approccio non fu facile, ma con molto tatto, gli dissi: "So che potrei sbagliarmi, ma siccome la salute di .... mi sta molto a cuore, mi sento in dovere di dirti che non sono tranquillo!" "Perché?" Mi chiese. Continuai: "Alcuni atteggiamenti di ... non mi sembrano proprio degni della sua persona, voglio spiegarmi, è sempre gentile, ma io, potrei sbagliarmi, vorrei che in famiglia indagaste e magari capire se ci possono essere avvisaglie di depressioni o altro, chiedo scusa, magari mi darete dell'impiccione, ma io non posso stare zitto. Meglio un falso allarme, che uno vero non dato!" Mi ascoltò con interesse, e con intelligenza capì cosa volevo dire. Ci salutammo, e io ancora mi scusai. Qualche mese dopo, ritrovai quel mio collega, con la moglie, e parlammo con simpatia salutandoci con affetto. Non presentava più disturbi o problemi, e ne fui sollevato. Ma ancora più sollevato fu il fatto che nessuno mi aveva cercato o peggio,  mi avesse  detto che ero uno che si doveva fare gli affari suoi. E questo voleva dire che forse avevo colto nel segno.
Non so cosa sia successo, ma pensai che stavolta avevo scongiurato un pericolo. Soprattutto perchè, a differenza della maggior parte degli individui della nostra società, non mi sono voltato dall'altra parte.
L'indifferenza spesso uccide!