Una figlia che perde il padre è un’orfana. Una moglie che perde il marito è una vedova. Ma quando un padre perde la figlia? Non c’è un nome. Probabilmente perché, da sempre, l’uomo ha trovato nel silenzio un rifugio sicuro, o semplicemente perchè sopravvivere alla propria figlia è un avvenimento tanto innaturale quanto crudele, a cui l’uomo non riesce a dare spiegazioni né, tantomeno, un appellativo. Luis Enrique ha dovuto subire questa terribile esperienza quando nel luglio del 2019 perse la sua Stellina, Xana. La bimba è venuta a mancare alla tenera età di nove anni, dopo aver lottato per cinque interminabili mesi contro un osteosarcoma (tumore maligno rarissimo che attacca le ossa). Probabilmente quando si tocca il dolore in maniera così direttamente atroce e con il cuore, si riesce a dare il giusto peso alle cose.

Martedì scorso la Nazionale spagnola capitanata da Luis Enrique si è dovuta arrendere all’Italia nella semifinale degli europei, dopo una partita bellissima, aperta e combattuta. E se i giocatori spagnoli sono usciti a testa alta dalla competizione, il loro allenatore ancor di più. Prima di tutto dal punto di vista tattico: lui stesso ha affermato che dopo aver visto Chiellini e Bonucci sovrastare Lukaku, si è comportato di conseguenza. I primi 60 minuti senza una prima punta di ruolo (Morata) per inserire un uomo in più a centrocampo (Oyarzabal) per non dare punti di riferimento alla retroguardia avversaria e donare maggiore imprevedibilità alla propria squadra. Ha dimostrato anche lucidità nel saper leggere la gara in corso d’opera, inserendo Morata, decisivo per allungare la partita almeno sino ai supplementari. Capisce quindi che, quando il gioco non basta più, bisogna mettere la punta in grado di rompere gli schemi. Ha, inoltre, bloccato tutte la maggiori fonti di gioco della Nazionale italiana, come Jorginho, Verratti o Bonucci, lasciando l’impostazione a Chiellini (non proprio il suo marchio di fabbrica). I dati a fine partita sorridono al tecnico spagnolo: 70% di possesso palla per un totale di 805 passaggi realizzati contro i 287 degli Azzurri. Che fosse un grande allenatore si sapeva, questa partita ne è stata semplicemente un’ulteriore prova; quello che maggiormente risalta dopo la partita di ieri (oltre che il risultato finale, mai banale nel calcio) è senz’altro l’atteggiamento estremamente signorile del tecnico iberico. Nelle consuete interviste post-partita, siamo ormai abituati ad assistere ad una sorta di teatrino, dove il tecnico perdente si aggrappa a delle scuse inesistenti finendo, talvolta, per risultare ridicolo a chi ascolta. Luis è differente; dopo aver abbracciato e confortato uno ad uno i suoi ragazzi, si è complimentato con mister Mancini e tutti i giocatori italiani, si è presentato in conferenza dichiarando che in finale tiferà per l’Italia. “Questa sera ho visto due squadre di ottimo livello: è stato uno spettacolo per tutti i tifosi, devo fare i complimenti all’Italia(…) non ho rimpianti, spero che in finale (l’Italia NDR) possa fare un’altra bella partita e vincere l’Europeo”.
Niente da dire, encomiabile. Io canterei così con Lucio Battisti, per Luis Enrique: "In un mondo che non ci vuole più, il mio canto libero sei tu". In un calcio logorato dal denaro e dall’egoismo, assistere a manifestazioni di tale genuinità è fantasticamente rassicurante.

Grazie Luis per questa dimostrazione di egregia signorilità e di puro romanticismo. Tu tiferai per noi in campo domenica, ma noi tiferemo per te nella vita, dentro e fuori dal rettangolo verde.