Siamo a ridosso degli anni ’30. Il calcio esiste già da diversi decenni e comincia a guadagnare sempre più attenzione. Siamo ancora lontani dall’universo professionistico moderno, il mondo si trova in una morsa a cavallo tra due guerre mondiali. I tifosi che vanno allo stadio sono signorotti in giacca e cravatta, mentre i giocatori escono quasi sempre dalle classi più agiate. Di moduli, tattiche, strategie non si parla ancora moltissimo, o almeno non con la lena tipica del calcio moderno. Gli schemi ci sono, per carità, ma sono rigidi e per ora vanno bene così. L’unico problema, che ha messo in difficoltà numerosi club, è questa strana nuova regola, sancita nel 1925, che ha modificato il fuorigioco. Ora bastano due giocatori per mettere in offside l’attaccante, non più tre. E questo ha messo in seria difficoltà la nota piramide, quel modulo coriaceo utilizzato universalmente che vede due difensori puri, tre mediani e ben cinque giocatori di movimento in attacco. All’orizzonte, non sono in pochi a vedere con preoccupazione la trasformazione del calcio in un “intrattenimento caotico”, fatto di molti gol e poca tecnica. Giunge così dall’Inghilterra una voce. Un certo Chapman, allenatore dell’Arsenal londinese, pare aver aver trovato una quadra con un modulo innovativo e meno coriaceo del precedente. 

Giornalisti e amanti del calcio, fino ad oggi abituati al tipico kick and run, un gioco fatto di costanti lanci lunghi e giocatori tramutati in centometristi, non sanno se rimanere allibiti o strabiliati. Il gioco di Mr. Chapman è fraseggiante, ma divertente. I suoi giocatori costruiscono azioni fatte di passaggi persistenti e allargamenti sulla fascia. La mediana è suddivisa tra frangiflutti e rifinitori, questi ultimi in grado di servire le ali e l’attaccante centrale in vario modo. I ruoli non sono rigidissimi e ciò permette agli interpreti di svariare come meglio gli riesce, sorprendendo così le difese ancora troppo abituate al calcio stazionare del recente passato. Ora il centrocampo, un tempo poco utilizzato, è la vera zona nevralgica del calcio moderno nascente. I giornalisti sportivi hanno persino trovato un nome a questa nuova filosofia tattica. Carpet Football, ora il campo è un tappeto su cui si fa correre soprattutto la palla. Un stile che è destinato nel breve tempo a trasferirsi a macchia d’olio sull’intero continente, divenendo vincente e famoso in Italia grazie a Vittorio Pozzo. Sara infatti con il modulo WM, come fu ribattezzato data la posizione assunta dai giocatori in campo, che porterà la nazionale azzurra a ben due titoli mondiali e un oro olimpico. 

Quella appena raccontata potrà sembrare una storia vecchia, quasi dimenticata a dire il vero. Eppure ecco vederla ripetersi a distanza di quasi un secolo, allo stadio di San Siro domenica 20 ottobre 2019.
A scendere in campo il Milan del tecnico fresco d’incarico Pioli, dall’altra parte il Lecce neo promosso di Liverani. Sono passati molti decenni da quando Mr. Chapman cambiò, a suo modo, il modo d’intendere il calcio. I padri, e persino i nonni, dei giorni nostri non se ne ricordano più. Per i più giovani, abituati agli sproloqui numerici di oggi, 4-3-3, 4-3-1-2, parlare di modulo WM, divenuto poi famoso come “il Sistema”, non ha alcun senso. Il calcio è divenuto oramai una scienza, con dei canoni precisi, delle teorie, delle logiche imprescindibili. Tornare a vecchi stilemi talmente antichi, sarebbe un po’ come riconsiderare il geocentrismo in astrofisica, almeno per i pensatori più critici. A pensarla diversamente però pare essere stato un certo signore, proveniente dalla quieta Parma, con un curriculum importante, ma meno luminoso di molti altri. A vedere la formazione fatta scendere in campo contro il Lecce, sono in molti a credere che Pioli abbia voluto schierare il 4-3-3 classico, con cui il Milan convive da diversi anni. Quanto però viene mostrato nei primi quarantacinque minuti della partita, cancella con un colpo di spugna ogni previsione fatta alla vigilia. 

