I più lo han sempre chiamato calcetto, per un certo periodo è stato il calcio a 5, oggi è il Futsal e se è diventato lo sport di tutti, lo si deve a un torneo natalizio di grandi firme. 
Lo sport di tutti, sì. 
Chi di voi non ha giocato, almeno una volta nella vita, a calcetto? Chi di voi non s’è sbucciato le ginocchia stridendo contro quel finto prato verde, morbidissimo all’apparenza ma ruvido allo strofinio di un malcapitato arto? Chi di voi non ha litigato a casa mentre usciva, borsone in mano e chiavi nell’altra, che “Se te le scordi puoi dormire fuori!”? Chi di voi non si è sentito un vero giocatore in quel piccolo rettangolo, tra amici da sfotticchiare ed estranei a cui dare il 5? Chi di voi non ha vissuto la magia intima d’un angusto spogliatoio, dove non c’era allenatore e non c’erano dubbi di formazione, semmai si dubitava se il portiere all’ultimo non ci bidonasse? 
È il calcetto, e tutti noi lo abbiamo praticato, come un rituale sportivo anti stress da metà settimana.
Tutti noi dobbiamo dire grazie a questo succedaneo del calcio; alle pizze post-gara; alle inaspettate amicizie trovate; a qualche preziosissima coppa in lamiera da esporre in casa; alle figuracce che sulla bocca degli avversari diventavano leggenda narrata al resto della comitiva; ai figuroni sotto gli occhi della ragazza che, seduta in solitario al di là delle recinzione, su di noi faceva più rumore dei centomila del Camp nou; (diciamocelo) a qualche scappatella mascalzona con tanto di maglia sudata fornita dal “fratello” complice; agli acciacchi dell’indomani che ci facevano un po’ male ma ci facevano anche sentire vivi e sportivi. 
Calcio a 5 o futsal, per me rimane sic e sempliciter il calcetto e dobbiamo un po’ tutti ringraziarlo, perché per un trentennio abbondante è stato e (padel permettendo) continua ad essere “il passatempo degli incapaci” (direbbe Ojetti) e anche di quelli un po’ più pratici. Il passatempo di un’Italia che negli anni ‘80 lavorava come una matta per cavalcare un Pil come non mai vicino a quello tedesco, che negli anni ‘90 battagliava tra la conflittualità occidente-medio Oriente, internet  e la seconda repubblica, che negli anni 2000 affrontava la terza crisi economica della storia e che oggi si risveglia dalla pandemia più combattiva e più arrabbiata che mai.
Dobbiamo ringraziare il calcetto, per quell’ora d’evasione, per quei momenti di condivisione… e forse (ma solo forse) per qualche etto in meno. 

E dobbiamo ringraziare un torneo natalizio. 
Erano le feste natalizie del 1982 - quarant’anni anni fa - quando l’Italia scoprì il calcetto, grazie a un torneo disputato al Palasport di Milano.
<<I patiti i milanesi del pallone hanno scoperto pure i gol indoor>>, scrisse Silvio Garioni per il Corriere della sera. 
Il calcetto era nato molti decenni prima, nel 1933, quando un professore della ACM di Montevideo, Juan Carlos Ceriani Gravier, spinto dall'esigenza di far giocare a pallone i propri studenti in una piccola palestra o sui campi di basket ed hockey su pista all'aperto, ne ideò la formula.
Ma nel nostro Paese tardava a farsi largo tra i gusti dei tifosi e le abitudini amatoriali d’ogni età. Da noi è arrivato alla fine degli anni ‘60, ma era rimasto abbastanza isolato, si giocava solo nei circoli del LungoTevere romano.
E siccome fu proprio a metà degli anni ‘80 che il fratello minore del calcio esplose in tutta la sua dirompenza, invadendo anche la più piccola cittadina italiana di campetti dall’erba sintetica e le piccole porte, è presumibile che quel torneo natalizio (disputatosi dal 21 al 23 dicembre), seguitissimo, abbia dato al fenomeno il forte impulso di cui necessitava. 
Un torneo natalizio che, tra l’altro, regalò agli occhi italiani gli ultimi acuti di uno dei più grandi tenori del calcio mondiale: Johan Cruijff. Un torneo intitolato al grande Angelo Moratti, che era scomparso da poco (precisamente nell’agosto del 1981).
Inter, Milan, Ajax e Nottingham Forest si sfidarono, 6 contro 6, quando ancora a calcetto non giocava quasi nessuno, tant’è che si parlava di un “curioso sport indoor”: sei contro sei, per l’appunto, campo sintetico di 30 metri di larghezza per 50 di lunghezza, porte 4 metri per 2, due tempi da 25 minuti, sostituzioni come nel basket, rimesse laterali con i piedi, espulsione a tempo (come nell’hockey su ghiaccio). Le quattro squadre furono ingaggiate per 50 milioni di lire. Due serate, quattro sfide, tutto molto american style.
Diritti comprati dalla neonata Canale 5, che trasmise le partite in differita, cinque giorni dopo, perché allora la diretta non era consentita alle tv commerciali (sarà la Legge Mammì del ‘90 a cambiare le cose).
La telecronaca era affidata a Rino Tommasi, col suo sorriso a denti stretti, cuffia e microfono in un’unica soluzione e la corpulenza da boxer in giacca e cravatta. A Cesare Cadeo toccarono invece le interviste con i protagonisti: memorabile un duetto proprio con Cruijff, con Cadeo che gli rivolge le domande in italiano, con Cruijff che risponde in spagnolo e con pochi che ci capiscono qualcosa (nonostante il Caddeo interprete improvvisato).
Il pubblico rispose con un certo entusiasmo: alla fine furono oltre diecimila gli spettatori complessivi. L’incasso fu di 100 milioni di lire, non sufficienti, tuttavia, a coprire le spese, che gli organizzatori stimarono attorno al mezzo miliardo. 
Macchissenefregava! Erano i mitici anni ‘80, gli anni dei capelli cotonati, delle felpe fucsia, dei paninari e del gel alla Nick Kamen; gli anni di E.T, Guerre stellari e Ritorno al Futuro, della musica elettronica, del pop, dei video musicali, di Madonna, Michael Jackson, degli U2 e degli stratosferici Duran Duran; gli anni delle spalline e dei disco club, gli anni della teledipendenza.
Andava tutto bene, sempre e comunque (e non c’era bisogno di alcun arcobaleno che ce lo augurasse). Andò bene anche quella volta, ne beneficiò l’emittente di Silvio Berlusconi, ne beneficeranno le migliaia di piccole realtà imprenditoriali che nasceranno col calcetto e ne beneficeremo, ut supra, tutti noi. 
Perciò, Sandro Mazzola alla fine aveva avuto ragione. Sì, Mazzola, allora dirigente dell’Inter, tra i promotori del, cosi fu detto, Mundialito indoor. Aveva evidentemente ben intuito la portata della nuova disciplina e spinse molto perché si disputasse a Milano. 

