Mio caro amato calcio in quarantena... 

 

Mio caro amore, non puoi immaginare quanto mi manchi. Non puoi sapere quanta sofferenza e quanto dolore io sto provando in questi giorni. Al dispiacere di sapere delle sofferenze e delle perdite dell'umanità si aggiunge ora quello di saperti in quarantena.

Il dispiacere più forte è quello di non poterti vedere, di non poter accogliere il tuo invito per gioire assieme. Mi mancano le tue notizie giornaliere che mi fanno sentire sempre felice e spensierato, lo spettacolo che offri stimolando sempre le mie emozioni.

Sapevo di non poter fare a meno di te, ma oggi, che la realtà ci ha drammaticamente proiettati sul fatto compiuto, capisco che mai potrò rinunciare a te, qualunque cosa accadrà con l'intento di separarci. Ti giuro che nulla sarà mai più forte del sentimento che nutro per te, caro unico indispensabile e insostituibile amore.

Hanno tentato di distruggerti in tutti i modi, di assassinarti selvaggiamente con numerosi interventi delittuosi e mortali: il denaro soprattutto, quel demone che ha fatto l'impossibile e sta facendo di tutto per ucciderti, poi “calciopoli” e ora il “corona virus”. Ma questi eventi negativi non riusciranno mai a eliminarti totalmente, saranno solo capaci di trasformarti in meglio o in peggio, ma mai potranno distruggerti definitivamente perchè l'amore che nutriamo per te, noi innamorati, sarà la panacea assoluta e la più efficace per renderti immortale rinnovando le nostre gioie, legate a migliaia di avvenimenti che ci proporrai costantemente. Tanti bei ricordi che, da parecchi decenni ormai, ci tramandi da padre in figlio, da nipoti a pronipoti, da generazioni intere. Da sempre!

Le gioie che hai dato ai tifosi di ogni squadra di club sono state immense, ma non ci hai donato solo quelle; le gioie che, generosamente, tu mi hai dato e che hai donato a tutti noi, come ad esempio i quattro titoli mondiali che l'Italia ha conquistato, ci hanno emozionati fino alle lacrime e ancora oggi custodiamo gelosamente il ricordo nei nostri cuori. Sono ricordi che tutti non potremo mai dimenticare, ricordi fatti di particolari che a noi innamorati, magari, qualche volta sfuggono, ma non cancellano l'emozione del momento.

E sono tanti i miracoli che hai procurato a noi tifosi! Miracoli impensabili ma tanto sentiti dal profondo del cuore, come gli scudetti conquistati da formazioni inconsuete e poco avvezze a vincere un titolo in Italia che non fosse stato invece esclusivo appannaggio delle solite squadre più famose: Milan, Inter e Juventus.

Io seppure ancora ragazzino ricordo il primo scudetto vinto dalla Fiorentina nel 1956. All'inizio degli anni '50 il presidente Enrico Befani, industriale tessile di Prato, operò con astuzia e programmazione affidando la squadra già dal 1953 al tecnico più esigente di allora, quel Fulvio Bernardini, gran cultore di calcio, che allenò la Fiorentina ben conscio di poter applicare ai gigliati la sua dottrina calcistica, fondata sul “WM elastico”, sfruttando gli spazi liberi creati dal movimento dei giocatori in campo. A questo proposito si affidò a giocatori di classe e di valore tecnico indiscusso, vincendo uno titolo dal record ancor oggi ineguagliato: la conquista dello scudetto con largo anticipo, perdendo una sola partita all'ultima giornata di campionato (contro il Genoa). La qual cosa servì a salvare la compagine ligure dalla retrocessione in serie B.

La performance della squadra viola diede lustro al nostro campionato tramite le giocate straordinarie di alcuni campioni, le cui caratteristiche si compensarono ad arte magistralmente, dirette in maniera impeccabile dal bravo allenatore romano. La difesa era compatta e ben amalgamata, il centrocampo da cui partivano le iniziative gigliate faceva perno sui due nazionali di grande esperienza come il capitano Chiappella e l'interno Gratton. L'attacco si fondava su due giocatori di classe come Julinho e Montuori che lanciavano a rete il centravanti Virgili.

