Capovolgere il mondo è desiderio antico e diffuso. I più idealisti provano a farlo con le parole, convinti che esse, scritte o decantate, possano fare la differenza; alcuni tentano di scuotere la monotonia con la musica, essa stessa vita e natura; i più ci provano con il denaro, talvolta anche motivati da autentico spirito “rivoluzionario”, finendo poi per compromettersi per via del potere intrinseco ad esso, ottenendo come risultato quello di lasciare il mondo esattamente com’è. Certi gesti, invece, restano impressi, negli occhi pur senza avere un obiettivo aulico, apparentemente banali seppure nel loro splendore, ricchi di significato e più profondi di quanto si possa immaginare. Sarà per questo che quando Richarlison ha impattato il pallone avvinghiandosi su se stesso, capovolgendo il suo mondo, ha emozionato, lasciato a bocca aperta milioni di telespettatori e tifosi della seleçao. Perché quel gol lì, quel gesto lì, non è la prima volta che lo vediamo, ma realizzarlo in una coppa del mondo è tutta un’altra storia. Quello è il gol che il bambino che si approccia al pallone sogna di fare: forse è arrivato troppo presto nella competizione, ma la competizione è LA competizione, per cui stare li a sindacare sul quando, sembra esercizio eccessivo. Quando il venticinquenne di Espirito Santo colpisce la sfera, non solo regala il doppio vantaggio ai verde-oro, non si limita a firmare la doppietta personale, si consegna alla storia e regala un gesto iconico, un etereo olio su tela indissolubilmente legato alla rassegna mondiale in Qatar, probabilmente uno dei pochi momenti che risulteranno degni di memoria in un contesto che è nato e si è sviluppato come un oceano di nefandezze da cancellare. 

E di nefandezze Richarlison ne ha viste, cresciuto in una favela come tanti suoi compagni, e per questo con possibilità di percorrere la retta via prossime allo zero. Il ragazzo è un “fortunato”, perché possiede il dono più ambito, tenuto lontano dal peggio proprio dal saper dare del “tu” al pallone, per sua stessa ammissione:

"Molti amici che giocavano con me oggi sono in prigione. C’erano tutti i crismi per diventare un delinquente. Il calcio mi ha portato sul percorso giusto".

Nel mio mese “brasiliano”, ho avuto modo di vedere - in parte - quanto sia difficile emergere in un contesto così complicato, in uno stato che fa assolutamente zero per portare alla luce il talento, soprattutto se riguarda altri sport: ricordo un servizio televisivo su alcune promesse del judo già nel giro delle nazionali juniores, costretti a vendere acqua per strada per pagarsi gli allenamenti e quindi continuare ad alimentare le loro chance di carriera. I pochi che riescono nell’impresa, ovviamente sentono l’esigenza di regalare ai loro concittadini condizioni di vita migliori, permettere ai bambini di coltivare in situazioni più agevoli i medesimi sogni, adoperandosi nella creazione di strutture adeguate e rifornendo le famiglie di beni di prima necessità. Richarlison si è impegnato costantemente in questo senso, donando letteralmente tonnellate di alimenti e spendendosi anche in lotte civili come quella contro la deforestazione dell’Amazzonia e contro il razzismo, di cui lo stesso “nove” è stato vittima nell’amichevole di settembre vinta dal Brasile contro la Tunisia: nel 5-1 inferto agli africani, l’attaccante della seleçao si vide recapitare una banana in occasione dei festeggiamenti per la seconda marcatura. Destino ricorderete condiviso tempo fa anche da Dani Alves in un Barça-Villareal, durante la quale “ricevette” una banana dai supporter del “sottomarino giallo”; il calciatore bahiano con supremo sberleffo verso gli stessi, raccolse il frutto e lo mangiò. Dev’essere dura per razzisti e odiatori in genere, ammirare le gesta di questi ragazzi: “o futbol bailado” di Vinicius - erede in tal senso della “ginga” con cui Pelè strapazzò gli svedesi ribaltando i valori del mondo calcistico - la cattiveria agonistica di Casemiro e…le sforbiciate di De Andrade Richarlison. E pensare che il calciatore celato dietro quel magnifico colpo estetico, si era reso protagonista di sessanta minuti sonnecchianti, ingabbiato dai mastodontici centrali della Serbia, bravissimi ad arrestare la punta e le sortite di Neymar e Vini, compagni di reparto de “o pombo”(piccione) com’è simpaticamente soprannominato il centravanti. Un’ora di gioco in cui aveva toccato pochissimi palloni, al punto da portare Lele Adani - opinionista Rai in supporto alla telecronaca - a invocare più volte una sostituzione dello stesso, testardamente tenuto in campo dal commissario tecnico Tite, grande “sponsor” dell’attaccante in forza al Tottenham di Antonio Conte. Tite in telecronaca passava quasi da “pombo” nell’ostinarsi a lasciare in campo Richarlison: a essere onesti, quando in panchina hai Rodrygo, Martinelli, Gabriel Jesus, l’ex viola Pedro, Antony, un eventuale sostituzione non avrebbe certamente fatto gridare allo scandalo, tutti in grado di scuotere le partita e meritevoli di spazio. Tite però, si è fidato ciecamente del “suo” uomo, e a volte in una partita come nella vita, fidarsi paga. Un pallone semplice, soltanto da spingere in porta: è bastato questo per lasciarsi alle spalle un’ora da dimenticare e a spalancare le porte a venti minuti da incorniciare. Poi libero sfogo a smorfie, linguacce e sorrisi in panchina, accanto al “palhaço” (pagliaccio) Dani Alves, sempre aperto a momenti di giubilo e allegria. 

