Non siamo, per fortuna, ai livelli di quanto accadde in Inghilterra negli anni '80. Centinaia di feriti, tanti i morti, tanti gli scontri, gli incidenti, per arrivare poi al pugno duro della Thatcher che farà scuola. Almeno in Inghilterra. In Italia, no. Siamo ancora lontani anni luce da quel modello.
Un modello che ha portato sicurezza negli stadi, stadi moderni, funzionali e luogo dove vivere e condividere la passione per il calcio. Certo, qualche delinquente c'è ancora. Ma viene sgamato nel giro di un niente e pagherò caramente il suo gesto. Perché l'impunità in Inghilterra non esiste. Il calcio, si dice, è uno dei principali sport del mondo, forse il più seguito. Se vai a vedere una partita di tennis, di pallavolo, di basket, difficilmente ti comporterai in modo disonesto, incivile, delinquenziale. L'ambiente non lo consente. Non ci si pone il problema del "buu", salvo qualche isolato e raro caso. Nel calcio, invece, tutto è normale, perché tutto, nel nome di non si sa cosa, almeno in Italia, è stato consentito, tollerato. A pensar male significa che il calcio è ricattato. Da chi? Per quale motivo? Altrimenti non si spiegherebbe la difficoltà nell'adottare misure minime, a partire dalle società oltre che dai giocatori. 

In questi ultimi mesi si è più parlato di ciò che accade fuori dal campo che nel campo. Stiamo distruggendo il calcio. La gente si allontana, non appassiona più. Sono tante le cannonate che ha dovuto subire, corruzione, calciopoli, mafie, tangenti, violenze, criminalità, combine. Il vaso sta per traboccare. I segnali ci sono tutti.  Il tutto da un certo punto di vista va in linea con quanto accade nella società.

Viviamo un periodo storico difficile, ad alta tensione. E lo stadio diventa teatro dove il peggio prende forma. Ma qui chi ha la responsabilità della governance del calcio sembra non volerlo capire.