Se c’è un mondo dove si respira pienamente l’aria propria di una società classista e dove lo scontro di potere non si nasconde dietro la banalità di una, cento e mille maschere di mera ipocrisia, questo è quello sicuramente del calcio. Il calcio è il regno dei padroni, ed i padroni non lo celano mica tutto ciò, i padroni strapieni di soldi che si sfidano non tanto per la passione, questa oramai è diventata una questione di contorno, non è certamente la pietanza principale. Si scontrano per ragioni di potere e a volte anche di capriccio. Il potere, il voler comandare, il voler dettare legge. Ci sono padroni e padroni, padroni che possono permettersi per ragioni politiche, come nel caso del russo Abramovich, di vendere una società senza intascare direttamente un solo euro, poi vai a capire la tracciabilità dei flussi di danaro che strade potranno mai percorrere nella società dalle mille scatole cinesi, a padroni che vogliono farsi la loro competizione per spartirsi nella società del capitalismo la fetta di danaro che ad oggi è monopolizzata dalla tradizione che sembra oramai destinata a cadere. Nel calcio si sta consumando una piccola rivoluzione francese, dove alla fine, furono più i rivoluzionari che persero la testa che l’alta borghesia. Terreno di scontro tra potentati, a chi è concesso tutto, perché si è schierato dalla parte giusta della storia voluta dal potere di turno, chi è soggetto a penalizzazioni, chi salta di barca in barca in base all’opportunismo del momento.

Nel calcio di oggi sembra che lo sport giocato e ciò che questo rappresenti per il popolo abbia un valore di secondo piano. E gli effetti si vedono. Società storiche che spariscono, tifosi che si allontanano dal calcio, sport sempre più elitario e meno attrattivo che continua, in modo arrogante, ad essere convinto che il mondo non può far a meno del calcio. Ne siamo certi? Questa guerra di potere tra padroni è autodistruttiva e non si salverà nessuno. La SuperLega si farà, sarà una necessità non più rinviabile, nel calcio continueranno ad esserci discrepanze societarie formidabili, le priorità continueranno ad essere stadi futuristici pensati più per il business che per accogliere dignitosamente una partita di calcio. I bilanci hanno son diventati il principale pilastro per la sopravvivenza del calcio. Non si tratta di essere solamente nostalgici di un mondo che non c’è più, e che non tornerà più, del vecchio calcio oramai andato perduto, ma di essere consapevoli che nel calcio di oggi si sta consumando una tremenda guerra di potere che ha visto il calcio diventare il teatro perfetto per questo scontro nella società del capitalismo unica ideologia dominante ed universale.
Piaccia o non piaccia è così.