Il Milan viene da un periodo disastroso, e non solamente per i risultati. La durezza e i nervi solidi dell’epoca Gattuso paiono essere un mero ricordo, un’illusione quasi. Il gioco dettato da Giampaolo non è stato capito, forse non è nemmeno mai esistito, almeno in quel di Milanello. Con il bilancio in sprofondo rosso, arrivare in Champions sembra quasi un obbligo, ma con la squadra messa in simili condizioni, tale obiettivo assume i contorni del miraggio. Il Milan è infatti una squadra che fa acqua in difesa, che in attacco non tira, che a centrocampo è fermo, immobile. Sembra proprio non funzionare nulla in questa squadra e in pochi credono che Pioli, mister dalla carriera rispettabile, ma non eccelsa, possa cambiare rotta. Eppure, ecco che, pronti via, i primi minuti di Milan-Lecce sembrano raccontare una storia ben diversa. Il Milan corre, corre parecchio. In meno di dieci minuti Leao, ennesima promessa capitata a Milanello, inforca la difesa avversaria ben tre volte, non riuscendo però a trovare la via del gol. Calhanoglu, tanto criticato per almeno un anno, spazia in tutte le zone d’attacco, recupera palloni, offre un gioco spumeggiante mai visto tra i suoi piedi. Paquetà ricalca le buone prestazioni della stagione scorsa e la difesa sembra essere tornata, almeno per una frazione di gioco, solida. La domanda che si forma dunque nelle menti di chi sta assistendo alla partita, giornalisti in primis, è la seguente: cosa è successo? 

Più passano i minuti, più qualcuno comincia a notare delle particolarità nel gioco semplice, ma efficace del Milan. Non sta giocando con il classico 4-3-3, anche se ne ha tutta l’apparenza. La fase offensiva parte da una difesa schierata a 3 giocatori. I mediani, invece che essere il classico trio, sono spalleggiati da una freccia che porta il nome di Theo Hernandez. Le ali, in particolare quella destra, spaziano per tutta l’area, togliendo i punti di riferimento.
Non sembrano esserci schemi prestabiliti e rigidi. I giocatori stanno dando il meglio che possono, utilizzando le loro capacità e giocando nella maniera che più piace loro. Nella fase difensiva, come quella offensiva, si nota infine una sorta di rotazione, un movimento di copertura e proposizione tipico di un modulo vecchissimo, talmente vetusto da non venire quasi più insegnato. È ovviamente il modulo WM, come chi legge avrà già compreso, sistema che Pioli pare aver scelto come prima panacea dei mali rossoneri. Una scelta rischiosa, improbabile quanto meno, ma ciò nonostante funzionale. È vero, il risultato finale della partita è uno scarno pareggio, un 2 a 2 recuperato in extremis dalla squadra ospite. Quanto però fatto vedere dalla compagine allenata da Pioli, dà speranze ai tifosi milanisti. Finalmente uno scampolo di gioco; ecco di nuovo la voglia di giocare, di lottare, da parte dei loro beniamini. Un buon inizio, quello di Mr. Pioli, ma questo non deve ingannare, né lui né i giocatori. I problemi del Milan c’erano e ci sono tutt’ora. In particolare, se veramente la strada scelta da Pioli è quella del passato, quella del modulo WM, vi sono delle criticità che devono trovare una rapida soluzione. Problemi legati proprio alla filosofia dettata questo sistema, anzi “il Sistema”. 

