Giampiero Ventura starà di certo gongolando e non solo per il suo ritorno sulla panchina di un club di A – il Chievo Verona – a un anno di distanza dal clamoroso flop alla guida della Nazionale. Potrà, infatti, compiacersi del fatto che l'ultima vittoria 'seria' della Nazionale italiana porta la sua firma. Era il 9 ottobre 2017, l'Italia batteva l'Albania per 1-0 grazie ad una rete di Candreva, e in panchina sedeva ancora lui. È già passato un anno da quella vittoria, ultima in competizioni ufficiali per la Nazionale italiana; da lì è poi iniziato un anno orribilis per il calcio italiano: prima la storica esclusione dai Mondiali in Russia, appresso le dimissioni di Tavecchio, quindi il licenziamento di Ventura e una lunga fase di colloqui per trovare il nuovo ct ed infine l'arrivo di Roberto Mancini.

IL MANCIO NON SA PIÙ VINCERE – Con il tecnico jesino in panchina l'Italia ha ottenuto un solo successo in sei gare – il sofferto 2-1 contro l'Arabia Saudita in amichevole – e ben due sconfitte. Se si pensa che l'ultimo allenatore azzurro che non ha vinto almeno due delle prime sei è stato Fulvio Bernardini, a cavallo tra il 1974 e il 1975, ed è solo la seconda volta nella storia in cui gli Azzurri non vincono per cinque gare interne consecutive – la prima oltre novant'anni fa – allora si ha l'idea del momento negativo che il nostro calcio sta attraversando e del pessimo bilancio del Mancio alla guida della Nazionale.

SEGNALI DI RIPRESA – Certo, nemmeno il più ottimista tra i tifosi si sarebbe aspettato di vedere una goleada contro l'Ucraina, ma quanto meno un successo era atteso. Invece la vittoria agli Azzurri manca ancora. Nonostante ciò, qualche segnale incoraggiante finalmente si è visto. L'Italia pareggia 1-1, a Genova, nell'amichevole contro gli uomini di Shevchenko, ma lascia almeno una buona impressione per un primo tempo convincente e con tante occasioni, anche se non c'è la concretezza necessaria e il problema del gol ancora non è risolto. Buona, però, l'intesa tra Bernardeschi, Insigne e Chiesa, tridente inedito in movimento continuo, ben assistito da un centrocampo che ha funzionato grazie al palleggio garantito da Jorginho, Verratti e Barella (nono debuttante con Mancini e calciatore numero 800 a indossare l'azzurro). Lo 0-0 del primo tempo non ha reso merito al gioco proposto dagli Azzurri e il grave errore di Pyatov sul sinistro di Bernardeschi in avvio di ripresa è sembrato il giusto riconoscimento alla supremazia dell'Italia. Il vantaggio, tuttavia, è durato troppo poco. La difesa azzurra, ben organizzata all'inizio, ha lascito spazi eccessivi agli ucraini, che dopo il pareggio di Malinovskyi, hanno avuto altre occasioni e l'Italia è diventata prevedibile e poco efficace.

MANCA IL BOMBER In attesa di trovare i giusti equilibri, a partire dall'intesa del doppio play da affinare, la gara di Genova, ha mostrato ancora una volta la mancanza di concretezza sotto porta. Un dato che si riflette anche nei numeri. Basti pensare che il giocatore più prolifico in campo ieri sera era un difensore, Giorgio Chiellini, a quota 8 gol. Un vero e proprio smacco per la nostra nazionale, che nel corso della sua storia ha potuto annoverare alcuni tra i centravanti più forti del panorama mondiale. Ma con Balotelli e Belotti neanche convocati, perché non al meglio, Immobile (anche lui acciaccato) che in Nazionale non segna da settembre dello scorso anno, bisogna arrendersi all'evidenza e constatare che la Serie A non produce molto in tal senso: a parte Insigne e lo stesso laziale, nella top ten dei marcatori di quest'anno troviamo Piatek , Defrel, Higuain, Mandzukic, Ronaldo, De Paul... Un problema strutturale, quindi, un problema di singoli più che una questione di equilibri e per questo di difficile soluzione nell'immediato. La mancanza del gol finisce poi per ripercuotersi sugli altri reparti e pure sulla gestione mentale nei 90 minuti. Se fossimo andati in vantaggio nel primo tempo, in cui meritavamo di segnare più di un gol, la gestione del finale con l'Ucraina probabilmente sarebbe stata diversa. A centrocampo il doppio regista Jorginho Verratti non ha pienamente convinto ma ha avuto il merito di rendere il gioco più veloce e piacevole, aiutato anche dal continuo movimento dei tridente leggero, ma è mancato in avanti chi la butta dentro. Ed è questa l'incognita più grande da risolvere.

SORRISO BERDARDESHI In mancanza dei gol del centravanti, a rompere gli equilibri ci ha pensato l'uomo più in palla del momento, Federico Berdardeschi, apparso in netta crescita sotto ogni punto di vista. Lo juventino indossava il numero venti, maglia mai banale se colorata d'azzurro. Del resto era quella di Paolo Rossi trascinatore dell'Italia al Mondiale del 1982. È presto per i paragoni, anche perché i ruoli sono differenti, ma Federico è apparso uno dei migliori in queste prime uscite dell'Italia di Roberto Mancini. Il suo sinistro, che già ha colpito in campionato – contro Chievo e Frosinone – adesso comincia a farsi sentire anche in nazionale. Certo il gol all'Ucraina va condiviso con la papera di Pyatov, ma tanto in bianconero – elogiato più volte da Allegri – quanto in azzurro Bernardeschi sta cominciando a confermare la sua valutazione da 40 milioni, quelli sborsati dalla Juventus. In questo avvio di stagione l'ex viola ha dimostrato di essere diventato più concreto e meno leggero. Con un Bernardeschi così, che segna sotto gli occhi di Sheva – uno dei suoi idoli giovanili – l'Italia può avere un po' di fede per il futuro.

Resta il rammarico per una vittoria che non arriva. La serie nera continua, ma è meglio non guardare i numeri quanto piuttosto i progressi di un'Italia giovane, brillante, audace con tutti i talenti messi in vetrina in attesa del killer instinct. Bisogna aspettare e sperare. Aspettare che Mancini abbia finito il suo scouting e scelga un nucleo di giocatori sui quali costruire l'ossatura della nuova nazionale. Sperare che la FIGC finalmente propositiva e decisionista vari un progetto di sviluppo che punti sui centri di formazione federale e che le squadre leader del calcio italiano tornino ad investire sui nostri talenti. Siamo all'anno zero e a Mancini non si può chiedere di più di quello che ha ottenuto.

Per questo ho trovato i fischi del Ferraris ingenerosi, anche se bisogna capire la voglia di esultare e di gioire che ha un popolo ferito a morte dalla tragedia del Ponte Morandi, con le vittime ricordate al minuto 43. Un lungo applauso ha accompagnato tanta commozione.