Chi dice che vincere o perdere non conta, probabilmente ha perso ancor prima di cominciare” (Martina Navratilova)

Ci furono vari appellativi che furono affibbiati a Mario Corso nel periodo in cui la sua stella brillò nel firmamento nerazzurro: “Il sinistro di Dio”, “Mandrake”, “Castigamatti”, “Mariolino” e forse qualche altro che certamente io non ricordo, ma comunque furono tutti appellativi per risaltare le sue doti magiche di fantasista fuoriclasse, ammirato da tutti gli appassionati nerazzurri e capace di esaltare anche gli appassionati di calcio di tutto il mondo. Giocatore eclettico, un po' punta e un po' centrocampista che prediligeva muoversi in campo senza rispettare regole ben precise. Egli sin da ragazzo fu un ammiratore di Omar Sivori al quale dedicò la sua “vena poetica” di calciatore tenendo abbassati i calzettoni come era solito fare l'argentino. Corso emulò il suo beniamino dal quale ereditò l'estrosità delle giocate e non appena se lo trovò davanti in partita, il nerazzurro gli fece un tunnel superandolo beffardamente e contrastandolo con dei dribbling strappa applausi. La sua tecnica colpì favorevolmente il grande Pelè, il quale si chiese come mai un talento del genere non avesse disputato i mondiali del 1966 in Inghilterra tra le maglie azzurre della nazionale italiana. Il motivo dell'esclusione di Corso fu dovuto alla ritrosia mentale del commissario tecnico Edmondo Fabbri, il quale non trovò conveniente l'inserimento del fuoriclasse temendo che il giocatore medesimo potesse fornire un rendimento incostante e quindi poco efficace all'economia di tutta la squadra. A dire il vero fu proprio Corso ad “autoescludersi” dal giro della Nazionale rendendosi inviso agli occhi dei commissari tecnici che guidarono la formazione azzurra già dal 1962, infatti durante un'amichevole in preparazione per il mondiale in Cile, Corso ebbe un duro scontro verbale nei confronti del commissario tecnico di allora Giovanni Ferrari. Ciò gli precluse definitivamente la presenza e lo condannò all'allontanamento dai ranghi azzurri per sempre. Ricordo un episodio che mise in evidenza il carattere estroverso del giocatore quando durante la preparazione al mondiale da parte della Cecoslovacchia, quella nazionale incontrò l'Inter in un incontro amichevole che vide tra gli spettatori in tribuna pure Giovanni Ferrari per visionare il grado di preparazione dei possibili avversari della nostra nazionale. Corso, tra i nerazzurri, diede prova della sua inconfondibile abilità di giocatore di classe e oltre a fornire una prova maiuscola, si rese protagonista di una rete bellissima che strappò l'applauso agli stessi giocatori cecoslovacchi in campo. Corso inorgoglito dall'impresa, cercò lo sguardo di Giovanni Ferrari in tribuna e gli dedicò in modo alquanto plateale il fatidico gesto dell'ombrello, suscitando scalpore e indignazione tra il gotha della dirigenza di Coverciano e di tutto l'entourage della Nazionale Italiana.

Il sinistro di Dio” fu l'appellativo che destinò a Corso il Commissario Tecnico Gyula Mandi, in occasione dell'incontro tra le Nazionali d'Israele e Italia nell'autunno del 1961. La partita fu valida per le qualificazioni al campionato del mondo in Cile che si sarebbe disputato l'anno successivo.
L'Italia chiuse il primo tempo in svantaggio di 2 goal, malgrado la presenza di pezzi da 90 come Mora, Lojacono, Altafini e Sivori. Nel secondo tempo gli azzurri reagirono segnando due goal che portarono le sorti dell'incontro in parità, ma fu lui, il ventenne Mario Corso segnando una doppietta, a vincere quella partita per 4 - 2 tanto da far dichiarare a Mandi durante l'intervista di fine gara la celebre frase: “Siamo stati bravi, ma ci ha battuto il piede sinistro di Dio”.

