Ogni partita è importantissima per un tifoso, anche la più banale e insignificante.
Il tifoso soffre tantissimo se un qualsiasi evento, che sia esso di natura lavorativa o familiare, gli nega la possibilità di seguire la propria squadra del cuore. Seguire quei ragazzi che vestono i colori che amiamo è un diritto-dovere di ogni supporter che si rispetti: una gara della propria squadra non rappresenta un appuntamento importante, ma un impegno inderogabile. Non esiste lavoro, vacanza, malattia o stato d’animo che lasci un tifoso in condizione di serenità con se stessi nel non seguire una partita.
Nel mio caso però, quando arriva Roma-Napoli, la tentazione di scappare da questo dovere è forte: stavolta per cercare una scusa per non vederla, mi sono interessato a una fiera del cioccolato che si teneva nel week-end in quel di Vicenza, cittadina in cui non ero mai stato e di conseguenza un’ottima opportunità per unire la passione per il cioccolato e per conoscere un posto ancora sconosciuto.
Un’offerta trovata sul web che univa la "combo" hotel e Spa ha reso tutto più semplice: 

FR27: “amò guarda qua? Che ne dici di farci due giorni a Vicenza? C’è la fiera del cioccolato e abbiamo anche un’ora e mezza di spa tutta per noi…” 
Jay: “ma non devi vedere la partita?”
FR27: “vabbè ma mica è la fine del mondo se non la vedo… andiamo poi si vede, al massimo la vediamo lì…”
Jay: “Va bene andiamo… ma io voglio vedere la partita”
FR27: “azz! Mo sei diventata ultrà! Va bene poi ci sediamo a vederla da qualche parte.

