Il destino per definizione, a volte, si diverte a mettere alla prova i sentimenti. Domenica sera all'Olimpico arriva il Genoa appena raccolto da Cesare Prandelli, e proprio l'allenatore che accese gli entusiasmi a Trigoria, 14 anni fa, potrebbe diventare il giudice ultimo di Eusebio Di Francesco. Era la Roma dei Sensi e l'alba di un'estate che di notte portò via Fabio Capello, destinazione Juventus. Ma un destino, sempre lui, molto più feroce (la malattia della moglie che poi scomparse) lo avrebbe costretto a lasciare la Lupa ancora prima di iniziare la stagione, che diventò un rosario di spine, passando per le mani di altri quattro allenatori. Tornando al presente, il momento è ad alta tensione, tutti sono sotto esame, ma soprattutto lui, Eusebio Di Francesco, perché al di là dei malumori d'oltreoceano del presidente Pallotta e delle parole forti di Manolas dopo la sconfitta di Plzen – “non siamo all'altezza” – è una Roma che proprio non va: già 7 partite perse in stagione su 21, praticamente una su tre.

Mortificante è l'andamento delle ultime 6 partite. Dopo la vittoria con la Samp, i giallorossi hanno ottenuto due pareggi, con quello di Cagliari che ancora grida vendetta, e ben tre k.o. La Roma sta vivendo un momento delicato, il peggiore forse della gestione Di Francesco, e più delle sconfitte è da inizio stagione che pesano le scarse prestazione e l'impatto insufficiente sulle partite dei tanti interpreti dai quali non arrivano risposte confortanti. Il punto più basso da quando l'abruzzese siede in panchina si è toccato mercoledì sera in Champions, contro il Viktoria Plzen, all'andata sepolto da una comoda cinquina e due mesi dopo capace di ribaltare le gerarchie con una Roma in continua involuzione. Una innocua trasferta in Boemia trasformatasi nell'ennesima figuraccia, perché il risultato ininfluente ai fini della qualificazione non giustifica di certo l'atteggiamento di una squadra che non poteva permettersi un'altra brutta prestazione dopo quella di Cagliari, questione di etichetta, di fiducia, di segnale da trasmettere all'ambiente per stemperare le polemiche e guardare avanti. Difficile farlo dopo aver assistito ad un'ulteriore performance priva di mordente in alcuni singoli come Schick, ma più in generale nel gruppo, con un primo tempo da stiracchiato 6 politico, giustificato da qualche iniziativa di Under e Kluivert, e un secondo da 4 in pagella, caratterizzato dalle solite amnesie difensive organizzative.

La Roma giallorossa è una polveriera e in questo clima si sa, le soluzioni sono sempre più intricate delle rivoluzioni. L'evidente deficit fisico e la confusione tattica sono le costanti di questa Roma, tuttavia è sempre il mercato a raccogliere nel cuore già immalinconito dei tifosi il maggior numero dei dissensi, con la società e il suo presidente – Pallotta è stato contestato ancora con uno striscione durante la partita di Champions – ritenuti responsabili principali di questa situazione. Difficile dimenticare, infatti, che tre pilastri della Roma semifinalista dell'ultima Champions, come Alisson, Nainggolan e Strootman (addirittura titolare alla prima a Torino) sono diventati ormai il passato. Assenze carismatiche, dall'alto coefficiente tecnico, che in una piazza da troppo tempo a digiuno di successi psicologicamente si amplificano. I copiosi ed interessanti arrivi estivi orchestrati da Monchi del resto non aiutano il controbilanciamento: fra chi è molto giovane, chi necessita di rodaggio e chi di applicazione tattica – Pastore su tutti – la Lupa è il suo capobranco hanno perso certezze. Se un anno fa l'integralismo del DiFra era diventato un fastidioso marchio mediatico, oggi siamo al paradosso opposto, la sua Roma ha sempre cambiato pelle, forse per assicurare il gruppo, di certo per provare a fare meglio. E mentre Eusebio gonfia il petto: «Io, al di là di essere l'allenatore della Roma, sono DiFra», torna d'attualità il solito tormentone: quanti di questi acquisti sono realmente adatti e compensano il vuoto che si è creato? Il campo non mente quasi mai, e anche senza questi ultimi deludenti risultati si ha sempre avuto l'impressione che la squadra nuotasse nelle torbide acque della mediocrità.

