Il racconto sul calcio ogni tanto si bagna di lacrime. Lacrime di gioia, di riscatto o di disperazione, sportiva si intende. Quando la tensione si scioglie e non si riescono a trattenere le emozioni, allora si ci lascia andare ad un pianto liberatorio. Che la partita sia vinta o la stagione sia inesorabilmente compromessa, i dirimpettai stati d'animo sono uniti dalle lacrime, simbolo tangibile dei sentimenti che escono allo scoperto.

Lacrime di Gigi Buffon per l'addio alla Juventus, lacrime di Max Allegri per il suo quarto Scudetto consecutivo, lacrime di Stefan De Vrij per aver provocato un rigore che fa svanire il sogno della Champions alla Lazio (da dove lui se ne andrà) e lo fa materializzare all'Inter (dove lui andrà a giocare). Lacrime versate a fiumi da Totti per il suo toccante addio alla Roma che fa piangere uno stadio intero, lacrime di Andrea Pirlo per la sua ultima gara con la maglia bianconera nella finale di Champions League contro il Barcellona; lacrime di Marco Materazzi, che dopo aver vinto la Champions League con l'Inter piange disperato fuori dagli spogliatoi a causa dell'ormai certo addio di José Mourinho. Lacrime di Alex Del Piero che dopo aver sbloccato la partita col Bari con un gol di antologia si butta a terra in un pianto liberatorio per la morte del padre di pochi giorni prima. Lacrime di Ronaldo il Fenomeno, simbolo dell'Inter dei primi anni 2000, che piange incredulo e disperato sulla panchina della sua squadra dopo aver perso lo scudetto del 5 maggio; le sue lacrime sono il simbolo della delusione della squadra e della tifoseria che già si vedevano lo scudetto cucito sulla maglia.

Lacrime di Franco Baresi, libero del Milan e simbolo di un'epoca che non c'è più, per la sconfitta dell'Italia contro il Brasile ai calci di rigore nella finale mondiale di USA '94. Il pianto di un campione immenso come lui è il pianto di una nazione intera che fa commuovere milioni di telespettatori. Piange un allenatore, piange un giocatore, piangiamo noi tifosi con loro, e tutto questo diventa virale, contagioso. Perché le lacrime dei nostri beniamini sembrano avere un sapore diverso. Quello di campioni che ci hanno fatto sognare e con le loro lacrime si avvicinano a noi, rendendo umane le loro emozioni. Dopo essere sembrati irraggiungibili a sorpresa si fanno toccare, afferrare, si fanno stringere ritornando umani, e si rendono alla nostra portata, alla portata delle nostre lacrime. Piangere con loro ci fa sentire un po' nei loro panni, ce li fa sentire ancora più vicini.

Quello che non sapevamo fino all'altro giorno è che anche gli arbitri piangono. Al termine della sfida di Nations League tra Germania e Olanda – che ha decretato la qualificazione degli Orange alla Final Four – il direttore di gara rumeno Ovidiu Hategan si è lasciato andare al centro del campo a un pianto di liberazione; aveva perso la madre pochi istanti prima dell'inizio della gara e al fischio finale ha scaricato la tensione come potrebbe capitare a ciascuno di noi in un momento del genere. Già, perché anche l'arbitro è umano, sbaglia e ha la stessa fragilità che possiamo avere noi spettatori che lo osserviamo tutto il tempo. Eppure spesso ce ne dimentichiamo e, nonostante oggi indossi una divisa molto più colorata di un tempo, noi continuiamo a vederlo come l'uomo nero. In Italia, infatti, ci sono circa 35.000 arbitri che ogni domenica dirigono 15.000 gare, e lo fanno in cambio di che cosa? Le offese, gli insulti sono il loro pane quotidiano e a volte va anche peggio. E questa cosa è insopportabile.

È inaccettabile nel calcio di oggi vedere la figura dell'arbitro, persino e soprattutto nei campi delle serie inferiori, essere scambiata con quella di un avversario, di un nemico da combattere fino a renderlo bersaglio di una violenza frustrata e incivile, così come è capitato la scorsa settimana. La vittima un giovane arbitro di Ciampino, Riccardo Bernardini, non ancora maggiorenne; era lì innanzitutto per imparare. Ma i suoi aggressori gli si sono scagliati contro con una tale ferocia e brutalità che ha portato lui all'ospedale, ha gettato i suoi familiari nello sconforto quando hanno saputo che ha rischiato di morire, e ha indotto l'associazione italiana dei direttori di gara a sospendere per il weekend appena trascorso tutte le partite dilettanti e giovanili del Lazio.

Chi ama il calcio e ha questa passione che brucia inconsapevolmente sotto la pelle deve molto agli arbitri, perché senza di loro e senza il coraggio di un giudizio non si giocherebbe a pallone neanche nel più piccolo campo di periferia. Chi ama il calcio non dovrebbe mai dimenticare chi c'è dietro un fischietto e cosa c'è tra un fischio e una decisione. Il sudore, il sacrificio, lo sforzo, l'impegno, la fatica di chi non trova mai gli applausi, che noi invece tributiamo ai nostri beniamini. Perché così facendo agli arbitri non resta che la solitudine con cui fare i conti. E allora grazie Ovidiu. Grazie per quell'istantanea così densa di emozioni che ci hai regalato. Magari ogni tanto guardando una partita ricorderemo le tue immagini, di te al centro del campo, e per un attimo penseremo che quelle le mani sul volto siano anche le nostre, che le braccia di Virgil Van Dijk – difensore olandese del Liverpool – che al triplice fischio ti hanno stretto forte siano anche le nostre, che quel piccolo gesto dal notevole spessore umano sia il nostro. Quel giorno forse l'arbitro sarà il benvenuto.