Era un giorno come tanti quell'8 settembre del 2008. Un ragazzo provava a dipanare le ombre su presente e futuro varcando la soglia del 85° Rav “Verona”, sito in Montorio Veronese, un comune non distante dal capoluogo veneto, non per questo meno isolato.

“Vi lascio mio figlio”: esordiva così Angelo nel lasciare quel che era un maggiorenne solo per la legge, non nei comportamenti e nelle esperienze, queste sconosciute.
“E’ in buone mani” la risposta, con quel sorrisetto sarcastico di chi ti sta dando il benvenuto all’inferno, magari diverso da quello immaginato da Dante, ma quello, a suo modo, l’inferno lo era per davvero.
Giunsi all’alloggio accompagnato con il Defender dai militari disposti di guardia in quella fresca sera settembrina. All’ingresso nella palazzina della 5° compagnia, un volto inaspettato e familiare si palesa alla vista.
FR27: “Saverio! Ciao!”; l’altro apparentemente tutt’altro che felice di aver riconosciuto il neo-arrivato...
Saverio: “eh che c***! Ti pareva che non mi doveva capitare un paesano! Stai lì che adesso ti sistemo!”
Sbigottito dall’accoglienza poco conciliante, rimasi lì, in silenzio, in attesa che questi tornasse e rinsavisse, trattando un vecchio amico - o se non altro un conoscente con cui non c’era acredine - come si conviene. Saverio stava ispezionando i posti letto quando arrivai a “rovinargli la festa”. Esaminate brande e armadi dei militari, Saverio tornò per occuparsi della nuova incombenza.
Saverio: “Tu! Entra in stanza!”
Senza battere ciglio, entrai.
Lontani da occhi indiscreti, Saverio finalmente si sciolse: lasciò cadere la “maschera” da caporale istruttore e mi avvolse in un caloroso abbraccio.
Saverio: “amico mio! Che bello vederti! Ma che ci fai qua? Non sapevo che saresti partito!”
FR27: “Sì ma calmati… mortacci! Due minuti fa a momenti mi prendevi a pizze solo perché ti avevo riconosciuto!”
Saverio: “Vabbè scemo, capiscimi… non potevo farmi vedere morbido… questo è l’esercito FR27! Tranquillo che starai bene, ti farò stare bene”.
FR27: “se lo dici tu…guarda qua dove cacchio mi state mettendo a dormire! Una camera con brande e sedie accantonate a mò di ripostiglio, e questo unico letto liberato per l’occasione… c’è almeno una presa per il telefono?”
Saverio: “Si c’è… ma non farci l’abitudine bello, che qua non sarà facile neanche caricare il cellulare”
FR27: “ah beh… annamo bene… ma chi c*** me l’ha fatto fare?” 
Saverio: “Eh dai su… sei appena arrivato… se ce la fanno gli altri ce la fai pure tu! Non mollare mai”.
FR27: “eh vabbè, d’altronde l’ho voluto io, ora tocca pedalare... a casa con la coda tra le gambe non ci torno”
Saverio: “bravo, ben detto! Buonanotte, a domani… we, sveglia alle 6 in punto! Mi raccomando, non fare tardi che sennò mi costringi a segnalarti!”
FR27 “Va bene, buonanotte”.

Il 9 settembre giunse con il fragore di una sedia lanciata nel corridoio.
Saverio: “svegliaaaaa teste di c***! Sono le sei e zero-zero! Alle sei e trenta voglio vedervi tutti implotonati davanti alla palazzina in direzione mensa!”
Prepararsi non fu un problema in quel primo giorno. Gli altri raccolti davanti ai lavabi a sbarbarsi, io convinto di non avere nulla da tagliare, calzai jeans, maglietta e via: si comincia!
Neanche il tempo di dirigermi con gli altri verso la mensa che arrivò subito la prima nuova.
Caporale 1° compagnia: “Chi è FR27?"
FR27: “Sono io!”
Caporale 1° compagnia: “Bene, devi venire con me. Sei assegnato alla 1° compagnia”
Guardai Saverio con occhioni drammaticamente speranzosi, in stile gatto con gli stivali, come a dire “ma dove mi porta questo, salvami”; l’altro recepì il mio sguardo disperato, ma fece cenno che non si poteva fare diversamente. Poi mi chiamò in disparte prima che lasciassi gli altri.
Saverio: “mi dispiace fratello. Ti hanno assegnato alla prima e non ho potuto intercedere. Mi raccomando! Sei migliore degli altri! We, ma non ti sei fatto la barba? Sei matto?
FR27: “Ma che c*** di barba mi devo fare? Non ho un pelo manco a pagarlo!”
Saverio: “See! Guarda qua!”
Con il dorso della mano mi accarezzò il viso: “lo vedi che “gratta…”
FR27: “Ma stai a dì sul serio? Ti rendi conto che non c’è niente? Che mi devo tagliare la faccia?”
Saverio: “Vedi di muoverti scemunito! Vai a fartela subito! Ti copro io! Dieci minuti massimo devi stare di là, sennò so c*** amari!”
FR27: “Ammazza, vabbè vado, grazie Saverio”
Saverio: “va bene, prego! Mi raccomando non fare casini e qualsiasi cosa succeda non mollare mai!”
FR27: “Ricevuto caporale!”