La formazione viola era composta da:

Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato, Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Bizzarri

Fecero parte di quella squadra pure: Toros, Bartoli, Orzan, Scaramucci, Carpanesi, Mazza e Prini.

Tutti i giocatori titolari fecero parte integrante delle loro nazionali. L'argentino Miguel Montuori, grande orchestratore di classe dell'attacco, fu naturalizzato oriundo italiano, mentre il brasiliano Julio Botelho detto Julinho, giocatore molto estroso e introverso, dotato di un talento da fuoriclasse di raro valore, soffrì di “saudade”, quel sentimento di malinconia e richiamo nostalgico della propria terra, che lo spinse un paio d'anni dopo il suo trionfo a ritornare per sempre nella terra natia da cui era partito.

Fulvio Bernardini, anni dopo, pose in atto una rivoluzione nei ranghi della nazionale italiana. Egli infatti fu il commissario tecnico demandato dalla FIGC per ricreare una nazionale forte come la si ebbe nel periodo anteguerra, con l'intento di rinverdire le antiche tradizioni che seppe infondere agli azzurri il grande Vittorio Pozzo.

Ricordo bene inoltre lo scudetto conquistato dal Cagliari nel 1970, allenato da Manlio Scopigno (l'allenatore filosofo) durante la presidenza del politico Efisio Corrias. Quella fu un'altra piacevole novità delle vicende calcistiche nostrane. Il Cagliari fu una formazione ricca di grandi campioni che l'anno precedente aveva lottato onorevolmente nelle primissime posizioni di classifica.

La formazione titolare rossoblu era composta da:

Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva

Fecero parte di quella squadra pure: Reginato, Tampucci, Mancin, Roffi, Sulis, Ferru, Poli, Nocera, Chessa, Bonelli, Brugnera, Nastasio, Cuttuogno, Taddeini e Petta.

Quella conquista rappresentò una gioia condivisa dalla stragrande maggioranza degli amanti del calcio di tutto il territorio nazionale e condivisa pure con altrettanto entusiasmo dagli italiani emigrati fuori dai nostri confini, appassionati che ammirarono gli eroi della compagine sarda meritevoli di quello scudetto così tanto desiderato e sognato in tutta la Sardegna. Il suo paladino più rappresentativo Gigi Riva fu una colonna della nostra nazionale, l'attaccante più forte che l'Italia abbia mai avuto nel dopoguerra, trascinandoci di forza ai mondiali in Messico. “Rombo di Tuono”, come simpaticamente fu apostrofato dal grande Gianni Brera, vinse più di una volta la classifica dei cannonieri del campionato. Io ricordo ancora le sue proiezioni veloci e potenti nella metà campo avversaria, ma soprattutto quei suoi tiri poderosi che perforavano le difese e trasformavano in goal le azioni dei suoi compagni di squadra. Il Cagliari fu guidato con estrema sagacia dal taciturno allenatore Manlio Scopigno, nativo di Paularo, un'amena località collinare friulana che gli trasmise tutti i valori di quella bella terra, forte e genuina. L'allenatore dei Sardi pretese sempre ordine in campo sviluppando azioni senza fronzoli, ma efficaci e finalizzate sempre alla ricerca del goal.

Successivamente poi, come non ricordare lo scudetto vinto nel 1974, per la prima volta, dalla Lazio del presidente Umberto Lenzini e allenata dal grande stratega Tommaso Maestrelli.

Fu quella una formazione che assurse al gradino più alto del campionato di allora, esibendo un gioco innovativo basato su azioni veloci in verticale, il cui rendimento era accompagnato da un'armoniosità di manovra tra i reparti che riscosse l'approvazione incondizionata da parte di tutti gli appassionati del calcio spettacolare.

