Si può circoscrivere ad un solo decennio l’epoca d’oro di una squadra come la Juventus? I numeri dicono di no, almeno in parte. Trentasei scudetti, tredici Coppa Italia, otto Supercoppa Italiana. All’interno dei confini nazionali, la Vecchia Signora è stata la dominatrice incontrastata del calcio italiano, soprattutto da quando nel 1923 entrò a far parte del club la famiglia Agnelli.
Ciò che le è sempre mancato però, fu la costanza nell’affermarsi anche in ambito europeo, sebbene anche qui i record non manchino. Infatti, tra il 1977 e il 1985, la squadra bianconera diventa la prima, e unica, società al mondo ad affermarsi in tutte le competizioni europee e internazionali ufficiali: Coppa Uefa 1976-1977; Coppa delle Coppe 1983-1984; Supercoppa Uefa 1984; Coppa dei Campioni 1984-1984; Coppa Intercontinentale 1985.
Come potete immaginare, la difficoltà del sottoscritto non sta tanto nel fatto che è difficile individuare un episodio glorioso e riportarlo in maniera fedele, quanto nella problematica situazione che la Juventus è la Juventus, ossia la società più titolata in Italia, e quindi, quello che farò ora, è forse ancora più difficile, e sperò che voi lettori, juventini e non, possiate rendere omaggio a ciò che vi proporrò, un’analisi degli anni ’90 della squadra juventina attraverso i suoi uomini, e attraverso le partite che hanno segnato questa decade.
 
La Vecchia Signora e i suoi carismatici allenatori
Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi sono i due allenatori più vincenti e più carismatici della storia juventina. Due persone umanamente molto simili, che hanno caratterizzato in bene la storia del calcio italiano. Eleganti in campo, educati fuori.
Giovanni Trapattoni: storicamente definito difensivista, modulo preferito il 442, in realtà è stato capace di inventare situazioni di gioco e modelli tattici che risultano ad oggi ancora contemporanei, con un’abilità di lettura della partita e delle situazioni uniche nel suo genere. A lui la Juventus deve molto, e in ambito internazionale è ancora l’allenatore più vincente della storia del club. 2 Coppa Uefa, 1 Coppa Campioni, 1 Coppa Coppe, 1 Supercoppa Europea e una Intercontinentale. C’è da dire però che la maggior parte di questi trofei, anzi praticamente tutti ad esclusione di una sola Coppa Uefa. Già, in realtà il Trap glorioso della Juve fu quello che sedette sulla panchina bianconera dal 1976 al 1986, decade che tutt’ora viene definita dal tifo juventino il decennio d’oro. Negli anni ’90, Trapattoni sedette sulla panchina della Vecchia Signora per 3 stagioni, nelle quali riuscì a vincere una Coppa Uefa contro il Borussia Dortmund. In campionato però non riuscì a sfondare visto il dominio del Milan di Berlusconi. Come detto in principio, sebbene fosse definito un allenatore difensivista, la mentalità offensiva dell’allenatore di Cusano Milanino era ben visibile nelle caratteristiche tecniche dei singoli giocatori schierati contemporaneamente pronti ad offendere. Ciò che rendeva speciale il Trap, era senza dubbio l’aspetto umano, e la capacità di far coesistere in campo giocatori definiti prime donne. Ovviamente ero piccolo nella sua avventura juventina, il ricordo più nitido che ho di lui, oltre la sfuriata ai tempi della sua avventura teutonica, è la fotografia che ho in mente mentre con i mignoli in bocca fischia per richiamare l’attenzione dei suoi giocatori.
 
