Nulla viene dal nulla e nulla ritorna nel nulla. Così inizia la conferenza di presentazione del nuovo allenatore della Roma: Josè Mourinho.

Andando a ritroso nel tempo, tutti ricordano l’annuncio lampo e totalmente improvviso con cui la Roma, tramite i propri account social, diede il benvenuto al tecnico portoghese. Erano le 15 di pomeriggio del 4 maggio, quando venne ufficializzato e reso di conseguenza pubblico l’accordo tra le parti. Una notizia sconvolgente ed inaspettata, a cui i tifosi romanisti stentavano a credere. Invece era vero, era concreto e reale. Mourinho si stava accingendo a diventare il nuovo tecnico giallorosso. Essendo Roma una città estremamente viscerale (calcisticamente parlando), che si lascia trasportare dalle emozioni, le quali la rendono unica ed inimitabile nel suo genere, l’entusiasmo impazzì alle stelle. Una notizia che aveva il sapore di vittoria e di riscatto, per una piazza che stava attraversando un periodo difficile della stagione (nelle ultime 10 partite di campionato prima dell’annuncio, aveva trovato la vittoria solo in tre occasioni) e che non vede un titolo da troppo tempo (una coppa Italia nel maggio del 2008). Una tifoseria riconosciuta per la sua grande passione in tutto il continente merita molto di più.  
Roma è una città che ha bisogno di emozioni forti, ha bisogno di sentirsi grande; un allenatore dal calibro di Mourinho che sceglie la Roma (qualsiasi fossero le sue altre offerte e possibilità, poco importa) è un segnale forte, che fin da subito ha scalfito il cuore di ogni tifoso. L’annuncio bomba oltre alle emozioni di giubilo dei tifosi giallorossi, ha suscitato un dibattito infuocato che nella città di Roma, ha trovato una prateria in cui galoppare ed alimentarsi. Come in ogni dibattito che si rispetti, si trovano di fronte oppositori, che enunciano e difendono (con argomentazioni più o meno valide) la propria tesi
Da una parte vi erano coloro i quali ritenevano fosse un allenatore “bollito”. Un allenatore non più capace di trascinare al successo la propria squadra attraverso il suo carisma (marchio di fabbrica a lui riconosciuto a livello planetario). A favore della propria tesi facevano riferimento alle sue ultime tre esperienze inglesi (Chelsea, Manchester United e Totthenam in ordine) terminate con tre esoneri. C’è da precisare però che in queste tre esperienze, complessivamente di 5 stagioni, ha vinto 5 trofei. Nella sua prima stagione del ritorno al Chelsea, arrivò terzo in Premier e lascio la Champions da semifinalista, gettando le basi per i due trofei dell’anno successivo, Premier e coppa di lega. Poi l’approdo al Manchester United; nella prima stagione con i Red Devils vince tre trofei: Community Shield, Coppa di Lega ed Europa League. Con il Totthenam è vero, non ha ottenuto titoli (prima volta nella sua carriera) ma ha ereditato una squadra in disarmo (che galleggiava a metà classifica) ed estremamente demotivata dopo la sconfitta in finale di Champions dell’anno precedente, portandola in Europa League. Sostenevano che non fosse più in grado di imporre il suo stile di gioco e la propria identità ma che campasse di rendita per i suoi, innumerevoli aggiungo io, successi passati.
Dall’altra parte invece gli euforici, coloro i quali (probabilmente) presi dalla contentezza per la notizia non erano in grado di pensare razionalmente, ma solo di viaggiare con la mente, immaginando la nuova Roma targata Mou. Io ritengo che non si possa nemmeno lontanamente criticare un allenatore che in 20 anni di carriera da professionista ( dal 2001 con il porto, al 2021 con il Totthenam) ha vinto la bellezza di 25 titoli. Più di un titolo all’anno, non so se rende l’idea. Può piacere o non piacere come persona, come allenatore, come stile di gioco, ma è un vincente e questo (almeno) gli deve essere assolutamente riconosciuto. Neanche arrivato in città e subito è stato dedicato lui, dallo street artist Harry Grebs, un murales (anzi un MOURALES) a Testaccio, che lo ritrae in un’immagine magnificamente iconica: stile vacanze romane, alla guida dello specialino, che diventa SPECIALONE in suo onore, bianco e con la sciarpa giallorossa al collo. Questa è probabilmente la più bella e significativa delle innumerevoli manifestazioni d’affetto che si sono susseguite nei giorni successivi al suo annuncio.   Il 2 luglio è arrivato in città per la prima volta, da allenatore. A prenderlo sono volati i proprietari della Roma, Dan Friedkin ed il figlio Ryan. L’aereo utilizzato per lo spostamento da Lisbona nella capitale è stato il jet privato N1F della flotta Friedkin. A guidarlo lo stesso Dan, ad attenderlo a Ciampino una follia in delirio di 500 persone in tripudio. Giusto per fargli vivere da vicino l’attaccamento congenito della tifoseria. 
La conferenza di presentazione si è tenuta giovedì 8 luglio al Campidoglio nella prestigiosissima terrazza Caffarelli, una zona esclusiva che si apre sulle bellezze artistiche ed architettoniche della capitale, regalando una vista mozzafiato ed una panoramica degna della città su cui si erge.  Essendo lui un grande comunicatore, non poteva che essere una conferenza stampa memorabile e che ha indubbiamente regalato notevoli spunti.  
Gradisce fin da subito precisare quelle che sono le sue intenzioni sulla panchina giallorossa. “Non sono qui in vacanza, tra tre anni mi immagino a festeggiare”. Ma non vuole una vittoria isolata e fine a se stessa, vuole vincere ed iniziare un progetto sostenibile per continuare a vincere.  Afferma inoltre che per lui “la sfida più importante è sempre la successiva, ma questa è senz’altro la più importante della mia carriera”.   Sottolinea di essere vittima dei suoi successi ed ha espresso fin da subito la necessità di aspettare per vincere di nuovo. È arrivata anche una stoccata al veleno, vittima l’Inter. "Voi parlate di titoli e noi di tempo e di progetto, di lavoro. I titoli non sono parole, è troppo facile da dire. Poteva essere una promessa troppo facile, la realtà è altra: tu parli di titoli, noi di tempo, di lavoro, di progetto e migliorare. I titoli arriveranno. La società non vuole successo isolato, vuole arrivare lì e rimanere lì. E' più difficile questo. E' ancora più facile se tu vinci e non hai soldi per pagare gli stipendi. Vogliamo essere sempre sostenibili e siamo uniti in questo pensiero. Lavorare e arriverà".
Non si è tirato indietro neanche per parlare del suo “acerrimo nemico” Antonio Conte, dicendo espressamente che all’Inter nessuno può paragonarsi ad Herrera ed allo stesso Specialone, così come alla Roma nessuno può paragonarsi a Capello o Liedholm. Doveroso il ringraziamento ai tifosi accorsi per lui prima all’aeroporto, poi al centro sportivo di Trigoria. “Mi sento in debito”. 

Si è capito da subito: Mourinho è carico per la sua nuova esperienza, i tifosi non vedono l’ora di vederlo all’opera ed intanto sognano.   Sperano che a fine anno i TITULI nella loro bacheca, intonsa ed impolverata da troppo tempo, possano non essere 0. Potrebbe essere l’inizio di una nuova era? Potrebbe Mourinho essere il fautore di una serie di vittorie che si susseguiranno nel tempo?  
Risposte ora non ve ne sono. I risultati ed il tempo potranno saziare la sete di conoscenza dei tifosi giallorossi.