La partita di ieri sera, Milan-Venezia, si giocava esattamente nel mezzo di un ciclo di fuoco. Era stata preceduta, infatti, dai match con Lazio, Liverpool e Juventus ed era destinata a essere seguita, oltre che dalla trasferta di La Spezia, anche dagli incontri contro Atletico di Madrid e Atalanta. In tal senso, era evidente che contro i lagunari non si sarebbe potuto prescindere da un ampio turn over. Lo aveva segnalato anche Carlo Pellegatti, le cui dichiarazioni riflettevano, molto probabilmente, anche una certa apprensione della società per i tanti, troppi, infortuni. La risposta di Pioli è stata all'altezza della situazione, tanto nell'ampiezza della rotazione, quanto nella logicità della formazione (un assetto illogico può solo affidarsi ai singoli), come anche e soprattutto nel momento dei cambi e nella scelta dei giocatori protagonisti delle sostituzioni. La vittoria, affatto scontata, va attribuita in gran parte a questa felice gestione del match da parte del tecnico.

Quando una squadra come il Venezia entra a San Siro, quello che conta è, di solito, l'assetto difensivo. Zanetti si è coperto bene, come era suo diritto e dovere, con una linea di 4 difensori protetta da 4 compagni che, retrocedendo, diventavano 5 per il ripiegamento diligente del norvegese Johnsen. I 5 non si schieravano come un secondo muro, in linea (come per es., l'anno scorso, avevano fatto l'Udinese e il Genoa in casa contro l'Atalanta). Sapendo che il Milan ha un centrocampo che tende ad allungarsi in verticale, in quanto cerca di salire con scambi veloci, ha chiesto ai 5 uomini che facevano da filtro di muoversi tenendo d'occhio i movimenti dei singoli incursori rossoneri. Così facendo, pur lasciando 5 palle gol al Milan, ha tenuto per un'ora abbondante e, nel finale del primo tempo, ha rischiato di segnare su calcio d'angolo. Il tecnico del Venezia non ha nulla da rimproverarsi per la sconfitta.

Pioli ha schierato una difesa inedita con Kalulu, Gabbia, Romagnoli e Ballo-Touré, andando da destra a sinistra, e facendo rifiatare Tomori ed Hernandez. A centrocampo, Tonali era un regista quasi alla Xavi, libero di spostarsi dove il gioco richiedeva la sua direzione orchestrale. Bennacer, ormai rifrancato dopo Liverpool, giostrava bene per linee interne e Florenzi faceva lo stantuffo sulla fascia destra. In attacco, era sempre più evidente la transizione verso le 3 punte, soprattutto nelle partite in casa contro squadre di livello basso. Rebic, infatti, partiva dal centro per allargarsi, Leao largo sulla fascia sinistra si accentrava spesso e volentieri, mentre Diaz era appostato alle spalle di entrambi, pronto a fiondarsi verso la porta negli spazi aperti dai compagni. Il portoghese, le cui leve lunghissime consentivano rincorse precluse al compagno spagnolo, copriva molto, mentre il piccolo Diaz aveva compiti solo occasionali di marcatura, più che altro per contrastare gli avversari nel pressing alto e a centrocampo.

La prima fase offriva ai tifosi rossoneri la pratica di penitenza del risultato che non si sblocca, malgrado si giochi una partita che si dovrebbe vincere per forza. Ballo-Touré giocava bene e con intelligenza, ma non aveva la forza di penetrazione di Theo Hernandez. Diaz, inoltre, sembrava affaticato e un filo privo di brillantezza per gli impegni consecutivi dei giorni precedenti. Le sue azioni, quindi, tanto da lontano quanto in area, finivano per spegnersi nervosamente sulle gambe degli avversari. Nonostante tutto, comunque, i rossoneri costruivano 4 belle palle gol. Rebic non riusciva a schiacciare in rete un cross alto e teso, ma spediva alto in maniera un po' grossolana. Anche la testa di florenzi non era precisa nel deviare una pennellata di Kalulu, che poco prima aveva scambiato con lo stesso Rebic per poi spedire fuori di piatto. Era proprio Rebic che, per evidente scelta tattica, si spostava largo a destra per favorire le incursioni dei laterali di quella fascia. Quando infine Leao, giostrando in slalom sulla sinistra, serviva la palla resoterra e tesa a Florenzi, il finlandese Maenpaa, portiere del Venezia, applicava la legge secondo la quale i traversoni nell'area del portiere sono... del portiere e anticipava il milanista con i polpastrelli.

All'inizio della ripresa, al rientro in campo delle squadre, si aveva la sensazione che il pari fosse figlio non solo delle molte assenze, ma anche della trappola in cui spesso cade la squadra più quotata, quando gioca in casa con quella meno illustre. Il Milan, in sostanza, sembrava aver giocato un po' con l'inconscia illusione che, giostrando in attacco, prima o poi avrebbe segnato. Invece, come anticipato sopra, era stato il Venezia che, su calcio d'angolo agli sgoccioli del primo tempo, aveva mancato la deviazione vincente a un metro dalla porta con tale Dor Peretz, carneade del pallone. E a pensarci bene, questo giocatore sarà un carneade quanto si vuole, ma se avesse messo in porta quella sfera, avrebbe combinato al Diavolo un servizio che questi, forse, non avrebbe dimenticato facilmente.

