Rip our coach. 
Riposa in pace, maestro Bollettieri. 

Già lo vedo lì su. La pelle perennemente abbronzata, gli occhiali da sole all’ultima moda, la voce roca, lo sguardo di chi ne ha viste tante, di chi arriva in Paradiso e si sente subito a suo agio, avendo sempre vissuto l’Olimpo del tennis. Lo vedo che se la ride, mentre insegna a qualche giovane angioletto il rovescio a due mani o sfotticchia Ashe e Gerulaitis che palleggiano da un’eternità. 
Qui si piange. 

Piange il mondo del tennis, piange tutto lo sport. Nick Bollettieri, il maestro dei maestri, è morto. E poco importa se si è spento alla veneranda età di 91 anni (è nato nel 1931 a Pelham - New York), certe persone non hanno età, la loro grandezza ci entra talmente dentro da divenire eterni, come se non dovessero mai andarsene, come se esistessero da sempre. E finisce che quasi non ci pensiamo più, stanno lì, fanno parte di questo mondo, certezze granitiche, montagne ultra millenarie. Quando poi succede (perché purtroppo succede: è la caducità dell’essere umano, bellezza!), noi tutti ci ridestiamo dal torpore dell’assuefazione e ci vergogniamo per il fatto che da tempo non dedicavamo loro un pensiero. E io mi metto a scrivere. 

Eterno Bollettieri ci lascia. Ci lascia il demiurgo del tennis migliore, quello venuto fuori dalla sua Accademia. Fondata nel 1978, a Bradenton, in Florida, è stata fucina di classe e potenza, laboratorio da cui sono venuti fuori gli interpreti migliori del tennis moderno, quello delle bordate micidiali, che partono da braccia tonanti di super atleti che si misurano nei km orari a cui viaggia la pallina. 
Il suo tennis! 
È Bollettieri che segna il passaggio dal compassato tennis tutto classe e serve and volley al tennis moderno, tutto potenza, gambe e precisione. Il "tennis violento", lo definì Gianni Clerici.
Il tennis dello schiaffo: altro elemento introdotto da Bollettieri, quando la palla a mezz’altezza arriva durante una discesa a rete e non viene colpita con una classica e rassicurante volée ma con un colpo al volo, soprattutto di dritto oppure, se del caso, di rovescio purché a due mani. 

Proprio dalla “Nick Bollettieri Tennis Academy” è venuto fuori quello che può essere considerato il progenitore del tennis di adesso: l’americano di Las Vegas Andre Agassi, il pupillo del grande coach, il pioniere del tennis fatto di corsa e palla pesante, il guru dello schiaffo. A lui Bollettieri concesse la retta gratuita, in cambio gli impone d’imparare il rovescio a due mani, perché sosteneva essere il colpo migliore per vincere i grandi tornei (in un tennis sempre più rapido, il rovescio a una mano sarebbe diventato un problema). E Andre lo imparò, altroché se lo imparò! Violento, furioso, fondocampista per vocazione, ricercatore spasmodico delle linee e d’ogni loro possibile incrocio, profeta del rovescio bimane (appunto), l’allora “parrucchino” Andre Kirk Agassi vinceva il suo primo slam, mentre il buon Nick se la godeva sugli spalti, dietro gl’iconici occhiali da sole, che nascondevano un sorriso traboccante d'emozione e di ricordi. I ricordi di un tempo non lontano, quando, a suon di sacrifici immani, aveva trasformato quel quattordicenne scapestrato nel fantastico “flipper” del tennis. 

E poi ancora, Venus e Serena Williams, le sorelle ruggenti dal dritto fulmineo (e, neanche a dirlo, dal rovescio a due mani). Bum bum Becker, il rossiccio fuoriclasse tedesco, che proprio sul rosso pativa maledettamente (arriva comunque in Accademia praticamente a fine carriera, in tempo però per conquistare il Masters di Francoforte e la sua ultima finale a Wimbledon). E Monica Seles, la prima urlatrice del tennis, che introduce nel mondo femminile la forza bruta, smontando pezzo per pezzo il gioco dell’allora regina del circuito, Steffi Grafe. E Maria Sharapova e Pete Sampras e Jim Courier (il primo, tra i Nick - boys and girls, a diventare numero 1) e Jennifer Capriati e Martina Hingis e le italiane Reggi ed Errani … Vengono tutti da lì, dalla fucina di Nick. E alla fine gli slam vinti saranno 84, 12 gli allievi che raggiungeranno la vetta delle classifiche ATP e WTA.

