Il calcio moderno è caratterizzato da un gioco veloce e giocatori abili nello smarcamento e negli inserimenti, ma quest’evoluzione ha portato quasi alla scomparsa di un ruolo, ovvero quello del mediano, che adesso sta per essere inglobato, ma un tempo era il fulcro del gioco, colui che gestiva le azioni e disegnava linee con la capacità di un architetto. Tra i tanti mediani nella storia, ce ne è uno che ha segnato la storia della Serie A e della nazionale spagnola, ovvero Luis Suarez. Questo nome sarà sconosciuto per tanti appassionati, ma rappresenta un simbolo della storia dell’Inter, squadra con la quale scese in campo ben 257 volte, siglando la bellezza di 42 gol.

Luis Suarez Miramontes nacque a Coruna, il 2 maggio 1935, da una famiglia povera, pertanto suo padre era un macellaio e doveva sfamare Luis ed i suoi due fratelli, cioè Augustin e Josè. Luis visse la sua infanzia e successivamente, l’adolescenza nella sua città natale, entrando per la prima volta a contatto con il mondo del calcio, quando l’osservatore Alessandro Scopelli, lo vide e notò in lui la stoffa del predestinato, facendolo immediatamente notare alla squadra della sua città, ovvero il Deportivo la Coruna, che lo diede al Fabril, una squadra limitrofa, fino all’età di 18 anni, precisamente nel 1953. Lo stesso anno, appena maggiorenne debuttò con la prima squadra contro il Barcelona, che non era affatto una squadra qualsiasi. Quella partita finì, clamorosamente, con lo schiacciante risultato di 4-0 ed il tabellino portava anche il suo nome. Sin dall’inizio si capì che era un fenomeno e bastarono, soli due anni, a convincere il Barcelona, che lo prelevò per l’appunto dal Deportivo, nel 1954. Qui, prenderà il nome di Luisito, un diminutivo per la sua minuta stazza fisica, che lo rendeva ancora più agile ed abile ad impostare il gioco. Con la squadra blaugrana segnerà la storia, arricchendo il suo palmares, disegnando calcio. Nel suo trascorso, in Catalogna, vincerà trofei su trofei, come due campionati, due coppe del Rey. Oltre alle coppe, grazie alla sua intelligenza calcistica ed il cervello, che rappresentava per il Barcelona, si aggiudicò il più ambito dei trofei, nel 1960, ovvero il Pallone d’Oro, un trofeo, che adesso raramente viene assegnato a dei centrocampisti, tanto più se sono mediani (sebbene questo trend sia stato fermato dal croato Luka Modric, nel 2019). Nel periodo, con il Barcelona, avrà la possibilità di debuttare il 30 gennaio 1957, nella nazionale spagnola, durante un’amichevole contro i Paesi Bassi. L’unica macchia nell’esperienza con il Barcelona fu la sconfitta nella finale di Champions League contro il Benfica. Sebbene ciò, l’estate dello stesso anno, l’Inter di Moratti, se lo aggiudicò per una cifra, che ad oggi pare irrisoria, ovvero circa 300 milioni di lire. L’anno successivo si posizionò nella mediana interista costruendo gioco, come un’architetto e diventando un punto fermo per l’allenatore Herrera, che lo definì con parole al miele: “Tra tante pedine importanti, Suarez era quella importantissima”.
A Milano, rimarrà per nove anni, periodo nel quale aumenta il suo bottino di trofei, conquistando 3 scudetti, 2 Champions League e 2 coppe Intercontinentali e diventando uno dei simboli della società nerazzurra. Oltre ai trofei elencati, scese in campo più volte sia in occasione dei Mondiali del 1962 e 1966 ed anche dell’Europeo, del 1964, che per l’appunto venne vinto dalla nazionale spagnola, dopo la vittoria in finale ai danni dell’Unione Sovietica. Era l’estate del 1970, quando la società comunicò a Luisito, che non avrebbe più fatto parte della squadra interista, complice il cambio societario, quando Friazzoli subentrò a Moratti e scelse di sfoltire la rosa, vendendo i giocatori più anziani e tra questi vi era Luis Suarez, che aveva ben 37 anni e venne acquistato dalla Sampdoria. A Genova, nella sponda blucerchiata, rimarrà per tre stagioni, che saranno le ultime da giocatore nella sua radiosa carriera e serviranno al calciatore per segnare ancora la storia del calcio venendo richiamato a 37 anni, in nazionale durante la gara tra Grecia e Spagna, del 12 aprile 1972.

Una volta appese le scarpette al chiodo, non abbandonò di certo il calcio, iniziando una carriera d’allenatore, che si prospettava prosperosa come quella da giocatore. La prima esperienza d’allenatore fu nelle giovanili del Genoa, per poi essere chiamato nella sua amata Inter, nel 1974. Con la squadra nerazzurra, non fu capace di ripetersi come da calciatore, dato che solo un anno dopo venne esonerato, a causa di un pessimo campionato, complice anche la squadra ricca di giovani e povera di esperienza. In seguito, rimase alla guida di squadre italiane come il Cagliari, la Spal ed il Como. Terminata quest’ultima esperienza decise di guidare per un anno la squadra nella quale era cresciuto, ovvero il Deportivo la Coruna, non ottenendo però i risultati sperati. Alla fine, venne chiamato alla guida della nazionale spagnola, con la quale disputò nell’anonimato il Mondiale 1990, tenutosi in Italia. L’anno successivo guidò la Spagna Under 21, conquistando il suo primo trofeo da allenatore, ovvero l’Europeo nel 1986. In seguito, finirà la sua carriera guidando per dei brevi periodi di nuovo l’Inter e l’Albacete.

Questa è la storia di uno dei mediani, che hanno segnato il calcio ed è considerato da molti l’architetto che lo disegnò. Ciò ci fa capire il genio di quest’uomo, che è stato capace di rivoluzionare un intero sport per merito della sua grande precisione nei passaggi e la stupenda abilità nel lanciare gli attaccanti in profondità.

Infine, colgo l’occasione per fargli gli auguri, dato che ieri era il suo compleanno.