Sabato scorso, allo stadio Franchi di Firenze, ho potuto ammirare dal vivo l'Extraterrestre. Me ne stavo lì seduto infreddolito sul mio seggiolino con tutte le incertezze e le insicurezze di un povero essere umano, mentre lui senza sosta faceva su e giù per il campo ad una velocità almeno doppia rispetto agli altri giocatori, come ormai fa da almeno un decennio negli stadi di tutta Europa. Noi ci angosciamo, soffriamo, ci interroghiamo sulla natura, sull'amore, sul tempo, sulla politica. E l'Extraterrestre? Da quando ne ho memoria è sempre stato la macchina perfetta che è ora: l'automa CR7, un essere dal fisico scultoreo assurto a stereotipo maschile a cui aspirare e incensato dai media a complesso assiologico al pari della narrazione in fieri di una mitologia. Per un attimo mi è sembrato persino di incrociare il suo sguardo, poco prima che dal dischetto calciasse il pallone in rete e si esibisse nella sua ripetitiva e meccanica esultanza. Poi ho pensato: chissà che noia! Perché sono proprio i nostri difetti, le nostre imperfezioni che ci contraddistinguono, ci rendono unici, ci permettono di andare avanti, di mutare nel tempo, e insieme alla nostra capacità d'immaginazione, alle nostre domande, ci consentono di raccontare il mondo. Ma la verità, purtroppo, è un'altra. Come ha dimostrato l'ultima giornata di campionato, con il suo deprecabile corollario di cori offensivi, scritte ingiuriose e polemiche arbitrali, ad annoiarsi non è CR7, no lui proprio non si stanca mai a buttarla dentro ad ogni gara, ma siamo noi tifosi ad essere stufi. Lo stupore di assistere ogni giorno allo spettacolo della vita, la meraviglia di far parte del mondo, a volte non riesce a contrastare questo sentimento strisciante, che sale da dentro ed è in grado di corrompere qualsiasi cosa. Talvolta neanche eventi meravigliosi ed eccezionali riescono minimamente a scalfire la mia corazza di pessimismo: tutto è come deve essere, com’era e come sarà. Ci sono giorni in cui ho l’impressione che le rotaie del nostro campionato mi indirizzino davanti agli stessi paesaggi, mi sembra di assistere sempre alle stesse cose e di ascoltare le stesse parole da sempre. Perché non è la prima volta, ahimè, che una giornata di calcio si trasforma in un pomeriggio di vergogna.

Lo shock è stato forte, troppo. Nemmeno la rivalità più accesa può giustificare un qualcosa di simile, una scritta becera che lascia sgomenti e fa reagire in primis la città di Firenze che non vuole e non deve essere associata a tutto questo. Ecco allora che il sindaco Nardella mostra subito le frasi cancellate. Ma quella scritta infame resta indelebile nella testa di tutti, di chi con Scirea ha condiviso una vita, o di chi, come il sottoscritto, nel mito di quello straordinario e sfortunato capitano bianconero è cresciuto. Così come restano indelebili e fisse nella memoria di ognuno di noi le istantanee di quei corpi schiacciati, di quelle vite calpestate, spentesi sui gradoni di uno stadio, intrappolate da gelide inferriate, uccise di nuovo assieme alla passione e all'entusiasmo che si prova ad assistere una semplice partita di pallone. Un messaggio vergognoso che d'un tratto ci riporta indietro di decenni, a quel maledetto 3 settembre dell'89, quando Sandro Ciotti annunciava in diretta alla Domenica Sportiva la morte di Gaetano Scirea, a quel tragico 29 maggio dell'85, e fa riemergere immagini talmente crude e tragiche che non avremmo voluto vedere mai, così come quella scritta che calpesta senza pietà ancora e ancora chi non c'è più, che uccide di nuovo l'eterno capitano bianconero. Questione di sensibilità, di educazione, ancor prima che di cultura sportiva, che va oltre a ciò che si può soltanto sentire sugli spalti di uno stadio, come quegli odiosi e oramai tristemente noti cori offensivi che qualcuno cerca pure di far passare per semplici sfottò.

