Come mai sono Laziale? Semplice, ho un padre “Eagles Supporters”, era impossibile per me diventare di un’altra squadra, benché la mia fede calcistica, quando ero piccolo, ha vacillato. Si, perché ci sono stati mesi in cui ho tifato il Milan e di tutta risposta mio padre decise di portarmi allo stadio. Era il 14 gennaio del 1990 e allo stadio Flaminio andava in scena Lazio-Milan. Da una parte la temibile corazzata di Sacchi, dall’altra, la squadra povera di Calleri, l’allora presidente della Lazio allenata da Giuseppe Materazzi, padre del roccioso difensore Marco Materazzi. Forse lo fece per punirmi, oppure per farmi capire in cosa consistesse la Lazialitá di cui tanto andava orgoglioso, scelse proprio la partita più difficile per una squadra che da appena due anni era risalita nella massima serie. Faceva un freddo impressionante, scoprii poi che in realtà era proprio allo stadio facevano di media 2/3 gradi in meno rispetto al resto della città. I gradoni in pietra e cemento non riuscivano proprio a scaldare l’atmosfera, però per fortuna c’erano loro, i tifosi biancocelesti. Restai incantato da quei colori, e affascinato da quell’omone di mio padre, completamente preso dalla partita e orgoglioso di avere al suo fianco me, suo figlio, come se questo fosse una sorta di rito di iniziazione.
 
Da quella partita persa malamente, capii la mia strada, non dubitai più della mia fede calcistica, vuoi anche l’anno seguente iniziale la scuola elementare, nella mia classe eravamo in netta superiorità, cinque accaniti tifosi laziali contro i miseri due degli odiati cugini giallorossi. A ricreazione partivano le sfide, chi voleva essere Ruben Sosa, l’uruguagio dal sinistro potente, e chi voleva essere Karl-Heinz Riedle. Personalmente stravedevo per la punta tedesca, finalmente anche noi potevamo contrapporre al baffetto biondo romanista, lo stoccatore teutonico. Io, vista la mia indole da difensore navigato, sceglievo quasi sempre Bergodi, Gabriele Pin mi sembrava troppo "scarso". Venivo anche deriso per la mia scelta folle, ma che ci volete fare, la Lazio precedente all'Era Cragnotti era questa, reduce dal miracolo della B allenata al tempo da Eugenio Fascetti, orfana di risultati e di grandi giocatori, ma quelli non tardarono ad arrivare. Capii che mio padre, quando mi portò allo stadio per la prima volta, volle insegnarmi che una squadra non era fatta di soli nomi altisonanti, ma soprattutto da gregari lavoratori, un po' come accade nel ciclismo. Gli anni '90 per la mia Lazio furono miracolosi, e portarono il club nell’olimpo dei grandi, cosa che non accadeva da più di vent’anni. Anzi, fece ancora di più, arrivò lì dove nemmeno la banda Maestrelli riuscì ad arrivare.
 
Preludio - Io e mio padre, dalle prime avventure in distinti al mio primo abbonamento.
Dopo aver visto la prima partita allo stadio Flaminio, la stagione seguente la Lazio tornò a giocare all’Olimpico. Avevo fatto 6 anni, mi sentivo un piccolo ometto, anche perché con mio padre si andava sempre più di frequente allo stadio. La sera prima di ogni partita non dormivo dall’eccitazione. Allo stadio il babbo prendeva i bruscolini e il caffè Borghetti, io le noccioline e la coca cola, ovviamente, una bagnatina di labbra al Borgo ci scappava sempre, "ma mi raccomando non lo dire a tua madre". A me bastava questo, stare lì, in mezzo a tanta gente che sosteneva una sola squadra. Non mi interessavano ancora dei risultati, la sola cosa importante era quel pranzo al sacco preparato da mia madre, e mangiato sui gradoni dei Distinti dello Stadio Olimpico. Sventolare la bandiera comprata dai negozianti lungo il ponte, e indossare la mia maglietta Cassa Risparmio Roma.
 