Corso, nato nel 1941, cresciuto nelle giovanili dell'Audace di S. Michele Extra in provincia di Verona, iniziò i primi contatti con il calcio a 10 anni e continuò fino a 15 anni per passare in prima squadra nel 1956 disputando un campionato tanto da incuriosire alcuni osservatori di grandi club. Ironia del destino fu che i colori della società Audace di S. Michele fossero di colore rossonero e a fine campionato nel 1957 a 16 anni fu acquistato dall'Inter che prevenendo la concorrenza di altri club per non lasciarsi sfuggire il futuro promettente gioiello, lo ingaggiò nell'anno successivo in maglia nerazzurra assieme a Guglielmone, altro giocatore promettente che poi deluse presto le aspettative e il portiere Da Pozzo. Il debutto di Corso non ancora diciassettenne avvenne in Coppa Italia in una gara che oppose l'Inter al Como. Corso segnò il goal del 2 – 0 diventando il più giovane calciatore a realizzare un goal in tutta la storia dell'Inter. Nel mese di novembre dello stesso anno esordì in campionato contro la Sampdoria e la settimana successiva durante la partita vinta dall'Inter per 3 – 0 contro il Bologna, Corso realizzò la sua prima rete in campionato. Era l'anno 1958 e da allora il fantasista nerazzurro disputò 16 stagioni nella gloriosa società di calcio Meneghina. Ormai l'asso nerazzurro diventò una delle colonne portanti dell'Inter scrivendo pagine indelebili nel libro della gloriosa storia nerazzurra.

Nel 1960 l'Inter ingaggiò l'allenatore Helenio Herrera, grande motivatore originario argentino ma spagnolo di adozione, considerato dalla tifoseria nerazzurra come un guru calcistico. Egli fu soprannominato “il mago” trascinando all'Inter il centrocampista Spagnolo Luisito Suarez, il quale assieme a Mazzola, Jair e lo stesso Corso costituì l'asse della linea avanzata in quello schieramento nerazzurro che vinse tutto dominando lo scenario internazionale calcistico. Herrera però non legò particolarmente con Corso, non solo per l'incompatibilità del carattere, ma perchè l'allenatore spagnolo amò la gloria dei successi legando le conquiste di titoli e trofei alla sua esclusiva personale abilità di tecnico. Onde confermare questa sua prerogativa, Herrera invocò ogni anno la cessione del fuoriclasse per liberarsi delle attenzioni e dei meriti acquisiti da Corso in occasione delle vittorie della squadra del biscione. Però il grande Presidente Angelo Moratti capì che il “vero mago” di quella compagine fu Corso e quindi, la sua oculata lungimiranza lo indusse a rifiutare sempre la cessione del fuoriclasse mancino, soprattutto perchè Corso si fece benvolere da tutta la famiglia nerazzurra, offrendo spesso notevoli prestazioni, tanto da ricevere l'affettuoso vezzeggiativo di “Mariolino”. Corso tramite le sue fantastiche giocate funamboliche seppe confermare le aspettative di Moratti giocando ad alti livelli soprattutto in occasione dei grandi eventi di campionato e della coppa dei campioni. Egli seppe anche scatenare la fantasia dei tifosi i quali, innamorati dei suoi virtuosismi, lo soprannominarono “Mandrake” perchè capace di inventare “numeri” decisamente risolutivi, nascondendo la palla in occasione di partite importanti contro le tradizionali squadre rivali. La tifoseria nerazzurra gli affibbiò anche il particolare appellativo di “Castigamatti” nell'espressione tipicamente dialettale, inteso come puntuale castigatore nei confronti della squadra avversaria in occasione di un'azione da goal andata a buon fine. Corso fu il primo protagonista in Italia a emulare la famosa punizione “a foglia morta” ideata dal brasiliano Didì; questo tipo di punizione consisteva nel fatto di calciare il pallone con una traiettoria molto alta per poi ricadere improvvisamente nella parte finale della sua corsa ingannando i portieri avversari in maniera imprevedibile. Il funambolico fuoriclasse, a seguito di lunghi e faticosi allenamenti, divenne specialista di questa giocata fino a raggiungere la quasi perfezione. Fu assoluto protagonista infatti, mandando in visibilio la platea di S. Siro, quando nell'incontro di ritorno in semifinale di Coppa dei Campioni nel 1965 contro il Liverpool, spianò la strada della rimonta (a seguito del risultato negativo della partita di andata) calciando magistralmente una punizione con autorevole precisione e con rara perfezione balistica battendo imparabilmente il portiere inglese. Lo stesso Corso si rese poi protagonista, a venti minuti dal termine dello stesso incontro, offrendo a Facchetti il superbo assist per il definitivo 3 – 0 che qualificò i nerazzurri in finale. Affrontando il Benfica in quella finale, l'Inter conquistò la seconda Coppa dei Campioni della sua storia e “Mandrake”, come sempre, risultò tra i migliori in campo di quella trionfale impresa.

