Rispetto, rispetto, rispetto. Il calcio è farcito di slogan a favore del rispetto, eppure l'omofobia, ad esempio, è ancora un problema enorme. Poche sono le società, vedi Liverpool, Manchester City, per citarne alcune, che in occasione dei vari pride si attivano a favore di ciò. L'Inghilterra è la regina del calcio, la terra del calcio, e si appresta a festeggiare 155 anni dalla nascita formale di questo sport. Ne hanno viste di cotte e di crude in Inghilterra, dal tremendo fenomeno degli hooligan per arrivare all'oggi, dove tifosi e giocatori sono divisi solo da un cartellone pubblicitario e l'unica invasione di campo che si registra è solo di qualcuno che vuole abbracciare un proprio giocatore. Così come sono quasi ma non del tutto scomparsi gli insulti e le offese verso le squadre avversarie. Il rispetto ha preso campo in Inghilterra, ma dei problemi ancora ci sono. Ed è per questo che il solo pugno duro che vede i tifosi razzisti essere banditi dagli stadi per alcuni anni non basta più, e il presidente del Chelsea ha fatto presente che "il comportamento dei razzisti non cambia se neghi l'accesso nello stadio, ma se a questi signori fai vedere un campo di concentramento con i loro occhi, allora la prospettiva potrebbe mutare".

Si ragiona sul potenziale, sul condizionale, sul dubitativo. Certamente un valido percorso istruttivo e formativo da far vivere e conoscere. In Italia quanti sono stati i tifosi banditi dagli stadi per motivi di razzismo? Si chiude forse qualche curva per un paio di turni e poi come se niente fosse. E le società cosa fanno nei confronti di questi tifosi? Li bandiscono dagli stadi? O chiudono tutti gli occhi? E quali sono le proposte in materia da parte di chi si appresta a governare il calcio italiano? Servirebbe più rigidità su ciò e magari provare ad emulare il modello inglese: a Trieste c'è l'unico campo di concentramento nell'Italia occupata dai nazisti, la Risiera di San Sabba. Il forno crematorio è stato fatto saltare prima della fuga dei nazisti a causa dell'arrivo dei partigiani jugoslavi, i primi ad entrare alla Risiera, così come i russi furono i primi ad entrare ad Auschwitz. Le vittime (stimate fra le tremila e le cinquemila) venivano fucilate, uccise con un colpo di mazza alla nuca, impiccate oppure avvelenate con i gas di scarico di furgoni appositamente attrezzati a questo scopo. A causa di queste uccisioni, la Risiera di San Sabba viene anche definita "campo di sterminio". Una visita a Trieste in quel luogo diventato monumento nazionale nel 1965 con la seguente motivazione "Considerata la opportunità che la Risiera di San Sabba in Trieste - unico esempio di Lager nazista in Italia - sia conservata ed affidata al rispetto della Nazione per il suo rilevante interesse, sotto il profilo storico-politico", non può che fare bene.