L’erba del vicino…
Campionati del mondo 2022, mai detto fu così appropriato all’attuale condizione, forzatamente voyeuristica, del nostro Paese: l’erba del vicino è sempre più verde. Ma quale vicino! Ma quale più verde! L’erba del lontano Qatar è l’unico rettangolo verde che ci rimane a rimirar, fatta eccezione per qualche match di provincia su campi opachi di cadetteria.

Per il resto, non ci resta che piangere e guardare il mondiale degli altri. D’altronde, cos’altro potremmo fare?
La domenica mattina si va a messa, a prescindere dal prete e a prescindere dalla chiesa (specie in vacanza, capita). Il mondiale si guarda, di default. Certo, questo mondiale non lo guarderà mia madre, che di calcio capisce quanto un alpinista possa intendersi di pesca subacquea, ma che “quando gioca l’Italia ... ”. E comunque, eccezion fatta per mamma e soggetti affini, il mondiale si guarda. 

L’Italia lo guarda. Perché l’Italia è l’Italia e io non sono un pazzo... a scriver di questa cosa (o forse sì, alla redazione l’ardua sentenza). 
E comunque, l’Italia è l’Italia e quella del pallone non è poi tanto diversa da quella di mia madre e soggetti affini. È l’Italia. 
E’ il bel Paese che si risveglia bruttino sotto il sole del Qatar, è lo Stivale che ha pestato la cacca d’un girone da cani, è l’azzurro sbiadito di un cielo che sopra Berlino era tutta un’ altra cosa. 
È l’Italia che guarda il mondiale degli altri. Un Paese che non può fare a meno del calcio. Un popolo di poeti, santi, navigatori e commissari tecnici, che fumano oppio e sbuffano pallone.
L’Italia che guarda il mondiale degli altri è un deja-vu, un incubo ricorrente che si materializza in maglie sudate, che se ne vedon di tutti i colori, tranne l’azzurro.  
“Quando uno fa agonismo, pone sé stesso come paradigma d'un intero popolo”, disse Gianni Brera. L’italia che guarda il mondiale degli altri è la declinazione di un calcio in declino, la coniugazione al presente del verbo fallire.

Nei bar il tintinnio del cucchiaino, che rimescola o’ cafe do Brasil, risuona nel silenzio più silenzioso della neve che cade sui tetti delle case. Gli edicolanti vendono le parole crociate, i vecchietti giocano a briscola, le fidanzate se la ridono, gli inglesi ci sfottono: è l’Italia che guarda il mondiale degli altri. 
L’Italia che guarda il mondiale degli altri è un film già visto, il remake d’un film horror, che già quattro anni fa aveva riempito sale e saloni di solitudine, lasciato a casa azzurri ed illusioni, lasciato nei frigo birre, pizze e Coca-Cola.
L’Italia che guarda il mondiale degli altri lo sa, come san di sale lo pane e i gol altrui.

È la demagogia al potere, l’antipallone che vince le elezioni e governa per altri quattro anni, colpa di eventi mancini, d’una recessione di rigore e d’una macedonia di concause socio-societarie. 
L’Italia che guarda il mondiale degli altri è una fidanzata mollata sull’altare all’ultimo minuto, che guarda il suo ex fare all’amore dallo spioncino d’una porta chiusa a chiave dall’interno.
I bambini sfoggiano le magliette di Mbappè, nei campi di calcetto si segna alla Messi, su Rai 1 il sabato sera le stars si cimentano nel ballo del piccione, “Per chi fai il tifo?” è la domanda che scuce bocche e accende flebili dibattiti. Niente più bandiere, niente più trombette, niente bancarelle. Niente di niente.

L’Italia che guarda il mondiale degli altri sono strade intasate di traffico, sotto mesti balconi privati del tricolore; il silenzio all’ora di punta è una maliarda sensazione che nessuno quasi più ricorda. 
Guardare il mondiale degli altri è guardare un albero di Natale con le palle che girano, è una pallosissima tombolata, è inseguire una stella,  come tante ce ne sono nelle altre nazionali. 
Anche nell’Italia che guarda il mondiale degli altri le stelle sono tante, milioni di milioni, ma evidentemente nessuna ha avuto abbastanza qualità. 