Ma il capolavoro compiuto da Corso avvenne quando egli diede dimostrazione del suo completo talento calcistico, trasformando la sua attitudine di giocatore avvezzo alle azioni di attaccante in un abile centrocampista addetto alla regia del gioco. Il campione nerazzurro dovette adattarsi al nuovo ruolo di regista a partire dalla stagione 1970/71 a seguito del trasferimento alla Sampdoria di Suarez giunto al termine della stagione 1969/70. Infatti in quella stagione, il fuoriclasse nerazzurro guidò in maniera magistrale la squadra operando quella famosa rimonta di 7 punti in classifica e permettendo ai nerazzurri di conquistare lo scudetto ai danni dei cugini rossoneri del Milan. I tifosi rossoneri ricordano ancora amaramente quel derby di ritorno vinto dall'Inter per merito di Corso, il quale segnò il primo goal battendo una punizione in modo magistrale e poi fornì a Mazzola l'assist decisivo, concludendo un veloce contropiede con il raddoppio dei nerazzurri. E' doveroso ricordare per l'occasione che, in quella portentosa rimonta effettuata dall'Inter a danno dei cugini milanesi, la vittoria valeva solo due punti in classifica, quindi proprio per questo motivo l'impresa assunse maggior valore, suscitando stupore nell'ambiente calcistico nazionale ed europeo.

Sempre nello stesso anno 1971, l'Inter si imbattè nella difficile gara di Coppa dei Campioni subendo una spettacolare esibizione da parte dei tedeschi del Borussia Monchengladbach in quella che fu denominata “la gara della lattina”. La partita si disputò in un clima molto acceso tra i campioni di Germania e i nerazzurri campioni d'Italia. Nel Borussia Monchengladbach, formazione molto agguerrita, giocò il fuoriclasse tedesco Netzer il quale in particolari condizioni di forma, diede spettacolo di gioco impostando le azioni offensive dei tedeschi proiettati sempre in attacco sin dall'inizio dell'incontro. Dopo 28 minuti di gara, i nerazzurri si trovarono in svantaggio per 2 – 1 per effetto delle reti realizzate da Heynchess e Le Fevre per i tedeschi e da Boninsegna per l'Inter. Ma un episodio spiacevole rovinò quella partita perchè circa alla mezzora di gioco, volò in campo una lattina lanciata da uno spettatore presente nel settore dei padroni di casa tedeschi. La lattina colpì in testa Boninsegna durante una rimessa in gioco dalla linea laterale facendolo accasciare al suolo. Scoppiò un tafferuglio in campo, con i giocatori tedeschi intenti a nascondere l'oggetto contundente e i nerazzurri alla ricerca della lattina da consegnare all'arbitro a testimonianza del gesto violento. Invernizzi, allenatore dell'Inter, fu costretto a dover sostituire Boninsegna con Ghio, ma i nerazzurri giocarono quella gara svogliatamente, sicuri di ottenere partita vinta a tavolino per 3 – 0. Corso dal carattere molto difficile e introverso non riuscì a contenere la sua rabbia e la manifestò con estrema durezza quando l'arbitro olandese Dorpmans, nel secondo tempo, decretò un calcio di rigore discutibilissimo a favore dei tedeschi. Il fuoriclasse interista, tra le proteste dei giocatori in campo, si scagliò contro il direttore di gara rifilandogli anche un paio di calcioni. L'espulsione fu inevitabile e l'Inter dovette giocare il resto dell'incontro in nove uomini a seguito del precedente infortunio subito da Jair. L'episodio procurò a Corso una squalifica per 6 giornate da scontare in ambito europeo. La partita comunque fu sospesa poco dopo, a seguito delle intemperanze manifestate dagli spettatori, quando il risultato assunse ormai il punteggio tennistico di 7 – 1 a favore dei tedeschi. La sorpresa però fu quella di dover constatare successivamente con non poco stupore, che il regolamento di allora non contemplava l'esito di assegnare a tavolino la partita a favore della squadra che aveva subito il danno. Fu solamente l'abilità di Peppino Prisco vicepresidente dell'Inter a sovvertire la sentenza emessa a sfavore dei nerazzurri. Egli infatti riuscì ad ottenere il ridimensionamento della squalifica inflitta a Corso e a motivare il danno morale e materiale subito dalla squadra Milanese. Pertanto l'Inter ottenne l'insperata ripetizione della gara e riuscì quindi a contenere l'assalto dei tedeschi a Berlino, terminando l'incontro con il risultato di zero a zero. Ciò permise ai nerazzurri di superare il turno in quella contestata vicenda, soprattutto in virtù della vittoria conquistata precedentemente a S. Siro con il risultato favorevole di 4 – 2.