Una giornata di vero e proprio caos. Lo stato di agitazione generale si è protratto pure nel posticipo serale, Roma-Inter. Una partita stupenda ma schiacciata dai residui, comunque larghi, coni d'ombra di utilizzo del Var. Il vaso di Pandora, col coperchio dato per disperso, si apre quando l'arbitro Rocchi non assegna un evidente rigore alla Roma e il Var Fabbri non interviene. A fine partita ci scherzerà su l'eterno capitano della Roma, Francesco Totti, fuoriclasse anche nello sdrammatizzare, ma comunque con il fuoco dentro, come tutta la Capitale, che si sente contemporaneamente una specie di Nerone nel rivedere le immagini e un PM inquisitore con più domande da fare, e una viene in mente a tutti: da protocollo, il famoso clear mistake – l'errore chiaro – impone al Var di correggere l'arbitro, qui non succede perché? Ed ecco allora che si torna al solito discorso, alle interpretazioni. Dove la soggettività della scelta lascia spazio all'incontestabilità dell'errore? L'interrogativo che anima e divide. Se poi l'errore umano arriva anche con l'ausilio della tecnologia, la polemica si sente testimone di nozze e riecco i veleni di un'Italia che se c'è da scagliarsi contro gli arbitri si mostra più unita che mai. Polemiche che nemmeno sorprendono quando si parla di pallone e sembrano quasi un passaggio obbligato, tanto da pensare che il calcio e il suo contorno forse non cambieranno mai.

A volte mi chiedo se valga ancora la pena seguire questo sport. In un calcio sempre più macchiato da polemiche, maleducazione, ignoranza e violenza, perché mai la visione di una partita, di un gol, di un dribbling, dovrebbero suscitarmi un sentimento di meraviglia? Forse la passione e l'entusiasmo dovrebbero venire allenati regolarmente. Ciò che si intende per “restare giovani” sta proprio nella capacità di rinnovare lo stupore. E alcune volte lo stupore nasce con la pazienza. Bisogna continuare a seguire quello che un tempo ci appassionava e aspettare. Scrive Cesare Pavese, infatti, che “il più sicuro e più rapidomodo di stupirci è di fissare imperterriti sempre lo stesso oggetto. Un bel momento quest'oggetto ci sembreràmiracolosodi non averlo visto mai.” Ed è stato proprio allo stadio che mi sono reso conto del flusso di umanità che passava davanti ai miei occhi, la parte sana del tifo, quegli uomini, quelle donne, quei bambini che felici incitavano la propria squadra. Invece di concentrare lo sguardo su ciò che di negativo circonda il calcio, preferisco osservare la parte bella, quella che è giusto vivere e respirare: l'omaggio di Chiellini della Juventus a Davide Astori, col cuore viola sempre pronto a battere per lui nella Fiesole; quel minuto 13 entrato ormai nel dna di tutti noi; i cori e gli applausi ai poveri Astori e Scirea senza distinzione di colore e maglia ti riconciliano con la vita e sono la risposta migliore a quei pochi che vogliono sporcare la nostra passione. Perché questa dovrebbe essere la norma. La rivalità è un conto, l'intelligenza e il rispetto sono, invece, la base di tutto e magari anche un inizio per un calcio che dovrebbe sempre nutrirsi di gesti così. È questo il fascino del calcio. Oltre a tutti i significati immaginabili, per me ciò vuol dire che, anche nei giorni più bui, c'è sempre qualcosa per cui il gioco più bello del mondo ti farà battere il cuore. Il calcio non è soltanto uno sport, siamo tutti noi. Nei momenti peggiori, sembra un luogo eternamente uguale, fatto di scandali e vergogne. Ma con un po' di allenamento si può arrivare a percepire anche in quei momenti il calcio come qualcosa di meraviglioso.