“Viviamo nel mondo del marciume, della mafia e del denaro figlio di...”. È da tramandare ai posteri l'incipit di Elma Aveiro, parole come pietre per denunciare l'abominio di un Pallone d'oro che schiva suo fratello Cristiano. “Dio può tardare, ma non sbaglia”, è l'epitaffio. Ma poi chissà, fra i cieli del Ronaldismo è già tempo di perdono se l'indomani la stessa Elma pubblica una foto di sé col commento “essere felici”. Parabola molto simile per la sorella Katia: prima si dice preoccupata per il futuro del calcio, il giorno seguente ci delizia con un pendant pantalone albero di Natale. Sarà allora forse il caso di ridimensionarli un attimo questi benedetti social, un mezzo di comunicazione così diretto da riflettere la volubilità del nostro animo. Molto dipende dalla capacità dei giornalisti di riconoscere una pseudo-notizia: il cane che morde un uomo non lo è, si diceva una volta, un uomo che morde un cane invece sì. Figurarsi quando la comunicazione passa per la tastiera di Wanda Nara che di post in post ha saputo costruirsi il profilo da agente del marito Mauro Icardi. Una professionista della comunicazione, niente da eccepire se non l'atteggiamento acritico con cui spesso i giornalisti si tuffano sulle sue esche. Ben più artigianale il lavoro di Mario Jose Martinez, in arte papà di Lautaro, con quel “cagon” rivolto a Spalletti che ha riempito, però, più pagine di uno scribacchino. A distanza di pochi giorni il padre ha negato persino di possedere un account su Twitter. Verità o smentita di comodo poco importa, la domanda prepotente resta un'altra: ci cambia davvero qualcosa se il signor Martinez si infuria perché suo figlio resta in panchina?

Da più parti ormai arriva un grido d'allarme sull'uso inappropriato e talvolta aggressivo dei social, il calcio purtroppo non è esente da questa amara situazione a giudicare dagli ultimi pesanti cinguettii. Perché se da un lato l'avvento dei social network ha permesso ai giocatori – e anche parenti, moglie o fidanzate – di costruire un legame più stretto, un contatto quasi diretto con i loro sostenitori, dall'altro ha creato una comunicazione senza rete, senza filtri, che può facilmente sfuggire di mano e a volte avere grandi ripercussioni sia per loro che per i club. Ne sanno qualcosa Nainggolan e la Roma. Se a Capodanno, infatti, è tradizione brindare con un bicchiere di spumante o champagne per celebrare il passaggio al nuovo anno, Radja Naingollan preferisce bere direttamente dalla bottiglia. Come facciamo a saperlo? Semplice, nel bel mezzo dei festeggiamenti, il Ninja tira fuori il suo smartphone, si collega a Instagram ed inizia una diretta streaming per mostrarci il suo modo di salutare il 2018 tra alcol, sigarette e insulti. Non ci vuole molto poi che il video dell'ex centrocampista della Roma diventi virale e i media stigmatizzino il comportamento di un uomo già molto controverso. Come dimenticare poi l'ex giocatore del PSG, Serge Aurier, che perde completamente la testa su Periscope, il servizio video di Twitter. L'ivoriano, infatti, pensa bene di insultare alcuni suoi compagni di squadra e l'allenatore, Laurent Blanc, che qualifica il comportamento del suo giocatore “pietoso”. Questi sono solo due esempi tra molti altri: Patrice Evra, Emmanuel Adebayor, Adil Rami, Adrian Mutu … difficile elencarli tutti dal momento che sono tanti ad avere, di frequente e a vari livelli, oltrepassato la linea rossa della comunicazione “virtuale”.

Oggi i social network fanno parte della nostra vita quotidiana, e grazie a – o a causa di – un semplice smartphone sono con noi 24 ore su 24. Con loro, il concetto di privacy è totalmente da rivedere, in quanto alcuni condividono qualsiasi cosa. E i calciatori non fanno di certo eccezione. Nel nostro tempo per esistere devi essere sui social, altro che il vetusto cogito ergo sum! È un bisogno, forse, che può essere spiegato dal fatto che, vivendo in un mondo sempre più globalizzato dove la solitudine è sempre maggiore, la nostra voglia di esistere si riversa lì. C'è anche una forma di narcisismo che si auto alimenta dall'essere riconosciuto, perché quando il tuo tweet viene letto da migliaia di persone, ti senti felice. Ed è facile che la cosa sfugga rapidamente di mano, tanto che per alcuni si può parlare di una sorta di dipendenza da social. E a vedere le Instagram Stories di certi calciatori, si comprende come non siano affatto immuni. Del resto la tendenza della società di oggi è quella di sfociare nell'individualismo e ne risente fatalmente di più un mondo sovraesposto come quello dello sport e del calcio; 20 o 30 anni fa il club veniva prima di tutto, adesso l'attenzione maggiore è sul giocatore. La squadra ormai è intesa come un insieme di diverse individualità e di conseguenza non vi è alcun motivo per cui anche la comunicazione dei giocatori non segua la stessa logica.