Il modulo WM, con termini più conosciuti oggi, si potrebbe tradurre come 3-2-2-3. Una visione simile però non ne rispecchierebbe degnamente il funzionamento. La filosofia che ne è intrinseca infatti, è quella di un movimento costante, votata alla verticalizzazione e all’ampiezza. Dato che la difesa è pressoché a 3 giocatori, gli scivolamenti devono essere rapidi e ordinati; i mediani arretrati devono essere scultorei e far girare rapidamente il pallone; in avanti, è necessario capirsi velocemente, al fine di non lasciare il tempo alla difesa di assestarsi. Un gioco semplice insomma, intuitivo, ma rapido e ben oliato. Ed è proprio su questa riflessione, che emergono le vere criticità del Milan. Problemi purtroppo visti proprio contro il Lecce. In quella partita il Milan ha infatti subito due gol episodici, ma nascenti appunto da dei meccanismi tipici del WM che non hanno funzionato.
Partiamo dal primo, il calcio di rigore nato da un tocco di braccio del giovane Conti. Per quanto il suo sbracciare sia più che criticabile, il problema vero nasce da uno scorrimento ritardato della difesa a 3. La zona a sinistra è completamente sguarnita e Conti cerca come può di correre ai ripari. Non si tratta semplicemente di un errore individuale, ma di un meccanismo che non ha funzionato. Romagnoli e Musacchio infatti sono troppo spostati sulla destra e così Conti si trova innaturalmente centralizzato. Per quel che riguarda il gol subito nel recupero, un tiro della domenica sparato da oltre i trenta metri, al di là della fortuna, la situazione origina da un pallone perso di Suso, il quale non è l’unico della sua partita. Con il suo tenere spesso il pallone tra i piedi, rallentare l’azione e arretrare i passaggi, Suso (così come Biglia) permette alla squadra avversaria di avanzare e di aumentare la pressione.
Con il WM, che detta marcature larghe, questa cosa non è possibile. Si giunge così a un’importante riflessione, quella che riguarda gli interpreti. Se veramente Pioli vorrà puntare sul Sistema, la scelta dei giocatori giusti sarà fondamentale. E, in questo frangente, Suso e Biglia non sembrano adatti alla causa. Per quanto dotati tecnicamente, amano il gioco lento e di continua ricostruzione. Tra i loro passaggi, una buona percentuale è diretto verso la propria porta. Su altri dovrebbe dunque scendere l’investitura del tecnico. Giocatori più portati al giro di palla e alla verticalizzazione. Vero, non ci sono molti sostituiti per i ruoli di Suso e Biglia, ma in questo il WM viene in aiuto. Più che di ruoli infatti, nel Sistema si parla di compiti. I compiti, a differenza delle posizioni, possono meglio legarsi con le caratteristiche dei giocatori. Bennacer, ad esempio, in questo caso farebbe comodo al posto di Biglia, in quanto è uno che si sa sacrificare, ma ha nelle corde la velocità del gioco. Leao invece, che a sinistra parrebbe fuori posto, con le sue caratteristiche naturali potrebbe comunque sostituire Suso al meglio. 

Queste sono dunque le sfide di Pioli, il quale ha deciso di affidarsi più alla psiche e alla voglia di divertirsi dei suoi, più che a tatticismi rigidi e comprovati. Al di là del risultato, la missione è parzialmente compiuta. I giocatori sembrano ben digerire questo nuovo stilema tattico, ma le loro gambe faranno molta fatica ad adattarsi. La forma fisica del Milan non è al meglio, come se la fase preparatoria estiva non ci fosse nemmeno stata. Recuperare in corso d’opera non è semplice, forse è addirittura impossibile. Bisognerà dunque lavorare sul giusto dispendio di energie nel corso della partita. Trovare dei momenti di respiro, senza però rischiare di essere chiusi nella propria area di rigore. Ciò nonostante, se i primi 45 minuti dell’era Pioli non sono stati una mera illusione e se si avrà pazienza, la strada imboccata potrebbe essere quella giusta. E se questo allenatore riuscirà nel suo primo intento, ovvero entrare nelle menti e nei cuori dei suoi giocatori, allora forse questa battaglia non la combatterà da solo.