Biennio 1990-1991/1991-1992
La fase finale dell’era Calleri corse via nel completo anonimato, la squadra era senza grandi speranze, a parte qualche elemento e il nuovo allenatore Dino Zoff, i giocatori erano scarsi e difficilmente potevano competere con compagini ben più attrezzate. In campionato al massimo raggiunse il decimo posto. Di certo, nonostante l’assenza di emozioni e prospettive, ci fu una coppia molto prolifica che riuscì a tenere a galla la squadra, la coppia d’attacco formata da Karl-Heinz Riedle e da Ruben Sosa. Senza alcun dubbio, furono loro i giocatori simbolo di quella squadra di operai, e fu soprattutto grazie al tedesco, soprannominato Gummy, che mi appassionai ancora di più alla Lazio.
 
Biennio 1992-1993/1993-1994
L’anno della svolta fu il febbraio del 1992. Dopo la morte del fratello il presidente Calleri non aveva più le energie per seguire sia la Lazio che gli affari di famiglia, e quindi decise di vendere la società biancoceleste. L’offerta arriva dall’imprenditore/finanziere Sergio Cragnotti. Il suo modello di gestione è quello del Milan di Berlusconi. Cambia tutto al suo arrivo, tranne una cosa: sulla panchina conferma Dino Zoff. La svolta avviene anche a livello personale. Mio padre pure decide di investire, e vedendomi sempre più appassionato fa il grande passo. Due abbonamenti, settore Distinti Nord-Ovest. Non ci potevo credere, dopo due anni passati a fare le corse sotto i botteghini dello stadio per accaparrarci qualche posto buono, avevamo finalmente l’abbonamento. Per sé stesso, invece, si fece un altro regalo, la fantastica Lancia Thema Ferrari, soprannominata così per via degli 8 cilindri e delle 32 valvole di cui era dotato il motore. Ci abbandonò qualche anno dopo a seguito di un brutto incidente avvenuto su Via Nomentana, incrocio viale Regina Margherita. Una donna al volante di un pesantissimo Volvo station wagon prese in pieno mio padre sul fianco sinistro della macchina, e lo scaraventò insieme alla sua auto contro un albero, per fortuna se la cavò con una clavicola rotta, l’auto, invece, fu accompagnata per un ultimo viaggio alla sfasciacarrozze del nostro amico Vittorio, dietro Via di Pietralata. La Lazio cambia ritmo, Cragnotti promette campagne acquisti faraoniche, e colpi sensazionali. Il primo me lo ricordo benissimo, Paul "Gazza" Gascoigne, un pazzo, ma a detta del popolo inglese, uno dei più grandi talenti degli anni '90. È solo l’inizio, nella prima estate da Presidente arrivano: Giuseppe Favalli, Aron Winter, Diego Fuser, Roberto Cravero, Dario Marcolin, ma soprattutto lui, il Re dei Bomber, Giuseppe Signori. Il secondo anno di presidenza arrivano altri elementi determinati, che faranno la storia del club, Pierluigi Casiraghi dalla Juventus, Alen Boksic, Roberto Di Matteo, Paolo Negro e il portiere Luca Marchegiani, farà inoltre il suo esordio in campo Alessandro Nesta. La musica cambia subito, finalmente il tecnico friulano è messo nelle condizioni giuste per poter svolgere al meglio il suo lavoro, e sfruttare a pieno la potenza della sua squadra. Allo stadio la gente si diverte, appaiono le bandiere del Regno Unito sugli spalti, si sente un nuovo calore scorrere nelle vene. Nuove certezze attraversano le vie di Roma. Dopo anni bui e di sfottò, il popolo laziale poté rialzare la testa, la superiorità in campionato era sempre più lampante. Tra le strade si sente finalmente l’inno della Lazio, perché la squadra torna a volare, come dice il suo stesso inno.
 