Tuttavia, è importante riflettere attentamente non solo su quello che si pubblica, ma pure quando è il momento di inviare un post. Si capisce facilmente che pubblicare una foto gioiosa dopo una sconfitta è del tutto fuori luogo. Padroneggiare la comunicazione però non è affatto facile, ancor meno quando si è una persona pubblica, e alcuni si prestano a questo esercizio più facilmente di altri. Se nulla è formalmente proibito, i calciatori per primi dovrebbero capire l'importanza del loro ruolo e rispettare determinati valori (rispetto, tolleranza, fair play ...), in linea con le finalità educative e sociali dello sport. Un cattivo uso dei social network, infatti, può essere potenzialmente pericoloso anche per gli stessi club, che hanno tutto l'interesse che i propri giocatori abbiano un corretto comportamento social, perché alla fine c'è anche la loro immagine in gioco. Ed è per questo che alcune società hanno un vero e proprio codice di condotta a riguardo, e alcuni messaggi o foto riguardanti la squadra non possono essere pubblicate senza il consenso del club. Momento particolarmente delicato, poi, è la vigilia di un match, tanto che il più delle volte nessun messaggio o foto può essere postato 24 ore prima dell'inizio di una partita. È un modo per protegge e tutelare sia i giocatori che la squadra. Tutto è fatto per evitare brutti scherzi, ma c'è sempre qualcuno che cade nella trappola della rete.

È l'era del buzz e della condivisione rapida ed è difficile sfuggire all'occhio attento dei media, ed è un attimo che un piccolo errore si trasformi in un vero e proprio polverone mediatico. Il problema è proprio questo, oggi con i social network, tutto va molto veloce, siamo nel regno dell'istantaneo. Totalmente immersi dentro, alcuni non riescono ad avere la giusta percezione della portata delle loro parole. Un tweet maldestro, una foto inappropriata su Instagram e il web si infiamma in minor tempo di quello necessario per postarlo. La bolla mediatica, che circonda il mondo del calcio, poi, si gonfia ancor più rapidamente e fa esplodere tutto altrettanto velocemente. E a causa di ciò bisogna tener conto anche dell'aspetto psicologico. I giocatori al giorno d'oggi devono essere molto forti mentalmente per sopportare la pressione che tutto questo genera, specialmente con i social network che fanno da enorme cassa di risonanza, dal momento che c'è chi, con un nick anonimo, crede di avere il permesso di dire tutto. Alcuni calciatori lo hanno capito e sembra quasi che si approfittino della situazione, poiché “c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”. Forse scomodare Oscar Wilde può essere eccessivo, però il concetto di fondo è proprio questo: nel bene o nel male, purché se ne parli! Perché sui social network quello che funziona è il clamore, l'emozione, e le persone sono pronte a tutto per una manciata di likes in più alle loro pubblicazioni. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i calciatori preferiscono stare lontano dal clamore mediatico e i post pubblicati riguardano per lo più scene di vita quotidiana, in allenamento, messaggi per annunciare una partita, celebrare un obiettivo...

Si può notare che esistono due tipi di giocatori sui social network: quelli che li gestiscono da soli e chi, invece, chiede aiuto all'esterno. Più la commercializzazione dell'immagine di un giocatore è forte, più diventa indispensabile affidare la propria comunicazione a qualcun altro. È troppo grande, infatti, il rischio di danneggiare la gallina dalle uova d'oro, perché se per ottenere una certa notorietà sono necessarie molte partite ad alto livello, basta un solo tweet per rovinare un'intera carriera. Perciò sono molti gli sportivi professionisti che, per evitare scivoloni social, affidano i loro interessi a società di comunicazione. Queste ultime ne gestiscono l'immagine, occupandosi in particolare dei contenuti pubblicati sui profili ufficiali dei giocatori (foto, video), e fanno in modo di garantirne un'immagine linda e pinta, lontana da qualsiasi cosa possa danneggiarne la carriera e il reddito. Tali società sono sempre più numerose sul mercato e crescono di pari passo con la comprensione da parte degli sportivi dell'importanza di gestire perfettamente la propria comunicazione. Esperti di marketing, community manager, analisti, … sono sempre più indispensabili nella società contemporanea, in cui gli sponsor vedono nelle piattaforme social il perfetto canale di diffusione per poter piazzare i propri prodotti. Considerando poi, che alcuni giocatori hanno persino più followers dello stesso club di appartenenza, viene abbastanza naturale sfruttarne l'immagine come testimonial di un marchio. Il rapporto costi/benefici, infatti, è molto più vantaggioso in questo tipo di marketing rispetto alla pubblicità tradizionale. La notorietà di uno sportivo gioca certamente un ruolo fondamentale, ma l'aspetto non intrusivo di questo tipo di marketing lo rende, paradossalmente, più penetrante delle classiche campagne pubblicitarie. Ricchi contratti di sponsorizzazione sono ormai la regola per i giocatori più famosi, e poter contare su una buona base di followers vuol dire avere un ritorno economico quasi assicurato.

Se la stragrande maggioranza dei giocatori si trova sulle diverse piattaforme social, quella che svetta è senza dubbio Instagram. La rete social di Mark Zuckerberg vince per numero numeri di calciatori presenti e followes. Ma perché Instagram rimane la piattaforma preferita? Forse per la sua semplicità di utilizzo, la sua fluidità e la sua versatilità. Fino a poco tempo fa, inoltre, non era praticamente inquinato dalla pubblicità. Ma sono state soprattutto le Stories, una funzione aggiunta nel 2016, a renderlo così popolare. È possibile condividere foto e video, e i giocatori sempre più spesso coinvolgono i loro fan con video live dallo spogliatoio dopo una vittoria. Un qualcosa di inimmaginabile fino a pochi anni fa. Non c'è da meravigliarsi, pertanto, se più del 75% degli utenti ha meno di 35 anni. Economicamente è più interessante, per un giocatore, essere presente su Instagram che sulle altre piattaforme proprio per l'elevato numero di iscritti. Un miliardo di utenti attivi ogni mese vuol dire un'infinità di “mi piace” e... pure un pacco di soldi.

Tutto questo sono i social media: un'opportunità unica, una miniera d'oro, ma anche una trappola. Perché oggi una carriera, una reputazione passa attraverso 280 caratteri o una foto.