Nel luglio del 2018 la gestione rossonera da parte di Yonghong Li è finita nella maniera più impensabile. Dopo appena un anno e mezzo dal closing avvenuto con la Fininvest di Silvio Berlusconi, un imprenditore che ancora oggi non si sa bene chi sia se ne andava nel silenzio e con un investimento fallito di quasi 600 milioni.
Ironicamente, quello di Yonghong Li lo potremmo vedere come l’impero cinese più breve della storia. A distanza di 107 dall’ultimo e reale, Li aveva fallito la sua scalata nel business occidentale, come invece aveva fatto con successo il suo compatriota ben più noto Zhang. Un fallimento paradossale quello del cinese dall’identità e dal portafoglio a dir poco fumosi.
A dirla tutta, se questa storia fosse stata presentata sotto forma di romanzo, molto probabilmente avrebbe venduto ben poche copie. Troppo paradossale per essere credibile, priva di un senso logico realistico. E invece, come purtroppo sappiamo tutti, la vicenda che ha visto Yonghong Li legarsi al Milan, anche se per breve tempo, è vera così com’è vero il dissesto finanziario che questo ometto ha lasciato alle sue spalle. Ed è qui che i sorrisi ironici si sciolgono in un’espressione inorridita, perché con il suo fare insensato, Li ha fatto molto più che creare un disastro economico. Egli ha deturpato il blasone del Milan, un marchio vincente e conosciuto in tutto il mondo, e nonostante lui se ne sia andato, lasciando la società in mano al suo principale creditore, il processo di decomposizione è ancora in corso. La gestione Li non è stata solo dunque un’eredità difficile da gestire per il fondo Elliott e la dirigenza del Milan. Il peccato del padre è ricaduto infine sul figlio. Per intenderci, ciò che la sua velenifera gestione ha creato, ha riversato colpe e pene sui chi lo a scalzato. Così, per evitare che tale peccato possa segnare il futuro in maniera irreparabile, è fondamentale che esso venga mondato, che la pena sia espiata. Un obiettivo talmente importante che, forse, è proprio per questo che l’attuale dirigenza pare aver dichiarato guerra a quel breve e disastroso impero che Yonghong Li aveva tentato di fondare

Da quanto è accaduto nelle ultime settimane, si potrebbe dire come, se da una parte la società sta cercando di ripulire il bilancio dalle svariate epic fails targate Li, ciò sta avvenendo anche dal punto di vista tecnico, ovvero sul campo. Nell’ultima partita giocata contro la Juventus, l’assenza che più ha fatto rumore è stata quella di Kessié. Già non schierato contro la Lazio, il giocatore ex Atalanta è stato addirittura escluso dalla lista dei convocati, per la partita contro la capolista. Le motivazioni sono legate tutte ad aspetti caratteriali del giocatore, il quale sembra essere sempre più ai margini della squadra. Quella di Kessié però è solo l’ultima di alcune esclusioni che potremmo chiamare “clamorose”. Personaggi infatti come Rodriguez, l’anno scorso insostituibile con Gattuso; Musacchio, che una volta ripresosi dall’infortunio probabilmente si vedrà scalzato da Duarte o Caldara; Borini, sino a qualche mese fa riserva jolly designata per ogni evenienza; Biglia, incredibilmente scalzato da Bennacer, nonostante Pioli lo conosca e lo apprezzi. Tutti giocatori che, per un motivo o per l’altro, sono finiti fuori dalla formazione titolare e relegati in un angolo talmente estremo che difficilmente, infortuni e squalifiche a parte, riusciranno a rientrarvi. Tutti giocatori inoltre che, guarda caso, furono acquistati dalla primissima gestione Li-Fassone-Mirabelli.
Ovviamente non si può escludere che la loro esclusione si debba esclusivamente a motivazioni tecniche. In molti infatti potrebbero dire come Theo Hernandez e Bennacer abbiano offerto delle prestazioni ben migliori, rispetto ai loro corrispettivi ovvero Rodriguez e Biglia. Meno però si spiega l’esclusione, forse definitiva, di Musacchio e Kessié. Il primo infatti è stato il titolare della seconda miglior difesa del campionato, mentre il secondo è di certo un giocatore di prospettiva con ottime capacità, anche se dotato di un caratterino difficile da gestire. Insomma, non tutte queste esclusioni paiono ritrovare serie e confermate motivazioni dal punto di vista tattico. E allora perché questo improvviso allontanamento? Ebbene tale evento si potrebbe spiegare sotto due differenti punti di vista. 