Ma andiamo al torneo. 
Lo vinse l’Ajax (che incassò così il montepremi: 20 milioni di lire), battendo in finale il Milan, col punteggio di 6 a 5. I lancieri comunque erano avvantaggiati dal fatto che il sintetico lo utilizzavano da diverso tempo per allenarsi; mentre, a detta dell’allenatore Ilario Castagner, ai suoi aveva fatto venire le vesciche. 
Il capitano del Milan, Franco Baresi, a dispetto del clima natalizio si mostrò risentito: “Un minuto in più e avremmo vinto noi”. Risentito con l’arbitro, Pierluigi Pairetto, che fischiò proprio mentre il Milan stava attaccando. Il terzo posto fu dell’Inter, che nella finalina per il 3/4 posto batté 5-1 il Nottingham Forest (quaterna di Altobelli e gol di Sabato).
Come dicevo prima, quel torneo fu giocato anche dal grande Johan Cruijff: a quel tempo ha 35 e, dopo una parentesi a Washington, è tornato all’Ajax. Un anno e mezzo prima, nel giugno 1981, aveva indossato la maglia del Milan nel Mundialito organizzato a San Siro, rimediando però una magra figura: era infortunato a una coscia e si era arreso ai fischi di San Siro. Stavolta, invece, deliziò il pubblico con le sue giocate. 
La targa al miglior giovane del torneo se l’assicurò un ragazzo di 18 anni: si chiama Gerald Vanenburg, diventerà un punto fermo dell’Ajax e dell’Olanda campione d’Europa 1988. nell’Ajax giocavano anche due ragazzi di talento, che a Milano faranno poi la storia dei rossoneri: Frankie Rijkaard e Marco Van Basten. Così, tanto per dire...
Nel Milan giocava pure il giovane Beppe Incocciati. Nell’Inter invece brillava la stella di casa, Evaristo Beccalossi (che, dimentico dei problemi di convivenza con Hansi Müller, incantò il suo pubblico; insieme sul sintetico giocarono solo qualche minuto). Non pervenuti gli inglesi del Nottingham Forest. Da loro tira aria di vacanza, il torneo era solo l’occasione per farsi una gita in Italia: i più fecero bisboccia nelle notti milanesi, in campo erano svogliati e non correvano neanche a frustarli.
Il costo dei biglietti andava dalle 20mila lire per il parterre, alle 5mila lire per curve, passando per le 15mila per le tribune
Attorno al Torneo Moratti c’è molto interesse. E non è un caso che il primo vero campionato di calcio a 5 (e non a 6 come nel Torneo Moratti) si sia disputato nel 1983, quando la Federcalcetto (nata nel 1978) viene inglobata nella Figc. Se lo aggiudicò la Roma Barilla, che in finale batté la Roma RCB per 5-0. 
Il primo.

L’ultimo invece si è disputato la scorsa settimana, a pochi passi da casa mia. Cinque contro cinque, arbitro a pagamento, spettatori circa venti (compresi i miei due figli), partita secca, in palio pizza e campo … e sopratutto la gloria
Il risultato? Meglio che non ve lo dica, ma il figlio mio piccolo, sei anni appena e un amore crescente per “Empappè”, all’uscita dal campo mi è venuto incontro e, divertitissimo, mi ha sussurrato: “Papi, sei negato”. Ecco. Calcetto, calcio a 5 o futsal o come chiamar si voglia, questo sport, surrogato del calcio, riesce ancora a regalarci momenti così. A regalarci un bambino che sognava di avere un papà più forte del suo idolo francese, ma che si diverte come un matto a scoprire che il suo vero eroe è invece semplicemente un adulto con la voglia di giocare, proprio come la sua. 
Grazie calcetto. Grazie torneo Angelo Moratti.
Grazie Angelo Moratti (da buon interista, mi tocca).