Marcello Lippi: l’equilibrio e l’innovazione tattica sono stati il suo cavallo di battaglia. Come per il suo predecessore, il carisma e l’aspetto umano hanno giocato un ruolo fondamentale nella sua carriera. Per lui, ogni giocatore era disposto a dare l’anima sul campo. L’intuizione più grande che ebbe, fu quella di rinunciare al suo 433 per passare ad un più equilibrato ma offensivo 4312, cambio che gli permise di far convivere prima giocatori del calibro di Roberto Baggio, Fabrizio Ravanelli e Gianluca Vialli, e poi gente come Zidane, Del Piero, Vieri, Inzaghi, Boksic (ovviamente non tutti insieme ma nel tempo). Il segreto delle sue squadre non era solo l’attacco, bensì anche l’utilizzo delle sovrapposizioni dei terzini sulle mezz’ali, e l’arretramento del vertice basso del centrocampo a sostegno della difesa. Certamente fu avvantaggiato dalle grandi risorse messe sul mercato dalla famiglia Agnelli, che gli assicurarono giocatori di caratura internazionale, e vittorie attese da anni. La missione che gli affidò l’Avvocato fu quella di riportare la Coppa dalle grandi orecchie a Torino, e quella di trionfare nuovamente in campionato. Marcello lo fece. Nella sua prima avventura bianconera, il tecnico di Viareggio vinse in 5 stagioni l’impossibile: tre campionati, una Coppa Italia, due Supercoppa Italiana, una Coppa Campioni, una Supercoppa Uefa, e una Coppa Intercontinentale. Immagine del mister? Ovviamente di lui in piedi vicino la panchina con il sigaro in bocca.
 
Numeri 10 a confronto
Roberto Baggio o Alessandro Del Piero? E se invece fosse Zinedine Zidane? Una tradizione lunga anni, un’eredità pesante per ogni giocatore che ha dovuto indossare quella pesante numero 10. Si, lo so, già sento piovere le prime critiche, eh ma Zidane non ha mai avuto la numero 10 sulle spalle. Vero, ma anche falso, perché in realtà Zidane è stato uno dei più grandi 10 della storia del calcio, e benché alla Juventus quella casacca era riservata a Del Piero, il vero diez era lui.
 
Roberto Baggio: il Divin Codino, il piccolo Buddha del calcio italiano. La sua storia parla da sola. Una di quelle persone che adoravi a prescindere dal tifo. Classe immensa, così forte da meritare il Pallone d’Oro nonostante non avesse vinto la Coppa dei Campioni. Posso dire che ho avuto la fortuna di vederlo giocare, di apprezzare la sua umanità in campo, e fuori dal rettangolo verde. A mio parere, forse il giocatore italiano più forte di sempre. Forse più di ogni altro giocatore, incarnava quel 10 alla perfezione. Purtroppo, non posso parlare del suo periodo juventino, questo perché sinceramente, quando giocava alla Juventus la tv a pagamento ancora non esisteva, e non c’era modo di vedere le partite di tutte le squadre di calcio. Ho potuto però apprezzare le sue doti al Bologna, all’Inter, ma soprattutto, incredibilmente, al Brescia, dove visse una seconda giovinezza. Il tridente di attacco formato con Vialli e Casiraghi prima, e Vialli e Moeller poi, resterà senza dubbio alcuno, nel cuore di tutti i tifosi bianconeri, nonostante non riuscì mai a trionfare in campionato da assoluto protagonista. Ebbene sì, Roberto Baggio, con la Juventus, vinse poco, anzi pochissimo, uno scudetto, una coppa Italia e una Coppa Uefa. Troppo poco per uno come lui. Con l’arrivo di Marcello Lippi sulla panchina, e l’esplosione del giovane Alessandro Del Piero appena arrivato dal Padova, decise che era il momento di cambiare aria.
 
