"Quanto sei bella Roma" è uno stornello che molti interpreti della musica e dell'arte teatrale hanno cantato spesso, tramandandola a noi, nel rispetto della città eterna e della poesia che sa sprigionare per chi ha la fortuna di viverla.
Mi ricordo l'interpretazione di Lando Fiorini, magari in coppia con l'indimenticabile Gabriella Ferri, autrice di una canzone stupenda: "Sempre". Ma il ricordo va ad un altro signore piccolo, ma immenso: Renato Rascel. Attore, cantautore, comico e uomo geniale. Pensate, era alto poco più di un metro e cinquanta, ma seppe fare una parodia del corazziere che passò alla storia della musica e dell'ironia italiana.
Il suo "Arrivederci Roma" è un chiaro messaggio d'amore alla sua città, che diventa un po' di tutti. Non che io non ami altre città, come Firenze, Venezia, Milano, Torino o Napoli, tanto per fare degli esempi, ma Roma ha quel di magico che sorprende tutti. Sarà il suo clima, mite. Oppure per i suoi palazzi, storici e incantevoli, o le sue antichità. Ma ogni angolo della città si presta ad un acquerello della nostra vita, un affresco di Michelangelo con una pennellata di Peynet.
Vidi Roma, la prima volta all'età di sette anni, con i miei che ci portarono per un giorno a visitare la città, ritornando da un viaggio partito dalla Sicilia. Mi ricordo che passammo davanti al Quirinale e che misi una firma sul quaderno messo davanti all'ingresso. Erano gli auguri di pronta guarigione per l'allora Presidente Segni, ma che non servirono a nulla, perché peggiorò e fu destituito dal suo incarico. Poi tornai dieci anni dopo. L'occasione fu la partecipazione a delle finali nazionali di calcio, disputate a Marino, comune fuori Roma. Erano le finali allievi del C.S.I. , Centro Sportivo Italiano, un'organizzazione sportiva patrocinata dalle associazioni cattoliche. Le associazioni "comuniste", patrocinavano l'UISP, Unione Italiana Sport Popolari. Arrivammo terzi, ma potevamo vincere, ed anche qui, sulla strada di ritorno alla nostra Liguria, ci fermammo a Roma, visitando con il nostro parroco le zone più interessanti della città, ma in entrambi i casi, il poco tempo a disposizione e la giovane età non mi permisero di conservare ricordi particolari.

Dopo una quarantina d'anni, dopo avere visitato molti altri luoghi, come Parigi, Londra, Barcellona ed altre città straniere, pensai con mia moglie di fare una "capatina" a Roma. L'impulso ci venne nella considerazione che il non avere mai visto la "Cappella Sistina" poteva essere una mancanza troppo evidente per la storia della nostra vita. La visita ai musei Vaticani è un viaggio nella bellezza e nel mistero. E' uno dei musei più visitati al mondo, con un percorso che porta alla ricostruzione di antichità e culture che vanno dai dei Greci ed Etruschi, fino alla celebrazione della nostra cristianità, nella ricostruzione che si evolve nelle opere di Michelangelo, Raffaello e dei maggiori pittori del Quattrocento, spesso dimenticati ma ben presenti nella Cappella Sistina.
Infatti, quando si entra nel tempio della consacrazione dei papi, tutti guardano gli affreschi bellissimi sul soffitto, dove Michelangelo raffigurò la Genesi, descritta dalla Bibbia, con la famosa immagine delle dita di Dio che incontrano quelle di Adamo. Oppure ci si incanta alla vista del retro dell'altare principale, dove troneggia il "Giudizio Universale". Qui angeli e demoni, tutti senza ali, si contendono le diverse anime sottoposte al giudizio di Dio. Ma se si osserva ai lati, ci sono opere stupende, che portano il nome di autori immensi, tutti operanti ancora prima del Michelangelo, e che corrispondono ai nomi di Perugino, Cosimo Rosselli, il Ghiralandaio, Sandro Botticelli e la probabile collaborazione di Piero Della Francesca. Un affresco è particolarmente esaltante nel quadro generale, ed è il "Tibi dabo clavis", dove si raffigura la consegna delle chiavi da parte di Gesù a Pietro. E pensate, tutti i cardinali che entrano in conclave e che volgono lo sguardo a quell'immagine. Chi riceverà le prossime chiavi? Sì, perché la "Cappella Sistina" è il luogo dove si eleggono i papi e dopo l'"extra omnes", fuori tutti, decretato dal cardinale Camerlengo, tutti i giochi si svelano. 

