“Christian Eriksen era morto, c’è stato un arresto cardiaco. Non so come abbiamo fatto a riportarlo indietro. Si è aggrappato alla vita”.
Così il medico sociale della nazionale danese il giorno dopo quel terribile sabato pomeriggio; quando il fantasista 29enne perde i sensi improvvisamente accasciandosi a terra al minuto 43’ di Danimarca Finlandia. Il teatro in cui è andato in scena questo spettrale evento è il Parken Stadium di Copenaghen; il contesto sarebbe dovuto essere di festa, l’Europeo della rinascita, dopo il difficile periodo del COVID-19, si stava trasformando in disgrazia. La morte è da sempre considerata la più grande paura dell’uomo: il filosofo latino Seneca provò a trattarla nell’epistola al suo amico Lucilio, nella quale attraverso la metafora della clessidra salda il tema della morte e quello del tempo. Considerava la morte un qualcosa che annientasse o liberasse l’uomo. Il tempo scorre inesorabile, pertanto la morte non giunge improvvisa ma ci è perennemente vicina; ciò che viene comunemente denominata morte, è l’ultimo atto di quel lungo processo chiamato vita. La morte viene quindi paragonata all’ultimo granello di sabbia che all’interno della clessidra ne completa il travaso. 
Anche il filosofo Epicuro si cimentò nell’ardua trattazione di questo stesso argomento. L’anima umana è di natura atomica, quindi inevitabilmente soggetta ad aggregazione e disgregazione. Le sensazioni e le emozioni sono percepibili solo quando l’anima stessa è unita al corpo; avvenendo la morte in uno stato di assoluta incoscienza, l’uomo non ha alcun motivo di temerla. La sua tesi giunge quindi ad una conclusione fredda ma allo stesso tempo ovvia: la vita e la morte sono due concetti che si escludono a vicenda, quindi non può suscitare timore ciò che avviene in nostra assenza.
Certo che un conto è trattare questo argomento in maniera quasi del tutto distaccata, altro conto è assistere alla realizzazione concreta di questo evento, lì a pochi passi da te e poco importa se la vittima è tuo fratello, un tuo amico, un conoscente o un tuo avversario perché prima di tutti questi appellativi, è una persona. Questa è l’esperienza che hanno dovuto vivere i giocatori, allenatori medici e tifosi di Danimarca e Finlandia. Ci vuole troppo coraggio in queste situazioni, bisogna mantenere freddezza e lucidità, impossibile. Non per Simon Kjaer, l’eroe di questa vicenda. Nel giorno in cui, da CAPITANO, porta in campo il suo paese nel suo paese, dimostra di aver dato a quella fascia non un significato simbolico (una fascia con la C da mettere sul braccio), ma decisamente concreto e superiore. In quei 12 interminabili secondi, sono racchiusi i 12 anni di amicizia tra lui e Christian, dove l’amico di sempre ha bisogno di Simon. Il glaciale capitano, resosi conto della gravità della situazione prima di tutti, si getta sul compagno per tirarne fuori la lingua dalla bocca così da evitarne l’eventuale soffocamento e per metterlo nella giusta posizioni, così da consentire le necessarie manovre. Un gesto lucido ed estremamente decisivo per contrastare una situazione già sul filo del rasoio. L’intervento dei medici e l’utilizzo del defibrillatore faranno il resto. Come se non bastasse, Simon invita i compagni a creare una barriera per proteggere l’amico dagli sguardi fin troppo indiscreti delle telecamere. Mentre tutti di spalle pregano e si disperano, il Capitano osserva l’intervento dei medici; decide che non è il momento di disperarsi, ma è il momento di fare qualcosa per evitare di essere disperati in seguito. Non vuole arrendersi, non vuole dipendere dal destino, vuole dominarlo. Infine consola la compagna di Christian, Sabrina, accorsa disperata sul terreno di gioco.
La partita riprende in un clima di incertezza surreale e Simon dimostra che il suo cuore non è di ghiaccio; dimostra di non essere un robot, ma un semplice uomo, seppur pronto ad affrontare qualcosa più grande di lui. Ed infatti crolla e chiede la sostituzione, ma prima torna in campo davanti a tutti per riportare nuovamente sul terreno di gioco la sua nazione.

Il concetto di uomo e di capitano sono stati resi concreti nel più sublime dei modi da Simon, divenuto eroe per un pomeriggio. 
E se è vero che ci sono vite che capitano quasi per caso, delle quali si ricorda poco e nulla e invece vite da CAPITANO dove la responsabilità fa da padrona, quella di Simon Kjaer appartiene di diritto alla seconda categoria.