A smorzare in parte l’entusiasmo di Richarlison e dello spogliatoio dei “canarini”, l’infortunio di Neymar, colpito duro da Milenkovic e costretto a saltare la seconda partita che vedeva i verde-oro contrapposti alla Svizzera di Xhaka ed Embolo. Il “dieci” è uscito piuttosto malconcio dalla gara, preoccupato da una lesione ai legamenti della caviglia, apparsa piuttosto gonfia. Il brasiliano si è chiaramente messo subito a lavoro, facendo fisioterapia e cure per cercare di rientrare il prima possibile, consapevole che con i suoi trent’anni compiuti, questo probabilmente sarà il suo ultimo mondiale, quantomeno l’ultimo da “uomo immagine” della seleçao. 

A sentire la mancanza di “o ney”, proprio il “pittore” Richarlison, il quale non riusciva a ripetersi contro la Svizzera nonostante un approccio più vivace rispetto al primo tempo offerto contro la Serbia, risucchiato nella morsa difensiva della nazionale elvetica, scesa in campo con il chiaro intento di strappare un punto ai sudamericani. L’attaccante del Tottenham è un grande estimatore del dieci “parigino”, suo idolo e faro in nazionale. Alle prime apparizioni con la maglia del Brasile infatti, lo stesso attaccante rivelò l’emozione di giocare accanto all’ex blaugrana:

Entrando in campo pensavo: cavolo, sto giocando con Neymar. E poi, quando sono corso ad abbracciarlo dopo un goal, ho pensato: cavolo, sto abbracciando Neymar.”

Nonostante l’indisponibilità di Neymar e il mancato apporto in termini realizzativi di Richarlison, il Brasile è riuscito comunque a portare a casa l’intera posta grazie alla bella conclusione di Casemiro - uomo ormai decisivo oltre i normali compiti di rottura - e con essa anche la qualificazione agli ottavi di finale. Da definire solo la prima posizione, comunque vicina per i brasiliani proprio in virtù del successo contro gli svizzeri, gli unici ancora in grado di pareggiare i 6 punti della nazionale allenata da Tite. La situazione di classifica fa tirare un sospiro di sollievo al commissario tecnico dei verde-oro, costretto a rinunciare oltre che a Neymar anche agli “juventini” Danilo e Sandro, accomunati dall’infausto destino del fantasista in forza al Paris Saint Germain. Contro il Camerun quindi, crescono le possibilità di debutto per il “grande vecchio” Dani Alves, nel caso con i suoi trentanove anni e sei mesi sarebbe il calciatore più anziano a scendere in campo nel mondiale invernale. La Serbia ha potuto constatare in prima persona che la selezione allenata da Song non è da prendere sottogamba, ma le alternative in forza a Tite sono di livello assoluto, e un turnover nell’ultima gara è immaginabile, considerando che è solo la differenza reti a tenere ancora in ballo il primato del gruppo. Per un vecchietto che entra un altro che esce: con 180 minuti giocati e 38 anni sul groppone, un turno di riposo per Thiago Silva è auspicabile, magari in favore del bianconero Bremer, ancora in attesa dell’esordio nella rassegna iridata. Sulla fascia sinistra l’infortunio di Alex Sandro rende l’impiego di Telles una scelta obbligata, mentre al centro difficile che l’allenatore brasiliano si possa provare di Casemiro; più facile che sia Fred a finire in panchina, in favore di Bruno Guimaraes. Davanti Rodrygo dovrebbe partire dal primo minuto al posto di Paquetà, mentre Antony potrebbe far riposare Raphinha e coadiuvare Vinicius alle spalle dell’autore del dipinto più bello del mondiale, sperando di vederlo esultare ancora e ancora e continuare a mettere il suo mondo sottosopra, fino a vederlo con le braccia al cielo a festeggiare il traguardo più ambito:

Vamos là Pombo! 

Vai com tudo! 

Força Brasil!

 

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