Ho parlato della Cappella Sistina, ma potrei parlare di numerosi altri monumenti, come l'anfiteatro Flavio, oggi Colosseo, oppure del Mausoleo di Adriano, che oggi è Castel Sant'Angelo. E come non parlare di Piazza Venezia, con il suo Altare della Patria, immenso e visibile da quasi tutta via del Corso, che termina a Piazza del Popolo. Ed è tutto questo, che chi andrà a giocare nella capitale troverà oltre ad una nuova vita sportiva. Mi riferisco a Paulo Dybala,  che finalmente ha trovato una squadra in grado di soddisfare le sue esigenze economiche. Non che le altre squadre non gli offrissero di più, ma alla fine dal niente è sempre meglio avere qualcosa. Se avesse un anno fa accettato la prima proposta della Juventus, oggi sarebbe meno triste, e con molti soldi in più in tasca. Ma il gioco delle parti, con i tira e molla, ripicche e minacce, non gli aveva portato fortuna. La Juventus lo ha di fatto scaricato, e non ha perso tempo per riorganizzare un'altra strategia di mercato e di completamento di una rosa che aveva bisogno di "Restyling". E sebbene altre società lo abbiano blandito, nessuno si è preso la briga di rischiare molti soldi in un'avventura dove sembra la riedizione del famoso "ménage a trois", dove il trois sembra sia il nebuloso procuratore Antun. Mourinho probabilmente ha saputo giocare sulle corde intime del giocatore, esercitando il suo carisma, ma soprattutto la sua esperienza. Ha infatti aspettato dietro l'angolo, osservando gli avvenimenti, e visto che lo stallo era evidente, ha affondato il colpo.
Mourinho è forse l'unico che poteva "domare" Dybala, ed è l'unico in grado di osservare bene se i suoi sono infortuni, oppure bassa concentrazione negli allenamenti. Marotta lo aveva corteggiato, strizzato l'occhio (quello buono) e poi dopo avere preso Lukaku, scaricato.
Un po' come la bella di Siviglia, che tutti vogliono e nessuno piglia. Intanto Marotta deve anche fare fronte al problema più grosso del nostro calcio: i soldi. L'operazione Lukaku, oltremodo molto onerosa, è stato più un colpo di fortuna che un colpo di genio. Ma le casse dell'Inter piangono, e ancor di più sono presenti i fantasmi di debiti mostruosi, che Zhang fa finta non ci siano. Forse venderanno ad un altro cinese? Magari come avvenne con il Milan, con un andirivieni di orientali che sfido chiunque  a capirci qualcosa, mentre chi dovrebbe capire, tace, ovvero non si muove. E certo, non c'è la Juventus, e quindi non fa notizia. Ed i soldi dell'Inter, ormai sono tutti andati in Cina, ad alimentare il governo cinese. A noi lasceranno solo debiti, perché i debiti non saranno solo dell'inter, ma cascheranno sulla testa di tutti gli altri Stakeholders del panorama calcistico e sportivo italiano. Perché non indaghiamo veramente chi sono queste società che arrivano e poi se ne vanno dopo pochi mesi con parte della cassa. Cosa fanno, che scopo hanno, che garanzie chiede la Federcalcio, che si muove solo se deve danneggiare chi vuole danneggiare? Aspettiamo che tutto vada a rotoli? O non abbiamo capito che gli angeli salvatori non esistono, ma sono dei demoni in cerca di facili guadagni, dove non c'è controllo, ma incapacità di progettazione e direzione amministrativa, si veda il caso Chievo. L'ingresso nell'economia del nostro calcio deve passare attraverso un "Due Diligence", che parta dalla Lega, il Coni e faccia veramente un controllo sulle vere risorse e sui soggetti che sono realmente dietro all'operazione societaria.
Il nostro sport non può vivere ancora di avventurieri e personaggi a dir poco imbarazzanti. Spero che non si finisca come fece il grande Totò, a vendere il Colosseo o la Fontana di Trevi. La serietà del nostro sport e dell'immagine nazionale, già compromessa dai politici che oggi danno uno spettacolo inverecondo, non può continuare e portare danni sia all'immagine che all'economia della nostra vita nazionale.
Vogliamo fare piazza pulita? Allora facciamola veramente!
Un saluto.