Giunti a Vicenza, ci fiondiamo a degustare le prelibatezze vendute in fiera, poi pranzo veloce in un locale partenopeo situato in centro, e nel pomeriggio rilassante percorso spa per liberarsi dalle tossine, prima di farne carico copioso in serata. A cena, ancora nel medesimo locale in cui eravamo stati per il pranzo: 
Coscienza FR27: “eh vabbè ma allora dillo… vai a Vicenza per non vedere Roma-Napoli poi ti fai un giorno interno in un locale napoletano…questo è masochismo!” 
Il suddetto ristorante non avendo contratti in essere con le emittenti che trasmettono la nostra serie A, non aveva modo di farci vedere la partita, e allora tampinato da Jay torniamo in albergo per seguirla in camera, lontani da subbuglio e tifosi “ospiti”.
Sia chiaro, la mia riluttanza a seguire la partita non nasce da un cuore diviso a metà: sono romanista fino al midollo, nonostante qualche timido approccio azzurro in tenerissima età di cui ho già parlato qualche tempo fa. Però… però inevitabilmente non sarà mai una partita come le altre per me. Il Napoli è la “ragione”: quella di essere nato e cresciuto alle falde del Vesuvio; la Roma è ovviamente il “cuore”: la mia vita, è l’as Roma, unico grande amore, la squadra che mi fa diventare pazzo ogni santo giorno. E ragione e cuore vanno in conflitto, non solo nella quotidianità e nelle scelte, ma anche in cose “piccole” come il tifo sportivo. Napoli sarà sempre la mia città, una città che sento dentro come la lava di quel Vesuvio inneggiato a esplodere ogni maledetta domenica, non solo quando a fronteggiarsi sono le compagini che danno vita al “derby del sole”. E allora è dura, veramente dura approcciare una partita in cui sai già che quel maledetto coro, becero, inutile e insulso verrà scandito forte e chiaro; anche stavolta - ovviamente - non poteva mancare la consueta sciocchezza, sperando che non vada a compromettere il derby previsto fra due partite, ovvero la prossima gara casalinga dei giallorossi, già con “pena sospesa” per via di cori ingiuriosi rivolti a Ibrahimovic in Roma-Milan di un anno fa.
Mi perdoneranno i miei compagni di tifo se ogni volta che viene intonato quel coro resto in religioso silenzio, e per carità, non voglio dare lezioni di moralità: so perfettamente che quel che si canta allo stadio non è lo specchio di quel che si pensa in realtà, o almeno certamente gran parte non spera davvero che la natura si manifesti con eventi catastrofici. In ogni caso sono napoletano e orgoglioso di esserlo: mi svincolo “dall’azzurro nelle vene”, ma inserimenti pure dentro a tutti gli altri stereotipi: sarò sempre fiero dell’accento, della pizza, del Vesuvio, del sole e del mare, addolorato dalle accezioni negative che talvolta esistono perché meritate nel tempo, a causa di qualcuno che con i suoi comportamenti nefasti ha permesso agli stolti che si facesse “di tutta l’erba un fascio”.
Perdere ieri, nonostante il mio essere napoletano, non è stato meno doloroso, anzi: i miei amici campani mi hanno tartassato, ma a parte gli sfottò, che si accettano, del resto fanno parte del gioco, era una partita da vincere a tutti i costi, sia per la classifica - adesso scavalcati dalla Lazio - sia per misurare valori e ambizione.
Tutto sommato, non riesco nemmeno ad essere negativo da un punto di vista della prestazione offerta: gli azzurri in questo momento sono una squadra quasi inarrestabile, come dimostrano le undici vittorie consecutive tra campionato e Champions League. A differenza di altre circostanze in cui palesando un gioco "orchestrale" hanno inflitto sconfitte sonorissime a squadre come Liverpool e Ajax, ieri hanno si vinto, ma facendo molta fatica a esprimere il loro piano gara.
La partita pensata da Mourinho era stata bene interpretata dai giocatori, che per larghi tratti non hanno lasciato sfogo alla fantasia di Kvaratskhelia e in generale degli avanti partenopei, soffocati sul nascere sin dagli sbocchi a centrocampo creati da Lobotka e Zielinski, mai veramente in grado di creare scompiglio in mezzo al campo. Una partita in cui gli attaccanti azzurri non sono mai riusciti a creare reali pericoli a Rui Patricio, e che faceva il paio con quelli della Roma, dal canto loro se possibile ancora più innocui dei dirimpettai, non riuscendosi praticamente mai a presentare dinanzi all’estremo difensore partenopeo. I novanta minuti quindi indicavano il pari come risultato più giusto, ma davanti alla giocata clamorosa di Osimhen, possiamo solo restare a bocca aperta e applaudire. Il centravanti nigeriano vince il duello con uno Smalling fino a quel momento insuperabile - come da inizio anno tra l’altro - e colpisce di collo a incrociare, mandando nell’angolino più lontano la sfera e le preoccupazioni che cominciavano a calare sulla lucida “coccia” di Spalletti, il quale rischiava di uscire ancora senza successi nei confronti diretti con il "mago di Setubal".
Mourinho che ad essere onesti non è sembrato perfetto nella gestione dei cambi, optando per Belotti in luogo di un Abraham comunque ancora lontanissimo da quell’attaccante che ci aveva fatto innamorare solo pochi mesi fa, ma in ogni caso autore di settanta minuti comunque migliori dei venti offerti dall’attaccante italiano. Dopo il vantaggio ospite, ancora peggiori le scelte del portoghese, che puntando sul "tutto o niente" ha messo dentro “duecento” attaccanti: El Shaarawy e Shomurodov per Mancini e Spinazzola, tenendo dentro Pellegrini e Belotti: mancava solo “bomber” Pruzzo, che pure era presente sugli spalti e lo schieramento di punte sarebbe stato completo.
L’unico effetto sortito è stato quello di consegnarsi totalmente al palleggio degli uomini di Spalletti, non riuscendo più a controllare neanche un pallone. Sconfitta che ridimensiona sogni e ambizioni, anche se il tempo di rimediare c'è, e l'essere riusciti a restare dentro la sfida fino alla fine è comunque un buon segnale, soprattutto considerando che a questo undici mancano due giocatori chiave del mercato estivo come Dybala e il lungodegente Wijnaldum, vero uomo della "provvidenza" che manca tantissimo al gioco pensato dal mister lusitano. 