Ora dobbiamo focalizzarci per un attimo sul rientro in campo delle squadre nella ripresa come se fosse il presente e tutto si svolgesse davanti ai nostri occhi. Nel vedere il Milan che rientra senza cambi, infatti, viene spontaneo pensare che Pioli stia buttando via il solito quarto d'ora di gioco prima di correggere la formazione in difficoltà. Del resto, Diaz continua a essere impreciso, tanto è vero che si mangia un gol facile facile su uno spiovente vagante nell'area lagunare. Il sinistro non è il suo piede, ma lo spagnolo è solo soletto e nessuno lo contrasta. Kalulu, poi, sembra essersi innervosito all'improvviso e sbaglia più di una cosa agevole. Entrambi appaiono elementi da sostituire. E' in questo frangente che Pioli vince la partita e mi spiego.

E' la giornata del turn over, della rotazione per non far accumulare troppi minuti nelle gambe dei giocatori più sfruttati. In sostanza, si gioca una partita basata sul rischio calcolato di trovarsi a lungo senza l'apporto di certi elementi, per cui non ha senso farsi prendere dall'ansia e buttare in campo i titolari all'inizio della ripresa. Inoltre, Pioli capisce che il Kalulu del primo tempo non può essere crollato dopo 45' e occorre dargli un segno di fiducia, per cui lo lascia in campo dopo il primo giro di sostituzioni. Quanto a Diaz, si è comunque trovato ben smarcato in area in occasione del gol mangiato, condizione che, con il Venezia tutto in difesa, non è da trascurare. Riprendiamo, però, a commentare gli avvenimenti passati per quello che sono, cioè passati, usando i tempi del passato.

Al quarto d'ora della ripresa, entravano Tomori, Hernandez e Saelemaekers per i pur meritevoli Gabbia, Ballo-Touré e Florenzi. Hernandez e Saelemaekers erano stati, per motivi diversi, protagonisti in negativo della partita contro la Juventus, ma avevano le gambe riposate, la mente sgombra e una gran voglia di spaccare il mondo. Il Venezia, quindi, iniziava a non vederla più. Kalulu riprendeva a maramaldeggiare sulla destra, mentre anche Diaz doveva sentirsi rinfrancato a sua volta per essere rimasto in campo dopo la porcheria sotto porta. Proprio Diaz bruciava il suo marcatore in area prendendogli quel metro sufficiente per scaraventare in porta un assist al bacio di Theo Hernandez. La metteva in porta piombando sulla palla come un falco, per usare un'espressione con cui Ciotti commentò un gol di Paolo Rossi nel suo periodo migliore. Usciva a una decina di minuti dalla fine per prendersi gli applausi, meritati, perché l'essenza del calcio è il gol e una magia sotto rete annulla un match grigio, illuminandolo a giorno.

Il raddoppio di Theo Hernandez veniva dopo alcuni minuti di pericolosa accademia rossonera, ma il francese era deciso a chiudere i conti e, su un assist di Saelemaekers, la metteva dentro con una legnata rasoterra che non ammetteva opposizioni. Nell'occasione, la difesa veneta, già scoperta, veniva ulteriormente scompaginata per un bel movimento senza palla di Leao che tagliava a destra. Il portoghese si era proposto per l'assist, ma pur non servito, il suo movimento è stato importantissimo.

Non ho dimenticato Saelemaekers. Il belga è stato di gran lunga il migliore in campo nella fase in cui ha giocato, sistemato in un ruolo speculare a quello che l'anno scorso interpretava Chala. Il turco partiva dalla mezza sinistra e si accentrava per l'assist o il tiro, mentre il belga, lungi dal fare l'esterno, si accentrava dalla mezza destra proprio per gli assist e i tiri. E' entrato di prepotenza nelle azioni di entrambi i gol, sfogando la frustrazione per essere stato del tutto nullo domenica sera contro la Signora.

Quanto appena scritto, oltre che a dare a Pioli la palma del migliore della serata, ci porta a considerazioni più generali.

Il Milan, di fatto gioca a 3 punte, dove Leao fa anche l'esterno che ripiega in marcatura, avendo la falcata lunga che gli permette recuperi prodigiosi, senza arrancare come farebbe Diaz. Lo spagnolo ha il compito di retrocedere nella terra di nessuno fra area di rigore e centrocampo, ostacolare la ripartenza avversaria con un po' di pressing ed essere il motorino che fa ripartire l'azione verso Rebic, Leao o chi gli sta vicino, prima di precipitarsi in area. Lì' può essere letale, perché i movimenti di Rebic, ma anche di Leao, gli tolgono a volte un po' di pressione di dosso. Saelemaekers, è un giocatore offensivo, che sa fare anche il laterale di centrocampo oppure il terzino destro aggiunto, ma in quel ruolo di cursore, le risorse fisiche si esauriscono a metà partita. Può andare in tilt anche prima, se gli avversari creano la superiorità a centrocampo o velocizzano il giro della palla. Se è fresco e libero di costruire in funzione offensiva, il belga non ha niente da invidiare a Chala, anche se, come detto, si muove in maniera speculare al turco, da destra verso sinistra.

Ora il Milan è atteso dalla partita di La Spezia, dove la Juventus ha faticato per vincere e dove i rossoneri hanno dato l'addio al primo posto pochi mesi fa. E' cambiato il tecnico dei liguri, ma i rossoneri avranno il compito di scacciare i fantasmi del recente passato. Non so se il Milan è davvero da scudetto, quantomeno non ne sono sicuro, ma alla fin fine, siamo sinceri, è da scudetto chi lo vince e non lo è chi non lo vince. Sembra banale, ma se ci pensate bene è così e, almeno per ora, la parola scudetto è solo una domanda, la cui risposta soffia nel vento, come cantava Bob Dylan.