Quest'anno calcistico rimarrà impresso per le scene violente che si son scatenate ovunque negli stadi, dalla Spagna, alla Germania, dall'Italia, alla Svizzera, all'Olanda.
Qualcosa non va. Si menano tifosi tra tifoserie avversarie come non succedeva da anni e con una frequenza impressionate. Tifoserie avversarie che solidarizzano tra di loro secondo la logica il nemico del mio nemico è mio amico. Si fanno agguati per le strade ed autostrade, si invadono gli stadi, per inseguire i tifosi avversari o i giocatori avversari.
Il tutto sembra andare di pari passo con un sistema sociale allo sbando, sempre più incattivito, e destro. Nazionalismi ad oltranza, rivalità che speso sfociano in oscenità razziste, e lo stadio sta diventando nuovamente l'arena dove sfogare i peggiori istinti umani.Oramai non si può più parlare di casualità di coincidenze, di occasionalità.

Bisogna interrogarsi seriamente se dietro a tutto ciò ci sia o meno una regia. Le squadre che si piegano agli ultras non sono proprio il massimo della vita calcistica. Da un lato si dice allo stadio di dover ignorare gli insulti che colpiscono i giocatori, imparare a non ascoltare, dall'altro, però, si va sotto la curva a beccarsi i monologhi degli ultras come se i padroni del tifo fossero loro.
Sia ben chiaro ci sono ultras e ultras, mai generalizzare, giusto dialogare e confrontarsi con la squadra, ma si ha la sensazione che dietro il muro apparente del confronto ci sia dell'altro. Qualcosa non va, decisamente. Qualcosa non va, profondamente.

Perché questo aumento di violenza negli stadi europei? Con l'Europa tra l'altro attivamente in guerra contro la Russia a sostegno dell'Ucraina?
Gli estremismi del calcio sono sempre stati funzionali ad altre logiche, una manovalanza, una forza destabilizzante con lo scopo di creare caos, disordine, per ragioni o torti che spesso vanno ben oltre l'aspetto calcistico. Ed in tutto ciò non resta che rimanere basiti, assistere impotenti al dilagare di violenze e al ritorno della polizia negli stadi di calcio, come nei vecchi tempi, tutt'altro che rimpianti.