Alex Del Piero: soprannominato Pinturicchio come il celebre pittore perugino del rinascimento. A dargli il soprannome fu l’Avvocato Gianni Agnelli, rimasto incantato dal suo modo di giocare e ancor più calciare il pallone “Ho dato a Del Piero il soprannome Pinturicchio: per l’estetica, per il modo di giocare. I suoi gol sono sempre eccellenti”. E il buon Avvocato aveva ragione da vendere. Il giovane Alessandro si impose quasi subito quando arrivò alla Juventus dal Padova per 5 miliardi di lire. Deve molto a Giovanni Trapattoni, che lo chiese espressamente a Boniperti, ma ancor di più a Marcello Lippi che lo rese immortale. Una cosa è certa, non aveva paura il giovincello. Arrivato in punta dei piedi, fu mandato nella primavera da Trapattoni, che presto però lo aggregò alla prima squadra quasi in maniera permanente. Ma davanti a sé aveva un certo Roberto Baggio, difficile da superare nel cuore dei tifosi eppure lui con pazienza e caparbietà ci riuscì in breve tempo. Nel giro di due anni, fa gli scarpini al Divin Codino, e diventa titolare in quella squadra, che poi, vincerà tutto nel giro di breve tempo. La sua carriera nasce da numero dieci, alle spalle di Ravanelli e Vialli, i nuovi gemelli del gol, da quella posizione riesce a mettere in mostra tutte le sue qualità, visione di gioco, abilità a scartare l’avversario, e il tiro. Che tiro ragazzi, il famoso tiro alla Del Piero, vertice sinistro dell’aria di rigore, finta a sinistra, scarta il giocatore a destra e tiro a giro sotto il sette. Era diventato una sentenza, lasciarsi saltare da Alex in quella determinata mattonella del campo voleva dire prendere gol. Una vita passata in bianconero, con i suoi gol ha trascinato la squadra alla vittoria di una Champions che mancava per l’appunto da due lustri.
 
Zinedine Zidane: conosciuto semplicemente come Zizou. A detta del suo mister, ma forse anche di tantissimi addetti ai lavori, il giocatore più forte che la Juventus abbia avuto negli anni 90, e forse non solo. Personalmente ritengo che la tecnica del francese sia superiore anche a quella di CR7 e seconda solo a quella di Messi e Ronaldo (il fenomeno, quello vero). Giocatore capace di rendere banalmente semplice anche un controllo di palla impossibile. È sicuramente grazie a lui che il tecnico viareggino, Marcello Lippi, riuscì a trasformare il suo 433 nel 4312. Vero, anche con Del Piero ci riuscì, ma solo con Zidane poté cambiare di ruolo Alex, avvicinandolo di più nell’aria di rigore avversaria trasformandolo in seconda punta. Con la casacca bianconera vince due scudetti, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Italiana. Sfiora la vittoria della sua prima Champions League sempre con la Juventus, ma il Borussia Dortmund di Sammer, Riedle e Chapuisat guidato da Ottmar Hitzfeld fu un ostacolo impervio in quella finale disputata a Monaco di Baviera. Un giocatore completo, agile, grande visione di gioco, imprendibile nello stretto. Il controllo di palla era spaventoso, sotto molti aspetti poteva essere paragonato ad un altro francese, Platini. La carriera parla per lui, il suo palmares è ricco di ogni trofeo, anche se a dire veramente chi fosse questo ragazzo di origine algerina, furono i suoi piedi.
 
Dalle stelle alle stalle: i match che hanno segnato il decennio
Se dovessi descrivere la storia della Juventus degli anni ’90 attraverso alcuni match, sicuramente sarebbero questi cinque: la finale di Coppa Uefa della stagione 1992-1993; le finali di Coppa dei Campioni delle stagioni 1995-1996 e 1996-1997; il derby d’Italia nella stagione 1997-1998.
 
Coppa Uefa 1992-1993 – La consacrazione del Divin Codino: Mi piacerebbe poter dire, ah ricordo benissimo quelle due epiche partite, purtroppo però non è così, sono laziale di terza generazione, e ancora non avevo il calcio nel sangue con quella mania di vedere ogni incontro di qualsiasi compagine, quindi seguivo solo la mia squadra. Posso però aiutarmi con i video gentilmente offerti da youtube. Erano anni in cui le finali di Coppa Uefa si disputavano ancora con la doppia sfida andata e ritorno. L’andata fu disputata al Westfalenstadion di Dortmund, mentre il ritorno allo Stadio delle Alpi a Torino. La Juventus annientò il Borussia Dortmund con due risultati tondi, anche se all’andata qualche grattacapo la squadra della Ruhr glie lo aveva dato. Il grande mattatore fu proprio il Divin Codino che con una doppietta all’andata, e un gol al ritorno, contribuì in maniera decisiva al trionfo della sua squadra. Fu proprio la cavalcata trionfale nella Coppa che convinse la giuria di France Football ad assegnare il Pallone d’Oro al giocatore vicentino.
 
