Dionysìus, Syracusanorum tyrannus, ipse iudicavit quam esset beatus. Nam, cum quidam ex eius adsentatoribus, Damòcles, commemoraret in sermone copias eius, opes, maiestatem dominationis, rerum abundantiam, magnificen-tiam aedium regiarum, negaretque umquam beatiorem quemquam filisse: “Cupisne igitur – inquit – o Damòcles, quoniam te haec vita delectat, ipse eam degustare et fortunam experiri meam?”

Così inizia uno dei discorsi di Cicerone, mio incubo al tempo del liceo, quando il suo nome aleggiava funesto nell’ora di Latino. Un testo trito e complesso, come tutti i discorsi di Cicerone s’intenda, ma ricolmo di un grande insegnamento.
Il potere non sono solo onori e ricchezze, ma soprattutto oneri e continui grattacapi. Questo è, in soldoni, quello che si potrebbe interpretare dalle brevi parole dal giurista e oratore romano. Una versione che oggi, dopo l’ennesima disfatta del Milan per mano di una Roma debole e affaticata, consiglio caldamente di leggere a tutta la dirigenza rossonera, primo fra tutti l’ex capitano Maldini. Perché “La Spada di Damocle”, questo il titolo della versione oggetto della nostra attenzione, ha già cominciato a pendere sulla sua testa, forse più di qualsiasi altra all’interno di Casa Milan. 

La storia che vi si narra comincia con Dionisio, tiranno siracusano realmente esistito, venire additato per le immense ricchezze e fortune di cui è circondato. Ad accusarlo è Damocle, un suo suddito giunto fino ad occupare un posto nella sua corte ristretta. E in effetti, da un punto di vista meramente oggettivo, Damocle ha ragione: Dioniso è un tiranno ricco, con molti servitori e beatitudini ad allietarlo. Non solo, egli è colui che storicamente ha deposto la democrazia dal sistema politico della città, cosicché nelle sua mani si potesse riversare tutto il potere. Parole dure, aspre, ma infarcite di una logica popolare semplice da comprendere.

Parole che suonano molto simili a quelle espresse, qualche anno fa, dall’attuale dirigente rossonero nei confronti del suo ex amministratore delegato, Adriano Galliani. Per chi non riuscisse a ricordarsene, correva l’anno 2014, era il 18 marzo. Sulla Gazzetta dello Sport, la prima pagina riportava l’intervista esclusiva rilasciata all’ex capitano del Milan, il quale non le aveva mandate a dire al vecchio AD rossonero. “Intelligente, ma tronfio”, “vincente, ma tirannico”, “grande persona, ma dirigente arraffa potere”.
Volendo riassumere per sommi capi, più o meno furono queste le accuse mosse da Maldini a Galliani. E quello era un periodo in cui era difficile dargli torto. Il Milan viveva la famigerata diarchia Galliani-Barbara Berlusconi, la classifica piangeva, flirt da giornalino scandalistico tenevano occupati i giornalisti più del gioco della squadra.
La confusione regnava dunque sovrana, nel momento in cui la fine del grande Milan era solo ai suoi inizi. Non vi era anima che non osasse additare la dirigenza del tempo, accusandola di essersi sopita sopra gli allori del passato, mentre fuori la decadenza imperversava indisturbata. E a fare la parte del giovane Damocle, colui che sopra le voci di tutti fece risuonare la propria, ecco apparire il vecchio capitano. Fiero, impettito, desideroso di farsi sentire, di tornare a difendere il suo Milan, anche se non più sul campo. Ecco il salvatore, si pareva udire dietro la sua schiena, colui che avrebbe liberato il popolo rossonero dalla tirannia dell’oligarca Adriano. Quand’ecco, l’impensabile. 

Seguendo le parole di Cicerone, Dionisio non rimane offeso dall’imbeccata del suo suddito Damocle, tutt’altro. Con sagace sorriso, il tiranno di Siracusa si alza dal suo scranno e, allungando il braccio verso di esso, lo offre a Damocle. “Vuoi forse prende il mio posto?” gli chiede serafico. Damocle, senza nemmeno pensarci, accetta. E subito egli viene ricoperto delle pelli più pregiate, gravato da rubini e lapislazzuli grandi quanto la sua testa, attorniato da servitori in grado di soddisfare ogni sua richiesta. Damocle si sente finalmente beato e fortunato quanto il suo signore. Damocle ha finalmente compreso quanto può essere ricco, colui che detiene il potere.