Tra gli atleti che passavano da quelle parti, in pochi lo amavano; in molti ne detestavano i metodi e se la davano a gambe, quelle gambe che non riuscivano a trasformare in pistoni portentosi, come Dio Nick comandava.
Scappavano sì, alcuni segnando inesorabilmente le loro modeste carriere. Il fatto è che proprio non ce la facevano, non riuscivano a tenere i suoi ritmi, la sua disciplina, la cura maniacale della preparazione fisica. Sveglia all’alba, allenamenti fino alle 11.30 e poi ancora dalle 17 fino a sera: entrare nella sua Accademia era come entrare nei Marines. A dirla tutta, lui preferiva accostare la sua scuola ai college americani e in effetti l’impostazione era quella: i suoi allievi erano invitati a vivere all’interno dell’impianto, dove avevano a disposizione campi da gioco aperti a tutte le ore e dove potevano usufruire di numerosi corsi di studio, compatibili con gli allenamenti. Ad ogni modo, college o caserma, stare lì era davvero dura, in tanti si ritiravano e addio ai sogni di gloria. Tutt’oggi, chi sceglie di varcare la soglia dell’Accademia (ormai di proprietà della IMG), deve accettare rigide regole che coinvolgono tutti gli aspetti della vita, dall’alimentazione allo studio, dalla fatica fisica alla preparazione mentale. 

In realtà, quanto a ribellione nemmeno lui s’era fatto mancare niente. Il padre, d’origine napoletana, lo voleva avvocato, tuttavia il giovane Nicholas abbandona dopo tre mesi la facoltà di Giurisprudenza di Miami, perché la sua passione è il tennis. E siccome è un giocatore scarso, comprende quale sia l’unico modo per alimentare questa sua passione e inizia ad insegnare. Inizia a farlo su un campo pubblico, guadagnando tre dollari all’ora (arriverà a prenderne 300 volte tanto). Una laurea comunque la consegue, in filosofia. E la sua filosofia di tennis è simil socratica: il talento, pur se fondamentale, da solo non basta, occorre un duro allenamento, che porti allo sviluppo di quella forma fisica eccellente che ognuno ha dentro di sé, ma che spesso non tira fuori; insomma, una specie di maieutica del fisico. 
Anzi, le lauree sono 2: c’è anche la laurea honoris causa, conferitagli, nel 2008, dal New York College of Health Professions, per il suo impegno al mondo dello sport, del fitness e del benessere in generale. 
Anche la sua vita privata è stata del tutto… singolare, anche lì record e primati. Si è sposato ben 8 volte (alla faccia del singolare), ha avuto sette figli e non ha mai dimenticato le sue origini, tanto da scegliere Capri, e sempre Capri, per ogni suo viaggio di nozze. Come ha detto l’ultima, Cindi Eaton, le sue non sono state mogli, bensì amanti. Era sposato col tennis. 
Qualche mese addietro la figlia Angelique Anne, sui social, aveva scritto: "Papà è prossimo al passaggio a un altro luogo. Vi prego di tenerlo nei vostri pensieri per una partenza serena e un viaggio meraviglioso. Ti vogliamo bene papà".
Cara Angelique, anche noi gliene vogliamo, di quel bene che si vuole alla grandezza, di quella grandezza che azzera le distanze e che, i giganti, ce li fa sentire nostri. E comunque, a ricordacelo ci penserà per sempre la Hall of fame: ci ricorderà che nella sua carriera furono più gli aces che i faults. 

“My aces, my faults" è il titolo di una sua biografia. “Our coach” il titolo di questo mio modesto ricordo di questo magnifico personaggio.
Maestro di tutti, maestro per antonomasia. 
Rest in peace, our coach.