È l’Italia di un panino al salame, di tarantelle e Colosseo, l’Italia che non smetteremo mai di amare, anche quando è l’Italia che resta a guardare (ci ho fatto la rima). 

L’Italia che guarda il mondiale degli altri si specchia nelle sue stesse contraddizioni e si contraddice ancora: pallonara, sguaiata, piazzaiola e radical chic, miscredente, arrembante, patriottica e un po’ razzista, meravigliosa e franosa, no vax e mascherata, canterina e… andrà tutto bene. 
La Gioconda, dalla Francia, ci sorride, sardonica e misteriosa, alla faccia nostra, che ce ne stiamo qui, senza di lei e senza mondiali; anzi col mondiale degli altri. Oh, Monna Lisa no! Lei non è degli altri, precisiamolo.   
Il mondiale in Qatar sì, è degli altri. 
Pavarotti cantava di vittorie future, la Cristoforetti esplora pianeti lontani: entrambi hanno gli occhi dell’Italia che guarda il mondiale degli altri.
Totti fa lo spot, Buffon fa ancora il portiere, Del Piero forse farà la Juve. Sono gli ultimi campioni, scopiazzati dai successori "europeisti", che un anno e mezzo fa trionfarono in terra di  Britannia. 

La Meloni fa il governo, europeista si sforza d’esserlo, ma il mondiale degli altri lei proprio non lo guarda, degli altri non guarda proprio un accidente. Dio, Patria e forza Italia… cioè no, Forza Italia no. 

L’Italia che guarda il mondiale degli altri è isterica, scostante, litigiosa ad un semaforo quanto nei salotti, al mercato e sui mercati, tra le mura di case che non si posson più comprare e sui muri della Scala imbrattati per protesta. L’Italia che guarda il mondiale mal sopporta l’entusiasmo di Lele Adani, che commenta il mondiale degli altri, che ama il pallone di tutti, che semplicemente fa bene il suo lavoro e, per favore, lasciatelo campare.  
È un’Italia triste, uggiosa, grigia. E ti credo, i mondiali li fanno in inverno!
Già, i mondiali d’inverno.

I mondiali d’inverno è un concetto che il pensiero non considera. I mondiali d’Inverno sono come l’Italia che guarda il mondiale degli altri: “a’ pasta ncapu e u’ foimmaggio sutta”, diceva il mio saggio nonno siculo, che non sapeva parlare altra lingua se non il dialetto palermitano.
Sono il mondo alla rovescio, appunto, i maccheroni sopra e il formaggio sotto; sono i giovani che sconoscono il vernacolo ma lovvano e drinkano sempre alla stessa maniera; la maestra stronza che “se la prende sempre con mio figlio”; i percettori sul divano e i commercianti sotto un treno; Soumahoro che si “ingegna” sulla pelle dei fratelli, la suora singer che si “spoglia”, il gpl che costa più della benzina, il padel che tira più del tennis, Memo Remigi che palpeggia e Montesano che per una maglietta non gareggia (ci ho fatto di nuovo la rima).

Il mondo alla rovescio è l’Italia che guarda il mondiale degli altri, Ronaldo in panchina e quello vero in sovrappeso, il Marocco che sogna e la Spagna che non segna, gli azzurri a casa e il Qatar pure (in ogni senso). 

L’Italia che guarda il mondiale degli altri siamo noi, calciofili e anche carciofili (alla pastella sono speciali), che non demordiamo, che al pallone non rinunciamo.
Facci trovare una sedia e del buon vino e mettici davanti alla tv: staremo lì, ci scorderemo dei nostri quotidiani patimenti e guarderemo gli altri.
E chissenefrega! 
A noi basta che una sfera rotoli entro un campo di calcio e chi si è visto si è visto… o chi ha guardato ha guardato, se preferite.