FR27: "lo sapevo io che non me la dovevo vedere!"
Jay: "ma che dici? Ovvio che la dovevi vedere!"
FR27: "Eh lo so, figurati se non me la vedevo...faccio sempre così ma poi come faccio a non vedermi la Roma? Non riesco a pensare ad altro..."
Jay: "...come se non ti conoscessi"

Tre punti che gli azzurri aggiungono ai ventisei già raccolti nelle prime dieci di campionato, portandosi a ventinove e mantenendo quindi lo scontro diretto di vantaggio sul Milan, a quota ventisei. Non nego che a veder vincere squadre del Nord, preferirei senza alcun dubbio veder festeggiare gli azzurri, seppur questa eventualità mi costerebbe sfottò senza tregua durante le mie sortite campane. Sono certo comunque che non sarei l’oggetto numero uno degli sberleffi partenopei, di gran lunga più interessati a “sfruculiare” (stuzzicare) i tifosi della juve - in primis - e delle milanesi.
“Eh ma se vince il Napoli chi li sopporta… non vincono mai, sai che combinano… meglio che vince la Juve o le strisciate almeno festeggiano mezza giornata”.
Quante volte ho sentito questa stupidata. Capisco un discorso del genere sostenuto dai tifosi delle strisciate che si “spalleggiano” tra loro, ma noi? Proprio noi parliamo di festeggiamenti? Non mi è chiaro: il fatto che dei tifosi siano felici di vincere dopo tempo è un problema? Ma perché noi quando abbiamo vinto siamo rimasti in religioso silenzio? Abbiamo fatto pullman scoperto per la vittoria in Conference, invadendo le strade della capitale e i social; siamo scesi in diecimila in piazza per l’arrivo di Dybala, in trentamila per Adriano che aveva una panza pari a quella del compianto Bud Spencer, senza scomodare i festeggiamenti del 2001, quelli protratti ben oltre il 17 Giugno.
Ed è stato bello, no? Ma esiste una cosa più bella che vedere le persone felici? Centinaia, migliaia di persone in una manifestazione di goduria collettiva: che bellezza! Questo è lo spirito di chi ama lo sport. Si “rosica” di più? Eh beh si, si rosica, ma è per quel tipo di gioia che si ambisce a vincere. Ma che festa è vedere in piazza dieci bandiere per mezzora, poi tutti a casa? Se vinco, io voglio goderne della vittoria, voglio gridarlo al mondo intero: Roma ha vinto! Non vedo dove nasca il problema se a farlo siano gli altri. Capisco che accettare di assistere all’ennesimo trionfo del Milan, dell’Inter o della Juve possa essere vissuto con meno pena, ma vedere il Napoli campione sarebbe anche la dimostrazione che con una gestione oculata e con calciatori che abbiano la giusta mentalità e voglia di arrivare, si possa vincere anche senza avere un portafoglio di spesa gigantesco. Un Napoli che a venti giorno dall’inizio della serie A sembrava totalmente allo sbando e in assoluto stato di smobilitazione. Ospina, Koulibaly, Fabian Ruiz, Insigne e Mertens: l’intera spina dorsale della squadra andata via; sembrava l’inizio della fine per gli azzurri, e invece era certamente un inizio, ma di un progetto vincente: Kim, Kvaravaggio - come soprannominato simpaticamente dai tifosi napoletani - Raspadori e Simeone. Se il georgiano è stato una sorpresa seppur arrivato già con un’aurea da fenomeno sulle spalle, il coreano Kim ha cancellato con una rapidità disarmante il vuoto lasciato da Koulibaly, dimostrando di essere assolutamente all’altezza dell’arduo compito di sostituire il fortissimo centrale senegalese. In attacco Raspadori e Simeone si stanno confermando ben oltre il ruolo di semplici comprimari, risultando spesso decisivi durante il periodo di riposo forzato per Osimhen.
Un Napoli forte non solo negli undici quindi, potendo contare su alternative offensive di assoluto livello: con tutto il rispetto per Petagna - giocatore a mio avviso tra i più scarsi del campionato - un conto è avere il neo-attaccante del Monza come alternativa, un altro è pescare dalla panchina uno dei giovani italiani più interessanti o una punta che viene da un campionato con diciassette gol realizzati.
Oltre all’aspetto offensivo, decisiva nell’impianto di gioco dei partenopei anche la crescita esponenziale di Lobotka, che unita alla dinamicità di Anguissa hanno fatto della squadra di Spalletti la compagine di riferimento del calcio italiano.
Insomma, un mercato estivo pressoché perfetto da parte di Giuntoli e De Laurentiis, liberatisi di ingaggi onerosi oltre il sostenibile, e probabilmente anche di uomini che avevano dato tutto quanto possibile alla maglia del Napoli, forse anche bisognosi di vivere esperienze diverse e quindi non con quella fame di vestire ancora i colori azzurri, quella che per intenderci si vede nelle fiammate di Kvaravaggio, e negli occhi da tigre con cui Simeone scende in campo quando Spalletti gliene dà possibilità.
E’ proprio questo l’aspetto che forse è mancato in altre circostanze: la voglia, quel fuoco antico che spinge un uomo, un’atleta ad andare oltre l’ostacolo. Il Napoli non aveva bisogno di gente che sostenesse di vivere la maglia come “il sogno da bambino”, aveva bensì necessità di annoverare ragazzi che vivessero il Napoli come l’occasione della propria vita, l’opportunità per vincere e imporsi come calciatori di spicco nel presente e nel futuro.
Certe volte è colpa anche dei tifosi, e in questo napoletani e romanisti sono più simili di quanto siano pronti ad ammettere: innalziamo ad eroi assoluti i nostri beniamini, ben oltre i loro meriti. Questo aspetto crea cortocircuiti mentali nei protagonisti che vivono questa atmosfera da supereroi, da giocatori fatti e finiti, al punto da sentirsi campionissimi pur avendo dimostrato poco o nulla in ambito nazionale ed europeo. E’ un po’ quanto succede con Zaniolo, che seppur con le stigmate da fenomeno, ad oggi si segnala per la doppietta da giovanissimo contro il Porto in Champions League, per una tripletta al Bodo Glimt e il gol in finale di Conference contro il Feyenoord: in mezzo tantissime partite piene di nervosismo, gialli, espulsioni e soprattutto palloni non serviti per intestardirsi in azioni personali troppo spesso fini a loro stesse e non decisive, anzi azioni che se sviluppate con trame logiche avrebbero potuto cambiare il destino di qualche sfida terminata senza vittoria.
Anche ieri ennesima prestazione in ombra per il carrarese, che per carità, si impegna, la suda la maglia, ma dov’è finito quel calciatore devastante che avevamo ammirato? Dopo gli infortuni non è più lo stesso ne fisicamente ne atleticamente: Nico, sei un giocatore diverso, e come tale devi provare movimenti diversi in partita; non hai più quello strappo in progressione che ti permetteva di servire l’uomo all’ultimo metro disponibile, devi dialogare con i compagni di reparto, sennò sei nullo! E Abraham? Sta ancora festeggiando la Conference sui social? Dov’è quell’attaccante che si prendeva la squadra sulle spalle per tecnica, gol, temperamento ed empatia con il pubblico? Siamo già arrivati? 

