Oggi Silvio Berlusconi, nuovo patron del Monza, farà il suo esordio in tribuna allo stadio Brianteo in occasione della gara contro la Triestina. La gara - big match della 7a giornata del Girone B di Serie C - segna, dunque, il ritorno dell'ex presidente del Milan sulle scene calcistiche nazionali. Alla notizia ha fatto seguito il pronto saluto di Gabriele Gravina - presidente della Lega Pro e candidato alla presidenza Figc - che ha dichiarato che la sua nuova "discesa in campo" rende tutto il movimento più forte. Perché Berlusconi, oltre ad essere testimone e riferimento di successo di una pagina importante della storia del calcio italiano, insieme ad Adriano Galliani - ha aggiunto - porta un "contributo di idee e progettualità", di "energie intellettuali e finanziarie capaci di accendere emozioni".

Forse sarebbe stato meglio limitarsi a parlare di importante ritorno d'immagine per tutta la categoria, perché ripensando al primo discorso di Berlusconi su quello che è diventato il suo Monza, ci si rende facilmente conto di essere molto distanti dall'idea comune di progettualità. Di concreti programmi di sviluppo, di una reale pianificazione neanche l'ombra. Al contrario, le sue parole urlate dal palco di Cernobbio - in occasione dell'evento "Idee per l'Italia a Milano" - sono parse, più che altro, una serie di slogan. Tra un fragoroso applauso e l'altro, per la prima volta non è spuntato fuori il cardine della sua filosofia calcistica, ovvero il famoso "vincere e convincere". D'altronde neanche il Cavaliere ha avuto il coraggio di accostare il suo nuovo progetto alla sua vecchia filosofia calcistica, eppure è uno a cui l'audacia non è mai mancata.

I concetti coniati per questa sua nuova avventura sono stati accostati allo slogan "buono, pulito e giusto", appartenente a Slow Food, un'associazione nata in Italia proprio negli anni della sua prima "discesa in campo". Un accostamento azzardato, quello tra cibo e calcio, però calzante a pennello. Perché Berlusconi, nel tratteggiare il Monza che ha in mente, ha parlato di una squadra giovane e tutta italiana, una squadra di ragazzi con i capelli in ordine, i cui giocatori non avranno la barba e assolutamente non avranno i tatuaggi e non dovranno portare orecchini vari. Poi, prendendo le distanze dal calcio attuale, ha spiegato che i suoi giocatori saranno un esempio di correttezza in campo, si scuseranno se faranno fallo, si rivolgeranno al direttore di gara chiamandolo "signore" e stringeranno la mano agli avversari alla fine della partita. Vestiranno con sobrietà e in caso di autografi non faranno uno schizzo incomprensibile (del resto la firma illeggibile è un vezzo che solo i medici possono permettersi!).

Il suo nuovo "progetto", quindi, prevede qualcosa di buono e interessante se funziona - il richiamo ai doveri minimi di correttezza - e una serie di divieti che fanno discutere. A me personalmente fanno riflettere e mi sembra di essere tornato agli anni Ottanta. In particolare riportano alla mente un tormentone di quegli anni, il famoso YMCA dei Village People. Alzi la mano chi non ha mai intonato quel coretto "uai-em-si-ei", magari agitando le braccia in modo scoordinato a destra e sinistra. Cosa c'entrano i Village People? Forse non tutti sanno che il titolo della canzone fa riferimento all'associazione giovanile cristiana statunitense, Young Men's Christian Association. Il testo affronta il tema dell'omosessualità non esplicitamente, ma per mezzo di doppi sensi e allusioni maliziose, e presenta questi circoli come ottimi luoghi di abbordaggio! La canzone (divenuta inno della comunità gay), pertanto, è una sorta di sfottò all'ipocrisia e alla rigida etichetta cristiana di quel tempo, una derisione di quei luoghi apparentemente vietati agli omosessuali. Un dileggio all'apparenza.

In un'epoca di barbudos e tatuati, Berlusconi, con le sue parole, sembra, dunque, non solo aver perso la nozione del tempo, ma aver tragicamente confuso due elementi totalmente diversi e complementari in qualunque ambito e per ogni cosa: forma e sostanza. Confusi e, peggio ancora, sovrapposti, a danno del secondo. Troppo spesso, infatti, si punta al superficiale, gli si conferisce un significato che inevitabilmente non può avere, lo si rende obiettivo finale, scopo, risultato massimo da conseguire per meri fini di visibilità. Dimenticandosi per strategia o ignoranza che non è la forma a sancire il successo di un progetto ma è la sostanza che contiene.

Rimanendo nella provincia del nostro pallone, qualche giorno prima del discorso di Berlusconi era scomparso Gianni Rubini, classe 1940, storico segretario generale del Piacenza Calcio. Scopritore dei fratelli Inzaghi e Nainggolan, era stato dirigente ai tempi di Cagni e Novellino. Rubini negli ultimi anni si era ritirato dal calcio professionistico per dedicarsi a quella che definiva la parte più bella e più pura del nostro amato calcio: i bambini. A 78 anni allenava i bambini del paese, Podenzano. Qualche anno fa aveva regalato ai suoi giocatori (gli allievi del Piacenza) un libricino, scritto di suo pugno, in cui aveva commentato ogni partita del campionato 1973/74, con le relative pagelle. Lo regalava a tutti, indistintamente, che avessero un tatuaggio oppure no, che avessero i capelli lunghi o rasati a zero. Piacenza piange un suo figlio, il calcio una sua memoria storica, tutti noi una grande persona. Questa sì una storia di provincia dal sapore di calcio antico.