Comunque Corso fu sempre un protagonista indiscusso in campo, poiché con le sue straordinarie doti tecniche fu in grado di sovvertire il risultato di una partita o comunque indirizzare l'incontro verso il binario della vittoria tramite uno dei suoi numeri di repertorio difficilmente eguagliabili. Infatti ancor oggi ad esempio, ricordo con molta ammirazione, il goal da lui stesso realizzato nella finale mondiale contro l'Independiente durante il terzo incontro disputato contro i sudamericani. Mariolino Corso segnò quella stupenda rete nel primo tempo supplementare, decidendo le sorti dell'incontro e conquistando il titolo Intercontinentale per Club nel 1964. Con Herrera il funambolico giocatore ebbe sempre da discutere e spesso anche animatamente, d'altronde Corso era Corso e non si potè mai discutere il suo apporto in campo, infatti in qualsiasi momento della partita “Mandrake” fu sempre in grado di decidere il risultato a favore della propria squadra, tramite un prezioso assist ai compagni oppure inventando personalmente il goal risolutivo. Dopo aver vinto scudetti, Coppe dei Campioni e Coppe Intercontinentali, Corso giocò la sua ultima partita con l'Inter nel mese di Giugno del 1973 quando affrontò la Juventus in un incontro di Coppa Italia finito con il risultato di parità 1 – 1. Nel frattempo la presidenza dell'Inter passò a Ivanoe Fraizzoli il quale richiamò Helenio Herrera per allenare la squadra nerazzurra. Corso quindi fu trasferito al Genoa per disputare con ottimo rendimento le sue due ultime stagioni, ma complice un infortunio grave subito per la rottura della tibia, in occasione del suo ultimo goal realizzato con la maglia rossoblu del grifone, Corso fu costretto al ritiro dedicandosi alla carriera di allenatore, seguendo l'esempio di altri suoi colleghi calciatori. Dopo aver fatto esperienza come tecnico della formazione della Primavera del Napoli vincendo il campionato, Corso allenò il Lecce in serie B salvando la squadra dalla retrocessione. Successivamente, con l'avvento alla presidenza dell'Inter di Ernesto Pellegrini, “Mandrake” tornò a Milano e gli fu affidato il compito di allenare il settore giovanile. Egli lo fece con la sua consueta passione e con tanto impegno, riscuotendo un ottimo successo nell'insegnare calcio ai giovani. Successivamente, dopo l'esonero di Ilario Castagner, il presidente Ernesto Pellegrini convinse Corso ad allenare la prima squadra e così con entusiasmo, nel Novembre del 1985 accettò, disputando un campionato eccellente in cui la formazione da lui allenata esordì contro la Juventus ottenendo un pareggio per 1 – 1 e poi nel mese di aprile successivo battendo i cugini rossoneri per 1 – 0. L'Inter in quella stagione si classificò onorevolmente al sesto posto e Corso lasciò un'impronta importante per il futuro della squadra, tracciando le basi per un ciclo positivo che si concretizzò con l'arrivo di Trapattoni nell'anno successivo.

Il Palmares di Corso in maglia nerazzurra collezionando 509 presenze con 92 goal in 16 stagioni vanta: 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali.
Corso ha gestito con molta professionalità la “Scuola calcio Inter Campus Mario Corso” dedicandosi alla crescita di tanti giovani i quali hanno imparato la tecnica raffinata del fuoriclasse nerazzurro, ragazzi desiderosi di diventare campioni seguendo il suo esempio sia in campo e sia nella vita di tutti i giorni. Il prossimo 25 agosto, Corso compirà 79 anni ma saranno in tanti a festeggiarlo ancora come quel ragazzo dal comportamento spesso introverso in campo, ma pur sempre sognatore e artista del pallone. Per tutti gli appassionati di calcio, egli è stato e ancora oggi rimarrà per sempre “il piede sinistro di Dio”Auguri Mandrake!

Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo”. (Luis Sepúlveda)

nostalgico rossonero

Omaggio dedicato a un amico nerazzurro di ineguagliabile sportività: Calatino-a-Interland