Maestrelli fu capace di ottenere un gioco semplice ma efficace, sfruttando al massimo il bagaglio tecnico dei suoi giocatori scelti con notevole arguzia, esaltando le doti tecniche dei suoi campioni più rappresentativi: Pulici, Wilson e Martini in difesa, Re Cecconi e Frustalupi colonne del centrocampo e D'Amico e Chinaglia finalizzatori dell'attacco.

La formazione titolare biancoazzurra era composta da:

Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D'Amico

Fecero parte di quella squadra pure: Moriggi, Avagliano, Facco, Labrocca, Polentes, Paris, Borgo, Inselvini, Manservizi, Ferruccio Mazzola, Tripodi, Chimenti e Franzoni.

L'avvenimento fece scalpore persino negli Stati Uniti, non solo per la presenza in squadra del cannoniere Chinaglia (detto Long John), ma anche perchè la Lazio, nell'anno precedente, era stata promossa dalla serie B alla serie A, disputando un campionato straordinario e che potè vantare un singolare record: la convocazione in nazionale di un giocatore della serie minore, Giorgio Chinaglia, un grande realizzatore di goal molto dotato tecnicamente e atleticamente, malgrado il suo incedere non del tutto elegante in campo, ma molto efficace ai fini del rendimento realizzativo. Chinaglia calciava con entrambi i piedi e colpiva bene di testa, specialità in cui eccelleva in modo particolare per le sua possanza fisica.

Maestrelli ebbe la soddisfazione di vincere meritatamente l'ambito Trofeo del “Seminatore d'oro” realizzando anche il record di maggior presenze nell'ambito delle Coppe nazionali.
Morì prematuramente all'età di 54 anni.

E come non ricordare poi quello scudetto del 1984/85 conquistato dal Verona? La squadra scaligera fece scalpore poiché, due anni prima dopo essere stata promossa dalla serie B alla serie A, conquistò il quarto posto nel campionato della massima serie. Il Verona si affermò ancora maggiormente l'anno successivo fino a conquistare infine lo scudetto nel maggio del 1985.

Il miracolo lo compì Osvaldo Bagnoli, l'allenatore (cresciuto da giocatore anni prima nel Milan) artefice di una promozione entusiasmante iniziando il cammino nel 1981 sotto la guida oculata del presidente Celestino Guidotti.

La formazione titolare gialloblu era la seguente:

Garella, Ferroni, Luciano Marangon, Briegel, Fontolan, Tricella, Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer-Larsen

Fecero parte di quella squadra pure: Spuri, Fabio Marangon, Bruni, Donà, Sacchetti, Terracciano, e Turchetta.

Bagnoli nemico del catenaccio difensivo, pretese sempre dai suoi giocatori una manovra molto ricca votata alla ricerca costante dei compagni di gioco. Egli escogitò uno stratagemma seminando lo scompiglio tra le difese avversarie, chiedendo ai due attaccanti Galderisi e il danese Elkjaer Preben Larsen di scambiarsi reiteratamente la posizione in campo con veloci automatismi sincronizzati. Questa tattica favorì gli inserimenti, tra gli spazi liberi, dei tre centrocampisti molto dotati tecnicamente: il nazionale tedesco Briegel, l'esterno a tutto campo Fanna e il gioiello trequartista Antonio Di Gennaro (oggi commentatore Tv nelle telecronache Rai). Essi infatti spesso a turno, inserendosi nella manovra avanzata, andarono in goal quasi con la stessa continuità di quella delle due punte. Ancora oggi ricordo con tanta immutata emozione quel fantastico tourbillon gialloblu che si propose con simpatia, riscuotendo parecchia ammirazione da parte di tutti gli esperti appassionati del bel calcio.