Coppa Campioni 1995-1996 – Da gregario a protagonista. Penna Bianca nella storia: già, se c’è un giocatore che forse più di ogni altro ha vissuto questa partita come una rivalsa, fu proprio Fabrizio Ravanelli. Se sotto la guida del Trap era visto più come una riserva, sotto la guida di Marcello Lippi diventa perno dell’attacco insieme a Gianluca Vialli e Alessandro Del Piero, almeno fino a quella finale, ma questa è un’altra storia. Tornando alla partita, questa si che me la ricordo bene. Sarà forse perché veniva giocata a Roma, o forse perché quell’Ajax era di un’altra categoria? Esatto, la finale fu disputata a Roma, e la pretendente al titolo erano i temibili e terribili Lancieri guidati da quel genio di Van Gaal. La formazione da accapponare la pelle. Van Der Sar, i fratelli de Boer, Edgar Davids, George Finidi, Kanu, un giovanissimo Kluivert, e lui Kuningas – Il Re dei ghiacci, Jari Litmanen. I Lancieri erano i vincitori della Coppa Campioni in carica avendo battuto l’anno precedente il Milan di Capello. Una formazione spettacolare. La Juventus, invece, tornava in finale dopo 10 anni dal trionfo di Trapattoni. Messe a confronto, nelle individualità, la squadra olandese era nettamente più forte anche se ancora giovane, eppure a volte basta poco, una distrazione. E quella fu. Quasi a inizio partita, De Boer sbaglia un retropassaggio di testa verso il portiere Van der Sar, Fabrizio Ravanelli si avventa sul pallone e da posizione angolata, in scivolata, riesce ad indirizzare la palla in porta beffando Silooy. Un match teso, con le squadre rispettivamente spaventate dall’aprirsi troppo e offrire il fianco all’avversario. Solo un episodio poteva far cambiare il risultato nuovamente, e così fu. Verso la fine del primo tempo, la palla carambola in aria bianconera, e sotto porta, il folletto finlandese arpiona il pallone e da breve distanza la insacca in rete, facendo finire in pareggio il primo tempo. Nel secondo tempo le squadre sono più accorte, e a parte qualche timida occasione, nessuna delle due squadre riesce a sfondare. Scorrono così i secondi 45 minuti, la finale va ai tempi supplementari, che però non regalano emozioni. La sfida si decide ai rigori! L’eroe diventa Angelo Peruzzi, un piccolo torello viterbese nato a Blera. Neutralizza il primo e il quarto rigore del club di olandese, mentre la Juventus li segna tutti. La Coppa Campioni è bianconera, il capitano Gianluca Vialli la bacia, e poi la alza sotto il cielo stellato di Roma.
 
Coppa Campioni 1996-1997 - la rivincita della Ruhr: una sfida, ormai, divenuta di cartello. Gli scontri in campo tra Juventus e Borussia Dortmund erano diventati routine in campo internazionale, ma questa volta, la grande favorite era lei, la Vecchia Signora. All’Olympiastadion di Monaco di Baviera andava in scena la rivincita dello Schwargelben, uscito sconfitto malamente pochi anni prima durante la finale di Coppa Uefa. Questa volta, però, le cose andarono differentemente. La Juventus poteva contare su nuove forze rispetto l’anno precedente, arrivarono giocatori del calibro di Bobo Vieri, Zinedine Zidane, Alen Boksic e Pablo Montero. Il Borussia Dortmund, invece, poteva contare su tre grandi ex: il gigante Kohler in difesa, il roccioso ma elegante centrocampista Paulo Sosa (trasferitosi proprio quella estate), e il fantasista Moller. Sebbene la prima mezz’ora fosse stata a totale appannaggio della squadra italiana, alla prima occasione il Dortmund passa in vantaggio con una rete di Riedle. La squadra di Lippi si scioglie, e dopo appena altri 5 minuti subisce il secondo gol. Cross da calcio d’angolo, e la palla vola lì dove non deve, sulla testa del più temibile stoccatore tedesco, di nuovo lui, Karl-Heinze Riedle. La Juventus però non sembra accusare il colpo, e parte così all’arrembaggio. Nel secondo tempo Lippi inserisce Del Piero al posto di Porrini, e Pinturicchio non delude. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, un palo di Zidane e un gol annullato a Vieri, la Juve accorcia le distanze. Boksic addomestica un pallone difficile, si porta sulla linea di fondo, la mette al centro, e di tacco Del Piero beffa difesa e portiere. Gol fantastico. Purtroppo, però, la gioia dura poco. La Juventus si sbilancia in avanti prestando il fianco al più classico dei contropiedi. Moeller vede scattare l’appena entrato Ricken, lo serve sulla profondità e con un tocco sotto da fuori l’area di rigore, scavalca un incolpevole Peruzzi. La partita finisce praticamente lì. La Juve cede il passo ad un Borussia Dortmund abile nello sfruttare le disattenzioni bianconere.
 