Mi “tagliai” al volo la faccia e mi diressi a tutta velocità verso la prima compagnia. Di strada ce n’era: quella caserma è enorme!
Centoventiquattro. Tanti erano i militari destinati alla prima compagnia “scorpio”. Un istruttore, presumibilmente sulla cinquantina, si presentò in pieno stile “hartman” (il famigerato capo istruttore di Full metal jacket).
Caporalmaggiore scelto Katzitua: Buongiorno luride merde! Sono il caporalmaggiore scelto Katzitua! Passeremo questi due mesi e mezzo insieme, forse. Dipende da tante cose. Magari morite prima, o semplicemente vi cacate addosso e capite che questa vita non fa per voi. Correte a casa dalla mamma! Bronconoidi!
Cosa fossero i bronconoidi non è dato saperlo, ma sentirselo dire non era il massimo. Capii sin da subito che si trattavano di mere provocazioni; un modo per saggiare la resistenza mentale ancora prima di quella fisica. Il momento di testare il fisico non si sarebbe fatto attendere. Nel frattempo, una prima prova di resistenza la chiedeva il sole: picchiava forte su viso e corpo, con indosso gli abiti civili che non aiutavano affatto.
Sokatzitua: “Silenzio merde umane! Fa caldo? Non temete! Il sole non vi scioglierà! Avete sete? Avrete tutta la sera per dissetarvi!”

Un altro istruttore fece la sua apparizione, presentandosi da vero bastardo senza cuore con una lattina di thè alla pesca tra le mani.
Si mise di fronte alla folla sofferente e “clap”: l’apertura di quella lattina pesò come un gancio al mento, ancor peggio il rumore che si generò nel sentirgli ingurgitare quella sostanza, in quel momento il santo graal dell’idratazione. L’odio è un sentimento forte, ma in quel momento la ciurma ne provava a vagonate; masticato tra le labbra, si sentì un “pzz d mrd…”.
Caporalmaggiore Capo Kakhakatzi: ”Chi ha parlato? Chi c*** ha parlato?”
No, non è parte della famosa scena del pazzesco film di Kubrik, ma la reale domanda posta dal caporalmaggiore capo Kakhakatzi.
Kakhakatzi: “Nessuno eh? Prima compagnia a-ttenti! Segnare la corsa! Marsc’! Vai! Su quelle gambe femminucce! Su-su-su! Nessuno? Ancora! E non vi azzardate a rallentare spastici!”
Uno dei ragazzi, un po’ sovrappeso, finì - dopo minuti che sembravano ore - per simulare il gesto di correre piuttosto che farlo.
Kakhakatzi: “Aahh! Eccolo! Abbiamo un vincitore! Prima compagnia alt! Ri-poso”. “Come si chiama lei soldato?”
Soldato Vattelappesca: “Comandi! Volontario in ferma prefissata annuale Vattelappesca! Comandi”
Kakhakatzi: “Vattelappesca, sei stanco?”
Vattelappesca: “Comandi…Signorsì!”
Kakhakatzi: “Metti tre firme e finisce l’agonia… nessun problema”.
Questi, temendo che qualsiasi cosa detta potesse essere di troppo, rimase in religioso silenzio.
Kakhakatzi: “Ooh! Vattellappè? Che dobbiamo fare qua? Te ne vuoi andare o corri?”
Vattelappesca: “Comandi caporalmaggiore capo, voglio correre!”
Kakhakatzi: “Bene soldato! Allora corri! Singolo, a-ttenti! Segnare la corsa! Marsc’!”
Passarono un paio di minuti serratissimi, e il povero Vattelappesca, praticamente esanime, finì per crollare.
Kakhakatzi: “Guarda qua guarda! Ragazzi di vent’anni! Vergognatevi! Sono finiti i militari veri! Andatevi a lavare e uscite a conoscere qualche pischella! Ah no… state a pezzi, ma dove andate? In ogni caso, mi raccomando, contrappello alle 23! Alle 22:55 vi voglio tutti davanti al posto letto, chiaro?
1° Compagnia: “Signorsì!”
Kakhakatzi: “Compagnia a-ttenti! Rompete le righe!Marsc’!”
1° Compagnia: “Hurrà!”
Il segnale di libertà era arrivato. La stanchezza anche.
Ma se a diciotto anni non esci, quando lo fai? Un chilometro da percorrere per lavarsi era tutto fuorché invitante, ma necessario.
Il tempo di prendere accappatoio e ricambio che ero già di strada verso le docce.
Giunto ai locali, con pessima sorpresa mi ritrovai ad essere il quarantesimo di quell’intero plotone inquadrato in attesa di una "ripulita" doverosa. Le facce di chi usciva dalle docce non sembravano per niente gioiose, e porgere domande a quei “lupacci” degli istruttori diveniva un autogol, oltre che totalmente inutile. Il motivo delle facce sofferenti comunque, mi fu presto chiaro, sulla pelle: l’acqua era gelida! Manco fosse frutto di un iceberg in liquefazione! Tempo un minuto ed ero già fuori, seguendo esattamente le direttive degli istruttori.
Kakhakatzi & Katzitua: “un minuto e mezzo basta e avanza per bagnare-insaponare-lavare!”
Forse bastava anche meno: quella non era una doccia, era una tortura! 