Si sarà sentito nello stesso modo capitan Maldini, quando la dirigenza Elliot gli ha offerto il posto al fianco del suo ex collega Leonardo? Finalmente onorato del potere che, quasi per diritto di nascita, gli spettava. Finalmente occupante il posto che tanto agognava e che per così tanto tempo gli era stato negato. Adriano non c’è più, ora guida una squadra di Serie C, addirittura. Il suo posto è occupato da un sudafricano, ma chissà se, prima o poi, le cose non possano cambiare. Paolo Maldini può dunque cominciare la sua rincorsa, sfoggiare le sue innate capacità dirigenziali, risollevare la barca prima che questa affondi miserabilmente. Quand’ecco che il suo sguardo cade su coloro che lo attorniano. Nessuno pare sorridere, i più addirittura sembrano sussurrarsi qualcosa all’orecchio, come sudici cospiratori pronti a tradirlo. La barca, contro ogni aspettativa, non si sta risollevando dalle acque, ma anzi sta addirittura affondando sempre più velocemente. La decadenza che lui aveva additato in altrui mani, ora si trova nelle sue e può finalmente percepire quanto sia pesante l’onere da portare. Pelli, rubini e lapislazzuli saranno anche belli, ma diamine se pesano. Ed ecco che, esattamente come l’inconsapevole Damocle, il dirigente Maldini comincia a sentire qualche scricchiolio nella sue idee di partenza. Lui, che era un tempo osannato e applaudito, non è abituato a critiche e risolini. I suoi occhi stanchi si rivolgono allora verso l’alto, ed ecco vedere il reale prezzo del potere oscillare sopra di lui. 

Nella storia di Cicerone, Damocle vede una pesante spada pendere dal soffitto e sorretta da un sottile crine di cavallo, pronto a spezzarsi. La punta della lama è direzionata proprio verso la sua nuca e, a breve, essa penetrerà nelle sue inermi cervella. Damocle allora ridà un breve occhiata alle ricchezze ottenute, ai servitori volenterosi, ai banchetti imbanditi. Nulla ha più lo stesso valore di prima, anzi non ne ha proprio più. Con gli occhi languidi, si rivolge a Dionisio e gli rivela che non vuole più sentirsi “così fortunato”. Ed è così che il vecchio e saggio tiranno torna al suo posto, felice di aver dimostrato come il potere, seppur bello in apparenza, è un pericoloso fardello da portare.

Una consapevolezza che di sicuro ora Maldini ha ben presente nella sua testa. Egli ha avuto l’onore di prendere decisioni, di portare il suo pensiero e di farlo valere, all’interno del Milan. Un modo di vedere tanto tenuto in considerazione, che nemmeno i risultati impensabili raggiunti da Gattuso sono stati in grado di scalfire. “O lui o me”, così pare aver detto al termine della stagione scorsa, quando il tecnico calabrese sfiorava la Champions di un solo punto.
E la società ha scelto: Maldini resta, Gattuso se ne va.
Complimenti, signor Maldini, ha vinto lei. Ma a quale prezzo?
Di sicuro quello compreso dal suo collega Leonardo, il quale non ci ha pensato due volte a fare le valige, in direzione di Parigi. Se ne è andato perché attirato da onori e ricchezze ben più recondite? No, signor Maldini. Leonardo se ne è andato per tempo perché, essendo leggermente più esperto, ha guardato sopra la sua testa una volta vinta la battaglia con il fellone di Corigliano Calabro. E l’ha vista, signor Maldini. Egli ha visto bene quale spada pendeva sulla sua, anzi sulle vostre teste. Ai tempi di Adriano “il tiranno”, probabilmente le vostre idee non sarebbero nemmeno state ascoltate. Nell’epoca Gazidis invece, le cose sono molto differenti. “Ci guidi, Mr. Maldini. Ci faccia vedere di cosa è capace”. Costui, questo sudafricano pelato e sorridente, accetta di buon grado consigli e visioni tecniche provenienti dai suoi collaboratori.
Ma tale libertà ha sempre un prezzo. Un prezzo molto alto e molto pesante. Basterebbe che lei alzasse gli occhi sopra la sua testa, per poterlo apprezzare. Esso oscilla minaccioso anche se, a differenza di quello del povero Damocle, sorretto un tempo da ben tre sottili crini di cavallo e non soltanto uno. Il primo si è spezzato a giugno, troppo scosso dalla porta sbattuta di Gattuso. Il secondo si è rotto a inizio ottobre, perché debole come le idee di Giampaolo. Il terzo è invece ancora integro, ma fine quanto i capelli di Pioli e Dio solo sa quanto sarà in grado di resistere.

La domanda vera è però un’altra. Se nel momento in cui si accorgerà di aver preteso un po’ troppo da se stesso, di essersi sobbarcato una responsabilità troppo pesante, di non aver voluto apprendere prima di comandare, ci sarà qualcuno a cui passare lo scettro? Come Damocle, potrà restituire lo scranno, prima che sia troppo tardi?

 


P.S.: chi scrive chiede venia a Cicerone per aver esecrato un suo scritto…