Nel cielo biancazzurro brilla una stella
che in tutto il firmamento e sempre la più bella
ed ogni volta che rintocca er campanone
ho voglia di cantare questa canzone
Lazio sul prato verde vola
Lazio tu non sarai mai sola
vola un’aquila nel cielo
più in alto sempre volerà
 
Insomma, volare, diciamo piuttosto che torna a far parlare di sé per il calcio giocato. Nel periodo Zoffiano, la squadra esprime un gioco convincente, grazie al nuovo bomber Beppe Signori, torna a segnare a raffica. Gol che accompagnano la squadra fino alla zona Uefa per due anni consecutivi, quinto e quarto posto in classifica. Ma non è tutto oro ciò che luccica. L’acquisto simbolo del primo anno, il pazzariello Gazza non rende come deve, fa parlare di sé più per i suoi comportamenti giocosi che per il calcio giocato, poi ci si mette pure un terribile infortunio durante un allenamento. In un contrasto con il giovane Nesta, si procura la frattura della tibia e del perone. Stravedevo per lui, eppure non è mai riuscito a dare ciò che la gente si aspettava.
 
L'inizio della Sinfonia - L'equilibrio conta, ma non per Zeman
Cragnotti sente che la squadra può rendere di più, e nonostante la stima profonda che lo legava all’ex grande portiere della Nazionale Dino Zoff, decide di cambiare allenatore. Da Foggia arriva Zdenek Zeman, un allenatore innovatore per quei tempi in cui il canonico 4-4-2 era religione. Il suo schema preferito era il 4-3-3, sebbene nelle sue squadre ogni singolo giocatore era chiamato all’attacco. La campagna acquisti non fu roboante nella prima stagione, la Lazio aveva un potenziale inespresso secondo lui, decise quindi di puntare su alcune sue vecchie conoscenze. Signori era il perno dell’attacco insieme a Gigi Casiraghi, al quale subentrava spesso Boksic, al loro fianco agiva Roberto Rambaudi, unica vera richiesta del mister insieme al leader di difesa Jose Chamot, visto che li aveva già allenati ai tempi del Foggia dei miracoli.
Benché si assisteva ad una Lazio più entusiasmante, la mia vita fu sconvolta dalla perdita prematura di mia nonna. Me lo ricordo bene questo periodo, lo stadio, nonostante l'abbonamento, non aveva più lo stesso fascino. Mio padre aveva perso quella luce di fanciullezza che solo una madre sa dare al proprio figlio finché è in vita. Quella scintilla sempre verde di Peter Pan che è dentro ognuno di noi, si era spenta. Pian piano smettemmo di andare a vedere le partite, e l'avvento delle tv a pagamento accelerò il distacco. I cori dedicati ai miei giocatori preferiti, le bandiere al vento, le corse verso lo stadio dribblando i bagarini che ti offrono gli ultimi biglietti rimasti. Tutto era finito.
 