La voglia di esplorare la città non era scemata, così provai a contattare l’unica persona che conoscevo tra le milleduecento facce del reggimento, ovvero Saverio. Niente. Nessuna risposta.
Tra me e me pensai: “Ma posso mai andarmene a Verona da solo? Che cavolo faccio? Vabbè, devo assolutamente mettere piede fuori da questo carcere, fosse pure solo per latitare come uno zombie all’esterno del perimetro”.
Dopo un’intera giornata passata fermo in fila, o in marcia, distrarsi diventava assolutamente necessario. Anche solo per allontanare il pensiero che accompagnava tutti: andare via e rinunciare.
Dall’altra parte della strada, esattamente difronte alla caserma, un pub veniva in soccorso ai volontari messi alla prova da quegli infimi bastardi. Non mi sembrava vero: calcio-balilla, carambola, birre e soprattutto un allestimento sportivo, con bandiere e sciarpe di squadre italiane ed europee. Una strada separava inferno e paradiso. Almeno così parevano entrambe le facce di quel punticino posizionato alla deriva della città. Il paradiso lo era certamente per i proprietari del suddetto pub, luminari nell’aprire un locale esattamente davanti al reggimento di addestramento volontari: un’autentica miniera per loro, un’oasi nel deserto per noi.
Mi sentivo a casa in quell’angolo di paradiso.
Alla vista del biliardino poi, mi s’illuminarono gli occhi: strinsi le stecche tra le mani e fu come essere nel bar di sempre. Un bagliore nell’oscurità. Una gioia difficile da spiegare. Una voce si insinuò nel mio silenzioso momento di gioia.
Genano: “Una birra? Su tre partite?” Era Genoano (il nome vattelo a ricordare…nella mia testa resterà per sempre “genoano”), uno dei ragazzi della mia compagnia.
FR27: “ok, va bene” risposi.
Genoano, quasi ad avvisarmi del suo talento: “Guarda che so giocare”;
e io: “menomale almeno ci divertiamo, se perdo sarà un piacere offrirti una birra”.

Ero forte. Lo ero davvero. Anni e anni di pomeriggi nel bar di Giovanni a giocare, a fare calli alle mani (giuro, i calli derivavano da quello…non da "attivismo adolescenziale”...ehm insomma, non c'entra niente la miopia) mi avevano preparato a quel momento.
Non temevo nessuno, a maggior ragione se si trattava di giocare uno contro uno, che è un po' l’antitesi di un gioco che nasce per quattro proprio per essere il più aggregante possibile.
In ogni caso, le birre di quel pub le provai tutte. Non in una singola sera chiaramente, ma nel tempo, grazie all’hype che si generò intorno a quel gioco che sarà sempre il più bello che esiste.
E pensare che in estate abbiamo seriamente corso il rischio di vederlo sparire dalle spiagge, catalogato da qualcuno come “gioco d’azzardo”, della serie “niente di meglio da fare”.

Dopo Genoano, arrivarono “Torinese” e “Fiorentino”: non ce n’era. Lasciate ogni speranza o voi che mi sfidate! Sì vabbè, sto esagerando per darmi un tono, però ero bravo. O forse erano scarsi loro. In ogni caso, dominavo in quel contesto. Quando ti diverti il tempo non ti dà respiro, e le 22:40 arrivarono in un lampo. Pensato da tutti come limite orario invalicabile, abbandonammo il giaciglio attrattivo, per ritornare in quello nefasto. Al contrappello si presentò Sokatzitua. Non sembrava del tutto lucido, e infatti la birra in lattina che aveva tra le mani confermava l’impressione. Cominciò a camminare tra le camerate e fermandosi nella mia, esordì sorridendo:
Sokatzitua: “Sta birra fa schifo…però è buona”. Alcuni insieme a lui, convinti che si fosse in un clima disteso e gioviale, si unirono alla risata. Grave ingenuità: quell’approccio era una trappola. La prima di tante in quelle dieci, lunghe, settimane.
Sokatzitua: “Che c*** ridete? Che c*** rideeeete?! Bronconoidi! Tutti fuori! Fra tre minuti vi voglio tutti perfettamente implotonati davanti all’ingresso! Forza rincoglioniti!”
La frustrazione serpeggiava forte tra i commilitoni, convinti di essere giustamente arrivati al termine di quella giornata lunghissima, e che invece stava per accavallarsi con quella successiva.