Il primo riguarda ovviamente l’aspetto economico, ovvero l’alleggerimento di un bilancio gravato da costi di rosa esorbitanti. Essendo giunti appena due anni fa, questi giocatori pesano non solo con i loro stipendi, molti dei quali potremmo dire sono fuori scala se confrontati con le prestazioni. Il cartellino di questi non è ancora stato ammortato completamente. L’ammortamento, per chi non lo sapesse, è una parte del costo del cartellino, il quale viene spalmato su più annualità tante quanti sono gli anni di contratto stipulati. Riuscire a cederli, e magari già da gennaio, vorrebbe dire arrivare a giugno, momento in cui il bilancio di esercizio si chiude, con un risparmio importante dal punto di vista dei costi della rosa. Dati alla mano, il risparmio sarebbe di circa 45 milioni di euro. Se poi, attraverso la loro vendita, si riuscisse a raggranellare qualche plusvalenza, il tesoretto in mano alla dirigenza si farebbe ancora più corposo. Ma cosa farne poi di tale manna dal cielo? Chiaro obiettivo della dirigenza, per quanto possa ora apparire irraggiungibile, è la qualificazione alla prossima Champions League.
Perché dunque non investire in alcuni giocatori di chiara esperienza ed efficienza? Da qualche settimana, si registra come il fondo Elliott abbia aperto a simili investimenti, abbandonando così per qualche mese la filosofia del young is better. Ed ecco piovere nomi altisonanti, sino a qualche mese fa impronunciabili. Ibrahimovic, Rakitic, Mertens, persino un certo Modric. Tutti questi giocatori, la cui età non è proprio verde, farebbero molto comodo al Milan da un punto di vista tecnico. Certo, avendo un curriculum di tutto rispetto, sono atleti che si fanno pagare per le loro prestazioni. Un problema dunque, dato lo stato economico in cui naviga il Milan, giusto? In realtà, non esattamente. 

Rakitic escluso, i giocatori appena citati sono in scadenza di contratto. Ciò significa che potrebbero arrivare a zero o per cifre di cartellino irrisorie. Ergo, il Milan non sarebbe gravato dai costi di ammortamento citati in precedenza. Unico costo a pesare sulle casse sarebbe invece quello degli stipendi. Per fare un esempio, ad oggi Ibrahimovic prende uno stipendio di 7 milioni di euro lordi, ovvero calcolando anche oneri contributivi e tasse. Anche se pretendesse uno stipendio intorno ai 10 milioni lordi, grazie al disfacimento dell’eredità cinese, il Milan avrebbe ancora ampi margini di movimento. Si potrebbe infatti permettere un altro giocatore di indubbia esperienza per esempio a centrocampo. Difficile che costui sia Modric, e si potrebbe dire la stessa cosa del suo compatriota Rakitic, ma sognare non costa nulla. Ciò che conta è che, se la frammentazione dell’impero cinese targato Li fosse realmente fattibile, a gennaio il Milan potrebbe permettersi di spendere, andando al contempo a migliorare il suo bilancio. Il classico tentativo di prendere due piccioni con una fava. Il difficile rimane ovviamente riuscire a cedere tutti questi giocatori, o parte di essi, a prezzi convenienti. A gennaio infatti è difficile che le squadre si svenino, ma almeno riuscire a effettuare cessioni al netto di plus o minusvalenze sarebbe già un ottimo risultato. Un’impresa ardua, in particolare per una dirigenza ancora in erba e inesperta, ma fattibile da un certo punto di vista. D’altro canto, un simile banco di prova sarebbe in grado di sancire come l’accoppiata Boban-Maldini possa avere possibilità di tramutarsi in una dirigenza assennata, in grado di gestire un blasone importante. Un simile risultato infatti, eliminerebbe le scorie della vecchia gestione, riassesterebbe in parte il bilancio e darebbe nuova linfa alla squadra. 

Se questo è dunque realmente il piano della gestione Elliott, se veramente il Milan vuol vestire i panni di un’araba fenice, in grado di risorgere dalle proprie, o altrui, ceneri, allora questa pare essere l’unica strada da seguire. Attaccare alle fondamenta le rovine ancora integre di quello che fu l’impero cinese più breve della storia. Una guerra, sebbene fredda e priva di armi. Ma se guerra deve essere, che guerra sia.