Triennio 1994-1995/1995-1996/1996-1997
La Lazio esprime un gioco estremamente offensivo, è una macchina da gol. Spesso si assistono a partite con risultati tennistici invece che a match di calcio. Ma tutto questo ha un difetto. Pur di difendere il suo gioco ad ogni costo, la squadra prende anche sonore imbarcate. L’andamento è altalenate, sebbene in campionato si riesce sempre ad arrivare in alto. Secondo posto al primo anno, e terzo la seconda stagione. Però… esatto c’è un però. Il salto di qualità che si aspettava il Presidente non era ancora arrivato. Sì, c’era bel gioco, ma è in Europa che lui voleva far vedere la Sua Lazio. In un decennio in cui le squadre italiane primeggiavano nel Continente, voleva la presenza della sua Lazio. Ancora mi ricordo le sconfitte di Dortmund e di Lione. Ma ce n’è una che il popolo laziale non potrà mai scordarsi, Tenerife. La sconfitta contro la squadra spagnola fu un presagio di come le cose sarebbero andate a finire la stagione 1996-1997. Tutto era iniziato quell’estate, Cragnotti cede alcuni giocatori ritenuti fondamentali nello scacchiere di Zeman. Vennero venduti Alen Boksic, Roberto Di Matteo e Aron Winter, al contrario di quanto avvenuto l’estate precedente, con la quasi cessione del beniamino Beppe Signori scongiurata da una rivolta popolare. Gli acquisti, a parte il solo Pavel Nedved che poi risulterà fondamentale nel triennio successivo, furono insufficienti. La squadra non risponde più al suo tecnico, e i malumori si iniziano ad avvertire. Come detto in precedenza, la partita dei sedicesimi di finale della Coppa Uefa è un ricordo indelebile per noi tifosi biancoazzurri. All’andata la Lazio si impone per 1-0 grazie alla rete del neoacquisto Nedved, ma è al ritorno che accade l'impossibile. La follia di Zemanlandia si manifesta in tutta la sua grandezza. La Lazio passa in vantaggio, ma il Tenerife risponde immediatamente, prima pareggia e poi si porta in vantaggio. La squadra di Signori però non accusa il colpo, e trova dopo pochi minuti il pareggio. Siamo al 30esimo, e la partita è già sul due pari. Ma non finisce qui, prima del riposo, la squadra delle isole Canarie si riporta in vantaggio, 3-2. Così passa ancora la Lazio in virtù dei due gol fuori casa. Pronti via, inizia il secondo tempo. Ci pensa lui, Gigi Casiraghi a pareggiare nuovamente i conti. Solo un miracolo servirebbe al Tenerife, oppure la follia di Zeman. Dopo un solo minuto, il Tenerife torna nuovamente avanti, ma non basta. A 20 minuti dalla fine fa il quinto gol. A questo punto ci si aspetterebbe una risposta da parte di Zeman, ma la squadra si scioglie e vede buttarsi fuori dalla coppa in modo quanto meno drammatico. Qualche mese più tardi, per non buttare via completamente l'anno, Sergio Cragnotti richiama Dino Zoff sulla panchina, esonerando anzi tempo il tecnico boemo. Finisce così l'era Zeman, e in un qualche modo, anche l’epoca di Beppe Signori alla Lazio. Grazie all’arrivo del tecnico friulano, la Lazio riesce a chiudere nuovamente al quarto posto, qualificandosi per il quinto anno consecutivo in Coppa Uefa. Si chiude un ciclo, senza trionfi, ma che porta con sé la consapevolezza che questa squadra inizia ad essere matura per qualcosa di più grande.
 
L'Opera completa - Apoteosi Lazio, si ritorna allo stadio
La metamorfosi ha inizio, al contrario di quanto accadde a Gregor Samsa che da uomo si trasformò in un enorme insetto, la Lazio fece il processo inverso, no che sia mai stata un insetto, diciamo che la sua evoluzione fu più Darwiniana. A Formello arriva il nuovo tecnico, già precedentemente orbitato a Roma ma sponda giallorossa, Sven-Goran Eriksson. Cragnotti aveva capito che serviva un allenatore che al tempo stesso fosse anche un direttore tecnico, un uomo capace di far evolvere i giocatori sul piano tattico, ma che conoscesse il calcio in ogni sua sfaccettatura. Aveva avanzato delle pretese ben chiare. Roberto Mancini, Matias Almeyda, Vladimir Jugovic, e il ritorno di Alen Boksic. A farne le spese però fu Giuseppe Signori. Ormai il suo legame con la Lazio era finito dopo aver giocato 195 partite e segnato 127 gol.
Come per l'avvento del primo Cragnotti, mio padre festeggio comprandosi una nuova auto, Mercedes CE 200. Le auto, così come i motori in generale, erano la sua passione. In quei anni passavamo le giornate intere durante i weekend a sistemare qualcosa alla moto, oppure alla macchina di mia madre. Un piccolo rabbocco d'olio, una sistematina alle pinze dei freni, "perché no nano, controlliamo anche gli scarichi". Poi un bel giorno torno a casa e mi dice, Manu domenica andiamo allo stadio. Era la giornata del derby. La cosa sensazionale fu che andammo in Curva Nord, sede degli Irriducibili. L’emozione di far srotolare la coreografia sopra la mia testa. Il calore del tifo per 90 minuti filati. La vittoria.
 
