C’è un detto tipico dello slang palermitano che recita così: "A’ squagghiata ra nivi si virinu i pirtusa” - sciogliendosi la neve, i buchi vengono alla luce. La neve in questione si chiama Coronavirus, i buchi sono quelli della serie D. Buchi sempre esistiti, che purtroppo il blocco sanitario ha però trasformato in un’enorme voragine.

Sulla ripresa non è stata ancora presa una decisione definitiva, almeno non ufficialmente, anche se il presidente della LND, Cosimo Sibilia, continua a propugnare l’idea che i campionati ricomincino. Senza voler trascurare calcio femminile e Calcio a 5, La Lega nazionale dilettanti ha nella serie D il suo principale asset. Stiamo parlando di 168 squadre divise in nove gironi, di 105420 tesserati e di più di 5000 partite all’anno. Stiamo parlando del calcio polveroso di provincia e del nobile calcio decaduto che da lì vuol ripartire (e tante volte così è stato). Stiamo parlando di giovani e giovanissimi che muovono i primi passi tra primavere di successi e un futuro da “giocatori tristi che non hanno vinto mai” ed ex calciatori di calibro che tirano ancora qualche anno e qualche soldo prima di “appendere le scarpe a qualche tipo di muro" e passare la vita “a ridere dentro un bar”. E stiamo parlando della passione di tantissima gente, che il campanile se lo porta dentro e rifugge il fascino delle tre grandi squadre a strisce.

E la serie D ed è in serie difficoltà.
Come per i professionisti, l’attività in questo momento risulta sospesa sino al prossimo 4 maggio, ma ora si cerca di capire che cosa succederà, sia in merito all’esito dei campionati 2019/2020, sia per la prossima stagione. Al momento, applicare i vari protocolli di sicurezza sanitaria emanati per i professionisti sarebbe, per i dilettanti, pressoché impossibile. Si attendono comunque le decisioni del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, e del Consiglio federale. Lo stop definitivo è un’ipotesi, nonostante gli sforzi e la volonta di Sibilia, ma in quel caso sarebbe abbasatnza complicato cristallizzare il tutto. Promuovere le attuali prime in classifica? Premiare chi era in testa al termine del girone d'andata? Seguire il criterio della media punti? Oppure annullare completamente la stagione? Sono soluzioni già difficili da mettere in pratica per campionati omogenei come quelli professionistici, figurarsi per la eterogenea composizione dei vari campionati dilettanti; eterogenei sia dal punto di vista territoriale (e ci stiamo rendendo conto di quanto diverse siano le realtà regionali italiane), sia dal punto di vista societario (basti pensare che in D oggi militano il Palermo e il Gozzano, il Bari e il Borgosesia, il Siena e la Pergolettese).

Insomma, questa crisi rischia di far scomparire il calcio degli invisibili, i quali ora più che mai stanno sperimentando quanto siano effettivamente invisibili. Perché, promesse di un fondo speciale a parte (Spadafora ha parlato di 400 milioni), mai nulla è stato fatto per mettere il calcio dei dilettanti in sicurezza dagli stenti del quotidiano e nulla è stato ancora deciso per non farlo inghiottire dal Coronavirus e dalla crisi ch’esso si porta dietro, come i detriti di macerie generate da uno Tsunami.
Uno Tsunami, sì, che travolge società e persone.
Tante, tantissime società rischiano di sparire, una cinquantina almeno. Trattandosi infatti di realtà sportive che s'appoggiano alle piccole e medie imprese del territorio, succede che: queste aziende sono ferme e non possono perciò sponsorizzare i club, i quali, di conseguenza, non potranno iscriversi ai prossimi campionati; generalmente si tratta di accordi verbali di tipo fiduciario, quindi è presumibile che gl'importi delle sponsorizzazioni non ancora versati nelle casse della società si perderanno ed esse si troveranno di fronte a una situazione molto difficile. E tanta, tantissima gente rischia di finire letteralmente sul lastrico, persone che di serie D vivono e che, non giocandosi le partite, non percepiscono i rimborsi. Già, i rimborsi. Mentre infatti nelle categorie superiori esistono regolari contratti che garantiscono stipendi e contributi, in Serie D gli stipendi si chiamano rimborsi e questi non comprendono contributi e non vengono erogati se non si scende in campo.

Questa è la situazione, questa è la serie D italiana: un malato di lunga degenza, che adesso rischia di essere terminale. Attenzione però, guai a pensare che basterà passare la notte per salvarsi. A nuttata adda passà e in un modo o nell’altro passerà (ho fiducia nelle istituzioni); ma il malato rimarrà tale, se non si appronterà una terapia generale. Le proposte in tal senso, da parte degli addetti ai lavori, ci sono. Proposte che vanno al di là di questa emergenza, sulla quale devono intervenire le istituzioni, così come stanno facendo per sostenere altre criticità del Paese. Però, ammesso che ciò accada e che si riesca a salvare il salvabile, non si può pensare di tornare poi al punto di prima. Occorre una riforma strutturale, occorrono soluzioni strutturali. Occorre un piano Marshall per la D, che provo qui a riassumere in sei punti, collazionando idee, richieste e suggerimenti di coloro che vivono la serie D sulla propria pelle, presidenti in primis.
1) Iscrizione: fissare una quota unica e forfettaria di iscrizione ai campionati, che sia onnicomprensiva di tutte le voci (iscrizioni della prima squadra e di quelle giovanili, tesseramenti, spese per commissari di campo, ecc.). cosicché ogni società possa conoscere fin dall'inizio l'importo esatto da versare.
2) Fideiussione: deve certamente rimanere come pratica per garantire la regolarità dei campionati, ma può benissimo essere articolata secondo criteri, cogenti sì ma, meno opprimenti e magari un po' meno esosi.
3) Multe: eliminare le ammende pecuniarie e trasformare tutto in squalifiche e punti di penalizzazione.
4) Commissari: ogni società metta a disposizione dirigenti qualificati per svolgere gratuitamente questo servizio ove occorra.
5) Arbitri e guardalinee: non devono provenire da residenze lontane oltre i 100 km, eccezion fatta per Sicilia e Sardegna.
6) Blocco ripescaggi: per la prossima stagione 2020/21 bloccare ogni ripescaggio, al fine di evitare che le tante società ripescate si espongano ad investimenti e costi (tasse d'iscrizione, tesseramenti, affitti dei campi e omologazioni dei tappeti erbosi, delle tribune e dell'illuminazione, terna arbitrale, commissario di campo, osservatore degli arbitri), costi che poi nel corso del campionato rischierebbero di non poter onorare.

Ripartendo da qui (se si riparte), si potrebbe iniziare un virtuoso percorso di riforma del calcio minore, la cui sopravvivenza è essenziale, oltre che per tutti gli aspetti socio-economici sopra esposti, anche per l’esistenza stessa del sistema calcio tutto: un eco(calcio)sistema imperfetto in cui anche le piccole api della terza categoria diventano essenziali per i pesci grossi della serie A.
Come si fa a non ripartire?