In principio fu Davide – il pastorello che, armato di una semplice fionda, uccide Golia, il temibile gigante dei Filistei in guerra con il popolo di Israele – a dimostrarci che anche i più piccoli possono avere la meglio sui più forti.
Ma anche il racconto del calcio è costellato di risultati sorprendenti, di rovesci clamorosi, di esisti che sfuggono a qualsiasi logica e pronostico, perché si sa il pallone è rotondo e da esso si ci può aspettare di tutto. Non serve neanche rievocare la storica sconfitta dell'Italia contro la Corea del Nord per opera del dentista Pak Doo Ik e la conseguente eliminazione dai Mondiali d'Inghilterra del 1966, ma basta più semplicemente sfogliare i libri della storia recente dei club italiani impegnati in Europa League per incappare in tonfi eclatanti e pessime figure nostrane. La doppia sconfitta dell'Inter contro gli israeliani dell'Hapoel Beer Sheva, o la batosta del Milan contro i modesti croati del Rijeka sono solo alcuni esempi che ci offre la storia contemporanea.
Saranno gli effetti della globalizzazione, o forse solo della sopravvalutazione del nostro calcio, ma quello che abbiamo visto pure la scorsa settimana e sempre in Europa League, a San Siro prima e nel deserto di Limassol poi, non fa per niente bene al movimento calcistico italiano e soprattutto non fa bene alla reputazione dei nostri club. Abbiamo infatti assistito a prestazioni mediocri e assolutamente non all'altezza da parte di Milan e Lazio, due squadre che stanno lottando per il quarto posto in Serie A, che sono state messe in crisi da formazioni semiprofessionistiche, onesti dopolavoristi che rappresentano Lussemburgo e Cipro, ossia federazioni che si trovano al di sotto dell'85esimo posto del ranking FIFA.

Forse ha ragione chi attribuisce un significato più profondo a quello che è considerato lo sport più bello del mondo, e lo considera appunto come qualcosa di più di ciò che appare, vale a dire una metafora della vita. Perché nel calcio di oggi si ravvisano i segni della globalizzazione che ha uniformato mode e stili di vita. Un'omologazione del pallone che ha provocato un livellamento – verso il basso? – e una standardizzazione del gioco, dal momento che ogni formazione ha una discreta preparazione fisica e conoscenze tattiche simili tra loro, tanto che sembra quasi che giochino tutti alla stessa maniera e che gli schemi adottati siano prevedibili e ripetitivi.
La differenza di un tempo non c'è più
e, per intenderci, ciò che faceva del campionato italiano quello più difficile del mondo non esiste più. Diventando “globale” il football ha fatto sì che le scuole calcistiche tradizionali abbiano smarrito la loro netta superiorità e forse anche i tratti distintivi che le hanno caratterizzate nel corso della propria evoluzione. Ci siamo così dimenticati di uno degli insegnamenti della storia di Davide e Golia, il più importante forse: gli ebrei vogliono dare a Davide una corazza per il combattimento. Ma Davide non riesce più a muoversi, è troppo pesante per lui. Con quella corazza addosso il piccolo Davide avrebbe perso. Decide allora di tenere i suoi soliti abiti da pastore. Anche questo fatto deve essere inteso in senso simbolico: Davide fa leva sui suoi punti di forza e per questo ha successo. Insomma, l'unica possibilità di sopravvivere è andare in modo consapevole per la propria strada, avere coraggio e seguire le proprie idee.