26 Aprile 1998 – il derby d’Italia: il non fischio della discordia. La Juventus di Marcello Lippi è prima a 66 punti, distanziata di una sola lunghezza c’è l’Inter guidata da Gigi Simoni. Al termine della stagione, quattro sole giornate. La sfida è una finale scudetto. Se l’Inter vince scavalca la Juventus, viceversa, la squadra di Torino allungherebbe sensibilmente mettendo una seria ipoteca per il titolo. Da un lato la fantasia e la classe del duo bianconero Zidane-Del Piero, dall’altro i giochi di prestigio del Fenomeno (quello vero) Ronaldo e di Youri Djorkaeff. In porta, due portieri che hanno fatto la storia del calcio italiano, Peruzzi e Pagliuca. La partita viene sbloccata dopo 21 minuti da una magia di Alessandro Del Piero, che scarta prima due avversari, rientra sul destro, finta che disorienta Pagliuca e tiro sul secondo palo. Da quel momento tutto cambia. Inizia una lotta di nervi, e una battaglia personale tra il Fenomeno e la compagine juventina. Il match diventa maschio e le ammonizioni iniziano a fioccare. Ma ciò che accade a metà ripresa ha dell’incredibile. Da un contrasto tra Zamorano e Birindelli, la palla rimbalza all’interno dell’aria bianconera, sul pallone si avventa Ronaldo che con la punta del piede cerca di spostarsi per provare il tiro. Sulla traiettoria di corsa si scontra su Iuliano e finisce a terra. L’arbitro Ceccarini non fischia. Gigi Simoni entra in campo ad azione in corso, ma viene prontamente bloccato dal quarto uomo che lo riaccompagna nella propria aria tecnica. Nel frattempo, l’azione non si ferma, palla a Davids che lancia Zidane sulla fascia, vede al centro Del Piero, lo serve. Taribo West entra scomposto sul capitano della Juve che cade a terra. Per Ceccarini è fallo e fischia il rigore. In campo regna il caos. Tutta l’Inter si riversa sull’arbitro protestando veementemente, Gigi Simone è furibondo, così fuori controllo che Ceccarini lo espelle. Ristabilito l’ordine, Del Piero va sul dischetto ma Pagliuca neutralizza il tiro dagli 11 metri. Ovviamente, come ci si poteva aspettare, la partita diventa cattiva, si susseguirono cartellini gialli da ambo le parti, e un rosso a Ze Elias per una entrata di gomito sull’avversario. Il risultato non cambia più. La Juve si aggiudica il match e si porta a + 4 in classifica. Una distanza che poi significò scudetto.
 
Come detto all’inizio, questo pezzo è stato assai difficile da preparare, sicuramente avrei potuto parlare di come l’avvento della triade Moggi-Giraudo-Bettega abbia influito sul corso del decennio, oppure avrei potuto includere anche il famoso diluvio di Perugia. Ma credo di aver reso omaggio ugualmente alla Juventus.
Spero di essere stato esaustivo, e mi scuso con i vari tifosi Juventini se ho dimenticato qualcosa.
E.D.M.