Sokatzitua: “Prima compagnia a-ttenti! Fianco destr-destr! Avanti…Maaarsc’!”
Poco dopo: “Dietro-front!” E ancora: “di corsa!” E via così, fino a mezzanotte e mezza. Si arrivò alla fine di quel calvario con il canonico “compagnia alt”. Tra quell’istante e il contrappello nelle camerate, il chiudere gli occhi e riaprirli per il giorno 2, uno schiocco di dita. E andò così, giorno per giorno, fino al giuramento e oltre.

Di fine settimana in libera uscita saltati, di punizioni no-sense, di storie come questa ne sarà pieno il blog, non tra le pagine, ma tra le esperienze vissute di chi lo popola. Magari un giorno ne scriverò ancora, anche solo per rivivere tutto come fosse a colori
Sarebbe bello che tanti altri facessero le stesse esperienze. Ancora e ancora. 
Non so se la leva obbligatoria possa essere un provvedimento giusto da vagliare, ma so che l’esercito ha cambiato tante persone, spesso in meglio, qualche volta in peggio.
Vedere ragazzini popolare le strade solo con l'intento di fare danni, con atteggiamenti da “baby-gang” fa veramente male. Ci sono luoghi di Milano che fino a qualche anno fa erano prettamente turistici. Camminavi con la compagna, con un amico, con la famiglia, e sapevi che erano posti tranquilli dove passare qualche ora felice senza turbe. Andavo sui Navigli con i miei amici ed era bellissimo, adesso vai a tuo rischio e pericolo. Allo stesso modo in piazza Duomo. Per carità, ci si passeggia ancora: non è che ci devi andare con giubbotto anti-taglio o antiproiettile, ma il livello di delinquenza è aumentato tantissimo anche in pieno centro.
Non parliamo poi di corso Como: dieci anni fa era il top della movida milanese, oggi è il "festival del teppismo". In estate presero a calci e pugni una ragazza solo per rubargli un cellulare.
Non che a Monza le cose vadano meglio. Di fronte ad un ristorante in pieno centro, un gruppo di ragazzini fecero selvaggiamente a botte: neanche l’intervento della polizia locale pose fine allo scontro, e un signore che stava cenando - giustamente infastidito dal non riuscire a godersi il pasto in pace - intimò a questi di smettere; uno dei coinvolti nella rissa, entrò nel ristorante e si fece largo tra proprietario e camerieri per minacciarlo di morte. A quel punto i vigili si videro costretti a intervenire anche all’interno del locale, con il ristoratore che visibilmente affranto da quanto accaduto, passò tra i tavoli per scusarsi con gli avventori. Scene da Far West urbano.
Allora mi chiedo se un po' di disciplina militare non possa far bene a queste nuove leve allo sbando. Forse no. Magari sì.
Non sono per le imposizioni. Non ho mai digerito gli obblighi. Ho fatto il militare perché volevo, perché sentivo di voler fare quella esperienza.
ù
Qualcosa in ogni caso va fatta. I ragazzi rappresentano il futuro: se il futuro sono risse per strada, accoltellamenti, stupri, odio verso tutti e tutto, allora lasciatemi dire grazie a quei “bastardi” che mi hanno fatto penare l’inferno. Se sono il ragazzo che sono, lo devo anche a loro. Li ho odiati. Adesso gli dico grazie ogni giorno, con il pensiero.
Ci sono stato solo un’altra volta all’85°, e a dirla tutta, non mi manca per niente. Mi mancano i diciotto anni che avevo e i ragazzi con cui ho condiviso tutto.
Mi manca l’Arena, piazza Bra e Verona in generale, anche se non era proprio “benevola” con i meridionali, ma forse anche quello faceva parte del “pacchetto formazione”, probabilmente.
Per due mesi e mezzo quelle “canaglie” di Kakhakatzi & Katzitua non mi hanno fatto sognare. Da allora però, non ho più smesso. Dieci settimane che mi hanno formato alle avversità, alle intemperie, agli stro**i, alla vita.

Un saluto
FR27