E’ colpa nostra fratelli giallorossi.
Dobbiamo imparare a legarci alla maglia e a inneggiare meno chi la indossa. Aveva ragione Sabatini: non affezionatevi ai giocatori! Ed è dura, lo so benissimo. Amiamo i giocatori come la nostra maglia, certe volte di più. Adesso c’è già chi mette sulla graticola Mourinho: “questo nun capisce gnente de tattica… nun avemo un gioco… i giocatori nun crescono”; frase sentita da più antenne diverse, gli stessi che misero la croce su Fonseca perchè “famo un bel gioco ma ncassamo troppi gò”, su Spalletti perché “nun capisce un ca**o e poi è n’omo de merda”, su Di Francesco “ma ndò l’avevamo pjato a questo” e così via andando indietro nel tempo.
Un allenatore a Roma ha vita tecnica di diciotto mesi: nasce, cresce, diventa fenomeno, viene discusso, diventa inaccettabile, viene esonerato.
Ci vuole pazienza amici miei: quella che non abbiamo mai avuto nonostante la bacheca sia vuota, ricca solo dell’amore che mettiamo sempre, di partita in partita, di anno in anno.
A proposito: anche a Verona settore ospiti sold out:

Siamo così
È difficile spiegare
Gioie e giornate amare
Lascia stare
Tanto ci potrai trovare qui...
Notte e giorno al tuo fianco
E non sarò mai stanco
Neanche quando
Mi diranno
adesso… firma qui!

Forza Roma Sempre!
FR27