Domani alle 19 il Napoli scenderà in campo al Castellani di Empoli. E la mente corre a quattro anni fa, esattamente al 30 aprile 2015. Sulla panchina del Napoli sedeva Don Rafé, al secolo Rafa Benitez. Su quella empolese sedeva un uomo in tuta. Il suo Empoli, impelagato nei bassifondi della classifica, giocava un calcio sublime. E grazie a quel calcio riuscì a salvarsi, a dimostrazione che non sempre bisogna giocare sporco e male per portare a casa una salvezza. Ci si può salvare anche giocando bene, benissimo, di più.
Quella sera, il Napoli era in maglia bianca. Gli azzurri che sfrecciavano sul campo erano gli empolesi. Saponara trequartista, verticalizzazione per Pucciarelli che, di prima, serve Maccarone. Tiro. Gol. Uno a zero. A bocca aperta: noi sugli spalti, i ragazzi sul prato verde. A difendere la porta empolese c'era un napoletano, cresciuto nel Napoli. Si chiama Sepe, e oggi difende i pali del Parma. Toccò la palla dopo un paio di ere geologiche, grazie ad un accappatoio bagnato calciato da Inler.
Dall'altra parte del campo, invece, la storia è completamente diversa. Le punte azzurre alternano movimenti incontro a quelli in profondità, a volte si allargano talmente da assomigliare a delle ali. Questi movimenti, oltre a portare costantemente fuori zona i difensori e i centrocampisti di Benitez, permettono alle mezzali empolesi e al trequartista Saponara di infilarsi in area di rigore con la semplicità dell'acqua tra gli scogli di Mergellina. Maccarone per Saponara, che elude l'intervento di Koulibaly (!) e crossa forte in mezzo. Andujar respinge sul faccione di Britos. Due a zero. Le nostre fauci, che prima si erano aperte, adesso sono spalancate. Il Napoli non riesce a fare tre passaggi di fila. Ogni possessore di palla è aggredito. Ogni laterale è raddoppiato. Ogni traccia interna è presidiata da Valdifiori e Vecino. Croce recupera una quantità industriale di palloni. E riparte. Sempre. Lasciando sul posto Hamsik e Inler. Che si guardano con lo stesso sguardo di noi tifosi partenopei: che diavolo sta succedendo? Ma chi sono questi qui? Non abbiamo tempo per trovare la risposta. Croce serve Pucciarelli, che serve Croce, che serve Pucciarelli. Finta che manda al bar Koulibaly (!!) e tiro. Andujar respinge, la palla si impenna e Saponara decide di imitare Carlo Parola sulle figurine Panini: mezza rovesciata e palla nel sacco. Il Castellani si solleva.
Alcuni di noi, quei pochi che non hanno le mani sugli occhi per la disperazione, applaudono una squadra che sta giocando un calcio sontuoso, inimmaginabile sui campi di provincia. Guardo verso le panchine. Su quella del Napoli, Benitez è seduto e ammutolito. Su quella dell'Empoli, un omone in tuta e con gli occhiali continua a dare indicazioni tattiche ai pochi calciatori empolesi che non stanno festeggiando il gol di Saponara.  Finisce il primo tempo. Ci sediamo, letteralmente annichiliti. Ci guardiamo negli occhi per capire se stiamo vivendo un incubo. Se stiamo sognando che il Real Madrid, indossando le magliette dell'Empoli, ci stia maciullando in ogni settore del campo. E no, non era un brutto sogno. Era la realtà.

Il secondo tempo si apre con una speranza: Maggio entra in area e serve Hamsik, il tiro del capitano slovacco viene parato da Sepe, ma il pallone rimbalza su Laurini e si insacca. Autorete. Tre a uno. Esultiamo. Con poca convinzione, ma esultiamo. I ragazzi in campo sembrano destarsi. Callejon sfiora il palo alla sinistra di Sepe con un tiro a giro. Maggio conclude leggermente alto sopra la traversa una bella azione di contropiede. L'Empoli sembra rifiatare e noi cominciamo a crederci.
Ma è tutto vano: punizione di Valdifiori, cross nell'area piccola e Albiol, da poco subentrato, se la butta in porta da solo. Quattro a uno. Terzo autogol di giornata. Il Castellani esplode, noi implodiamo. In quel momento prendiamo coscienza di una ineluttabile verità: abbiamo preso quattro gol dall'Empoli e la partita è ormai perduta. La saetta di Hamsik che supera Sepe serve solo per le statistiche. Il triplice fischio dell'arbitro Massa sancisce la nostra sconfitta. Quattro a due. L'uomo con la tuta alza le mani al cielo, in segno di vittoria. I pugni chiusi e gli occhi, parzialmente celati dagli occhiali, stretti in un sorriso sincero e bonario. 
Pochi mesi dopo, quell'uomo in tuta sarebbe diventato l'allenatore del Napoli. Ci avrebbe fatto vedere il calcio più bello della nostra epoca. Sarebbe diventato "il Comandante" e avrebbe guidato il nostro vano e disperato assalto al cielo, fino al Palazzo d'Inverno.

Non avremmo aggiunto un misero trofeo alla nostra bacheca. Ma chissenefrega. Vincere NON è l'unica cosa che conta.