Triennio 1997-1998/1998-1999/1999-2000
La Lazio più forte di sempre. Forse la squadra più forte degli ultimi anni. Da quando il tecnico svedese si sedette sulla panchina laziale, le cose cambiarono radicalmente. La stagione del suo esordio verrà ricordata per tre motivi: i quattro derby vinti nel corso di una stagione, due in campionato e due in Coppa Italia; il primo trofeo dell’Era Cragnotti, 24 anni dopo l’ultimo trionfo; la finale di Coppa Uefa persa ai danni dell’Inter per 3-0 al Parco dei Principi di Parigi. In campionato la squadra arrivò settima, ma grazie alla vittoria del trofeo nazionale si aggiudicò il pass per disputare l’ultima edizione della Coppa delle Coppe l’anno seguente. Cragnotti era soddisfatto a metà, finalmente in Europa si erano accorti che esistevano anche i colori della sua squadra, e ingolosito dai risultati ottenuti la stagione precedente fece nuovi investimenti per puntare più in alto. Sinisa Mihajlovic, vecchio pallino del tecnico svedese, Marcelo Salas, Fernando Couto, Bobo Vieri, Dejan Stankovic, Sergio Conceiçao, Attilio Lombardo e Ivan de La Pena. L’anno inizia nel migliore dei modi, dopo la vittoria della Coppa Italia, la Lazio bissa il successo portando a casa la Supercoppa Italiana battendo la Juventus al delle Alpi. Parliamoci chiaro, è inutile elencare ogni trionfo laziale di questo triennio, in campionato solo un gran finale del Milan targato Zaccheroni gli tolse la gioia del secondo scudetto della storia, ma in Coppa delle Coppe, grazie ad uno strepitoso Stankovic e ad un irrefrenabile Vieri, la Lazio fa sua la finale. Diventa famosa la frase sfottò indirizzata ai cugini romanisti "Noi Oltre Manica, voi a Torvaianica". Non ha senso continuare a scrivere ogni singola vittoria della mia squadra. La stagione seguente la Lazio vinse il suo secondo scudetto, la Coppa Italia e la Supercoppa Europea. Alex Ferguson dirà che il suo Manchester aveva perso contro la squadra più forte del mondo in quel momento. In effetti, la stagione dello scudetto furono fatti ulteriori acquisti. Arrivarono Diego Pablo Simeone, Simone Inzaghi e Juan Sebastian Veron.

Mi spiace Lord Fener, non posso fare un paragrafo solo per la Burjita, quella squadra era galattica, te la ricordi la formazione? Luca Marchegiani in porta; Pancaro o Favalli sulla sinistra, Negro terzino destro, Nesta e Sinisa Mihajlovic centrali; davanti la difesa Almeyda e poco più avanti Simeone; sulle fasce giocavano Nedved a sinistra e Conceiçao a destra; dietro le punte, sulla trequarti Veron; terminale offensivo Salas. In panchina, pronti a subentrare ci stavano giocatori del calibro di Mancini, autore in quel periodo di uno dei più bei gol della storia del calcio, di tacco contro il Parma. Simone Inzaghi, Boksic, Stankovic. Non era una semplice squadra, era l’apoteosi del calcio. La grande bellezza. Gol da calci d'angolo. Le punizioni di Sinisa (3 gol in una sola partita contro la Sampdoria), le galoppate sulla fascia di Nedved e di Conceiçao, le stoccate di testa del Matador, gli interventi in scivolata di Sandro Nesta, il capitano romano e Laziale. La perfezione è esistita si chiamava SS Lazio, e io andai ad omaggiarla al Circo Massimo, godendo per lo scudetto vinto. Mio padre mi diede il suo cimelio, una sciarpa degli Eagles Supporters. Fu il vero passaggio di testimone, di padre in figlio, come tradizione vuole.

Potrei scrivere altre mille pagine sulla mia Lazio, ma rischio di diventare prolisso, più di quanto già non sono stato. È un amore grande, infinito, anche perché mi rendo conto di essere stato fortunato nell'aver vissuto il periodo più vincente della mia squadra. Difficilmente potrò rivedere e rivivere un periodo così, ma so che con lo stesso spirito, lo vivrà il mio futuro figlio. Gennaio è alle porte, Riccardo è pronto, ci siamo quasi. Mamma e papà ti aspettano, e se nascessi il 9 gennaio? Chi lo sa! Si chiude così il capitolo dedicato agli anni '90 del calcio italiano, Buon anno VxL, buon anno amici miei, grazie a chi mi ha seguito, a chi ha commentato, e alla redazione.
 
E.D.M.