Cambiata la preparazione per evitare il calo di gennaio, la scarsa brillantezza sta aggredendo anche i nervi dentro la Roma stessa. Le certezze sembrano essere davvero poche, mentre si moltiplicano le ombre sul futuro di Di Francesco di pari passo alle incongruenze all'interno del club. Un esempio su tutti: il ritiro. Introdotto dopo il pari di Cagliari in campionato con la rimonta dei sardi in nove, e annullato, per decisione dell'allenatore e della società, nonostante la sconfitta di Champions. Perché togliere adesso, dopo un passo falso numericamente peggiore del precedente, una misura introdotta soltanto 5 giorni fa? E l'ultima battuta di Pallotta – “ Se ho visto la partita? No ero dallo psichiatra” – perché gettare ulteriore benzina sul fuoco delle polemiche? Una considerazione disperata che sottolinea come ormai il presidente sia stufo di questa Roma, dei problemi legati al business dello stadio, del suo allenatore. Insomma tutti e nessuno in discussione. Quello più a rischio ovviamente è Di Francesco al quale la società ha deciso di accordare ancora fiducia almeno fino alla sfida con il Genoa. In caso di altro k.o il cambio sarebbe quasi inevitabile nonostante la scarsa voglia di pagare nuovi stipendi e le perplessità sui tre tecnici proposti al club, Paulo Sousa, Blanc e Montella.

L'incrocio con il Genoa rischia di essere, dunque, per l'allenatore giallorosso l'ultimo granello di una clessidra il cui tempo sta scadendo. Perché Roma-Genoa, per uno strano scherzo del destino, richiama alla mente cose già vissute, già sperimentate, già viste. Roma-Genoa 2-1, del 18 aprile scorso, mise fine ad un mese di astinenza di successi, e i giallorossi di oggi non vincono esattamente da un mese. Roma-Genoa 2-0, del dicembre 2015, invece, mise fine, da lì a poco, all'avventura di Garcia sulla panchina giallorossa. Oggi come allora, due allenatori in discussione – Garcia prima, Di Francesco ora – difesi dai propri ds – Sabatini ieri, Monchi oggi – e in entrambi i casi un presidente, Pallotta, da cui trapela tutta la delusione. Di Francesco spera chiaramente di non fare la fine del suo collega francese, ma è certo di una nuova ripartenza. Ecco cosa vuol dire Roma-Genoa, un punto di svolta per salvare la panchina e per rilanciarsi in campionato. DiFra evidentemente sente ancora la squadra in mano, ma è pronto a scelte di rottura tra modulo, 3-4-3, e uomini, Schick che non decolla rischia la panchina. Possibile il tridente con il falso nueve Zaniolo, affiancato da Under e Kluiver, per un trio d'attacco nemmeno ventenne come età media. Ma al di là degli uomini conta il gruppo, sarà determinante l'atteggiamento della squadra. Roma-Genoa dentro o fuori, per di Francesco e i suoi il dado è tratto. Anche se si ha l'impressione che non si cambi solo per paura che il rimedio rischi di essere peggiore del male. Lunedì prossimo, negli States per una riunione programmata tempo fa, Monchi infatti non vuole parlare con Pallotta di alcun sostituto per la panchina, auspicando che il recupero di giocatori importanti, per carisma e per qualità, come De Rossi, Dzeko, Pellegrini ed El Shaarawy, aiuti la Roma ed Eusebio a trovare un equilibrio da qui alla fine della stagione. Le riflessioni su chi ha più deluso invece sono già iniziate, ma la priorità oggi è che a Cesare domenica sera non siano gridati troppi Ave.