Oggi, invece, solo qualche raro fuoriclasse riesce a contaminare con il proprio estro l'appiattimento di moduli e schemi tattici del calcio moderno; peccato che in Italia pure i pochi individualisti, dotati di classe ed estro, siano piegati alle esigenze di squadra da allenatori che tendono a uccidere la fantasia, finendo così per rovinare il gioco più bello del mondo. Il calcio italiano, a parer mio, è rimasto senza idee perché mancano i grandi allenatori. Partite brutte, risultati striminziti, mentalità utilitaristica, le grandi in sofferenza in Europa. Numeri alla mano il cammino del nostro calcio non è stato per nulla entusiasmante. Alle spalle della Juventus il vuoto, sia in campionato che per quanto riguarda i recenti risultati europei.
Il problema però non è il campo, o meglio non è solo in campo. Il vero problema è in panchina. Il minimo comune denominatore di questi ultimi anni in Italia è l'assenza di allenatori di livello internazionale: praticamente la maggior parte delle squadre sono affidate a tecnici inesperti, di secondo piano, a volte si ci avvale dei vecchi lupi di mare che fanno comodo all'occorrenza (in caso di stagione avviatasi verso una certa retrocessione o non in linea con le aspettative iniziali) e addirittura si è ricorsi ad allenatori alla prima esperienza in assoluto in panchina. Se si guarda al passato la differenza è abissale e non è un caso che in campionato la Juve ne abbia vinte 13 su 14. Difficile spiegare le cause di tale fenomeno. La scelta dell'allenatore è sempre un processo delicato, che in Italia in particolare segue logiche non sempre lineari. Secondo me una buona parte di “responsabilità” per questa moda di affidarsi a tecnici giovani e con poca o nessuna esperienza va attribuita a Guardiola e al suo exploit alla guida del Barcellona. Probabilmente c'è anche un fattore economico e mediatico, visto che i club in perenne crisi economica tendono a tagliare alla voce stipendio del tecnico, e dunque i migliori sono sempre più tentati dalla suggestione di guidare una squadra all'estero. Quel che è certo è che le conseguenze si vedono sul campo e nei risultati.

Poi ci sono le eterne problematiche strutturali che attanagliano il pallone italico. Col tempo si è rafforzata in me la convinzione che in molti, in seno alle componenti dirigenziali, non abbiano compreso appieno le ragioni della catastrofe della mancata partecipazione dell'Italia ai Mondiali in Russia. La risposta che il Palazzo è sembrato in grado di dare è stata una mera ridistribuzione di cariche e incarichi, con Tavecchio e Ventura che hanno fatto da capro espiatorio per l'intero movimento. Se si continuerà a ragionare secondo le logiche attuali – che vivono in stantii tatticismi e riposizionamenti – il futuro non promette nulla di buono. Leggo e ascolto interventi in cui è davvero difficile intravedere anche solo un barlume di buon senso: è stata addirittura rispolverata la tessera del tifoso. Tra un coro discriminatorio derubricato a sfottò, e vergognose scritte che infangano campioni, l'unica riforma tangibile finora è la Serie B a 19 squadre, che peraltro già si pensa di abolire. Ci sarebbero anche le seconde squadre, un progetto destinato a morire sul nascere, visto che è stato fatto in maniera improvvisata e senza cognizione di causa.
E poi? Poi il vuoto. Zero proposte, un'assenza di contenuti disarmante. Se questo è lo scenario temo davvero che il 13 novembre 2017 sia stato solo il prologo di una tempesta che non potrà che concludersi con il crollo definitivo del sistema calcio in Italia, o nella migliore delle ipotesi con un declassamento a livello europeo. Dovremmo avere il coraggio di osare, c'è un gap da colmare, avendo la consapevolezza che il pallone al giorno d'oggi è sempre più dominato dalla finanza. Insomma il nostro calcio si è “smarrito” e la tendenza può essere invertita solo se cominciamo la ricostruzione, altrimenti non stupiamoci se il Dudelange fa tremare il Milan e l'Apollon batte la Lazio.

Qualcuno dirà che in fondo le partite di Europa League sono senza tanto significato e che questa manifestazione è da anni ormai una competizione che non attrae né economicamente né sportivamente, ma il punto è un altro. Bisogna essere onesti e ammettere purtroppo che il nostro calcio, pieno di stranieri e di problemi, è diventato mediocre a tutti i livelli: la nazionale viene da 12 anni di fallimenti, i club non vincono niente in Europa da 8 anni, non esiste un progetto tecnico che parte dai settori giovanili e dalla formazione per arrivare all'adeguamento di strutture e impianti, negli ultimi 15 anni sono fallite oltre 150 società professionistiche e molti dirigenti sono finiti nel mirino della magistratura.

Davvero è il caso di utilizzare una metafora abusata: la nave affonda e l'orchestra continua a suonare!