Ma tu, caro impareggiabile e glorioso calcio, ci hai regalato la gioia tra le più grandi e forse la più emozionante e indimenticabile tra tutte: quella del primo scudetto del Napoli targato Maradona. Il primo scudetto tanto atteso negli anni dai partenopei e tanto da ispirare la giornalista Rosellina Balbi a scrivere sul giornale “La Repubblica” del 12 maggio 1987 un interessante quanto appassionante articolo inneggiando allo scudetto del Napoli (e non solo per quel motivo...) dal titolo “Napoli ha vinto, e scusate il ritardo”.

A Napoli si scatenò un entusiasmo che travalicò i confini italici. Un lieto evento tanto desiderato quanto atteso funse da leva di riscatto sociale per l'orgoglioso popolo del Sud, mettendo in campo oltre all'entusiasmo sportivo pure le polemiche elettorali, figlie delle generazioni precedenti in cui il comandante Achille Lauro (storico presidente del Napoli negli anni post bellici e oltre) come ultimo rampollo sostenitore della Monarchia e retaggio atavico della cultura Borbonica, rivendicava con antico rimpianto i fasti di un tempo ormai non più possibile e non più ripetibile.

Ma al di là degli aspetti politici che inevitabilmente vennero a galla, vinse sicuramente il riscatto sociale della gente del sud, avallato da un'esaltazione sportiva senza precedenti.

Diego Armando Maradona, “El pibe de oro”, principale artefice di quella grande conquista fu amato e onorato al punto da assurgere simbolicamente ai fasti del nuovo re di Napoli.

Il presidente Corrado Ferlaino affrontò grossi sacrifici finanziari per raggiungere l'obiettivo, sicuro di non sbagliare acquistando il fenomeno argentino dal Barcelona. Il gruppo dei giocatori che vinsero il mitico scudetto nel maggio del 1987 fu guidato sagacemente dall'allenatore Ottavio Bianchi e fu composto dai seguenti giocatori:

Garella, Ferrara, Bruscolotti, Bagni, Ferrario, Renica, De Napoli, Romano, Giordano, Maradona e Carnevale.

Fecero parte di quella squadra pure: Di Fusco, Bigliardi, Carannante, Marino, Volpecina, Filardi, Caffarelli, Celestini, Muro, Puzone e Sola.

L'emozione attanagliò anche tutto il popolo meridionale residente nel Nord-Italia e l'entusiasmo contagiò parecchi estimatori di calcio ma soprattutto gli ammiratori di Maradona (me compreso), appassionati sempre assetati di bel gioco e alla ricerca dei funambolismi mostrati in tutte le platee calcistiche dal fuoriclasse argentino, naturale successore del grande Pelè.

 

Io spero che questa epidemia del “coronavirus” finisca presto, pertanto mi auguro sin da ora che tutto possa ritornare come prima, e che tutti gli appassionati possano tornare nuovamente a vivere sognando, come solo il calcio può farci sognare, perchè il problema vero non è quello che riguarda il COME devono essere portati a termine i campionati nazionali ed europei e con quale formula da scegliere onde poter completare la stagione, ma invece il problema riguarda semplicemente il QUANDO si dovrà riprendere a giocare, perchè prima o poi si dovrà ricominciare e non vediamo l'ora che ciò succeda per scacciare definitivamente l'incubo che oggi tiene in ansia tutti noi!!

Quindi mio caro calcio, sono sicuro che il nostro amore non finirà mai. Mio adorato non temere, io ti amerò sempre e ti attenderò fino all'ultimo giorno della mia vita!

 

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Non sia mai ch’io ponga impedimenti

all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore

se muta quando scopre un mutamento

o tende a svanire quando l’altro s’allontana.

Oh no! Amore è un faro sempre fisso

che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;

è la stella-guida di ogni sperduta barca,

il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.

Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote

dovran cadere sotto la sua curva lama;

Amore non muta in poche ore o settimane,

ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:

se questo è errore e mi sarà provato,

io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

(William Shakespeare)

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nostalgico rossonero

 

 

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