Sono passati 45 anni da quel fatale 8 novembre 1976 quando il piu grande dei capitani del Torino ci lasciò per una devastante aneurisma celebrale a soli 37 anni. Dopo 566 partite giocate, dal 1959 al 1975, fu Capitano del Toro per 12 anni.

“Gioco da mezzala, con l’impegno di marcare la mezzala avversaria più pericolosa” con queste parole Capitan Ferrini definiva il suo ruolo di calciatore. In realtà era ben di piu: rappresentava l’anima del Torino, era il prototipo del giocatore granata, che non molla mai, che cerca di conquistare ogni palla. Duro all’occorrenza, soprattutto se un giocatore avversario adottava un gioco troppo maschio contro un compagno. Dicono che nell’intervallo attaccava al muro dello spogliatoio del Filadelfia un foglio con la formazione antagonista e, sulla base del comportamento in campo di ogni giocatore, decideva il trattamento che il Torino doveva riservare a ciascuno di loro nel secondo tempo.
Si dice che fosse molto severo anche con se stesso. Nel corso di una partita si fece male ad un piede, ma non uscì dal campo e strinse i denti giocando fino all’intervallo. Quando fu possibile chiese al massaggiatore di stringere al massimo i lacci della scarpa con il piede dolente; in quelle condizioni disputò tutto il secondo tempo. Successivamente, agli accertamenti diagnostici, risultò una frattura al piede.

Fuori dal campo, era una persona di poche parole, come vuole caratteristica dei Triestini. Stava bene con i compagni di squadra e si considerava la chioccia che doveva difendere tutti. Guai se un giocatore rivale faceva una scorrettezza plateale o pericolosa verso un compagno del Toro: immediatamente il pubblico invocava Ferrini e subito Ferrini provvedeva.
Anche nel corso degli allenamenti svolgeva un doppio ruolo: quello di giocatore e quello di allenatore personale dei giovani. Praticamente li “svezzava” stimolandoli con falli voluti, in modo che reagissero ed imparassero a difendersi.
Fece così anche con Pulici che perdeva molti contrasti aerei, perché giocava “troppo pulito”. Ferrini gli ripeteva che doveva alzare i gomiti, doveva difendersi tenendo distante l’avversario, se no la palla l’avrebbe presa sempre il difensore. Tante volte dovette ripeterlo finché una volta ci riuscì alla perfezione, ma Pulici, saltando, colpì al naso il difensore che lo marcava. Quando si girò, rimase di sasso a vedere chi era il difensore: si trattava di Giorgio Ferrini a cui aveva rotto il naso. Quando Ferrini fu di nuovo in grado di parlare, racconta Pulici: “Mi disse, quando potevo, dopo l’allenamento, di passare a casa sua. Io ero timoroso, temevo qualche punizione, avevo rotto il naso al più ostico dei giocatori del Torino. Invece quando arrivai a casa sua, mi accolse con una pacca sulle spalle e ostriche con champagne, felice perché – disse lui – era nato un giocatore del Torino.”

Oltre a farsi rispettare, in campo era un’ottima mezzala, capace di tiri molto forti da fuori area che spesso battevano il portiere avversario, con uno stile sciolto e pulito che ampliava la potenza di tiro. Sapeva tenere bene la posizione tanto che, all’occorrenza si trasformava nella “Diga” che assieme a Cereser  detto “Tricea” formava un baluardo quasi insuperabile.
Raccontano che in una partita giocava in porta un portiere inesperto essendosi infortunato il titolare. Fu assegnata una punizione al Torino a notevole distanza dalla porta. Ferrini si apprestava al tiro molto contento perché il portierino non aveva disposto la barriera. Ma un giocatore esperto se ne accorse e suggerì al portiere di mettere subito due giocatori in barriera dicendogli: “Tu non lo conosci quello li, ma se lo lasci tirare senza barriera, ti tira una cannonata che, se la prendi, vai in porta tu col pallone”.

Nel vissuto di Ferrini ci fu anche un episodio molto doloroso.
Il ragazzo piu giovane fra i suoi compagni, Gigi Meroni, quella volta non riuscì a difenderlo
. Mentre andava a casa, attraversando Corso Re Umberto nel centro di Torino, di notte, fu investito da una macchina. Gigi morì poco dopo in ospedale in seguito alle lesioni riportate. Quando Ferrini uscì dalla camera ardente, fu inquadrato dalle telecamere: non ricordo di aver mai visto una persona più disperata di Giorgio: il volto fra le mani, camminando quasi piegato in due. L’immagine fu straziante e diede a me bambino una emozione fortissima ed a lungo piansi Gigi Meroni.
Quando tanti anni dopo, al Museo del Grande Torino e della Leggenda granata, vidi la Balilla di Meroni, dovetti sforzarmi a trattenere le lacrime pensando al nostro Gigi Meroni ed insieme con lui rividi la disperazione di Giorgio Ferrini. Nel museo osservai molte fotografie di Ferrini e soprattutto la sua maglia N. 8 che mi diede grande nostalgia, pensando al capitano di cui avevo conosciuto le gesta.

Ferrini giocò fino al 1975, alla vigilia dello scudetto del 1976, quando comprese che era ora di smettere, lasciando spazio ai giovani di una squadra forte. Rimase  a fianco di Radice, come suo vice. Il giorno del Trionfo fu l’apoteosi e qualcuno, in squadra, desiderava che entrasse in campo a pochi minuti dalla fine. Ferrini non volle, perché disse di non aver fatto nulla come calciatore per meritarsi la passerella.
Ricordiamo tutti come era orgoglioso il giorno della foto ufficiale della squadra del 1976-77, con quella maglia chiara su cui spiccava il Toro sopra lo scudetto, in onore del Grande Torino.
Fu l’ultima foto di Ferrini che io vidi, morì qualche tempo dopo, e tanti lo piangemmo. Ricordo la funzione celebrata da Don Aldo Rabino che alla fine della messa invitò tutti a fare un’offerta per il reparto che aveva curato Ferrini, un’offerta che lasciasse il segno nel portafoglio. Uscii dopo aver guardato il Filadelfia, teatro di tante giocate di Ferrini.
Dall’ingresso mi voltai: vidi il cortile del Fila delimitato dallo stadio da un lato, dal campetto della primavera dall’altro e in fondo da una tettoia a capanna, al cui centro era stato posto l’altare. Nel mezzo la pavimentazione a sternia (il ciottolato) piena di gente. E questa è l’ultima immagine della funzione rimastami, dopo di che feci la mia offerta nell’urna sorvegliata da un enorme ULTRAS e me ne andai con il mio dolore.

Sono passati tanti anni: ora ricordo Ferrini con un sorriso sulle labbra. Mi piacerebbe chiedergli che cosa ne pensa del Toro di oggi, delle recenti proposte di mental – coach, del Filadelfia nuovo, delle “vele”, del Robaldo, dello Stadio Olimpico Grande Torino affittato dal Comune: credo proprio che mi risponderebbe con termini non molto eleganti in triestino stretto!