Il 1986 e lo Sport
Nella Formula 1, il dominio delle Williams, prima e terza nel mondiale con alla guida rispettivamente Mansell e Piquet, fu incontrastato fino all’ultimo GP, quando per problemi agli pneumatici, dovettero cedere il passo ad un incredulo Alain Prost su McLaren, che a sole due lunghezze in classifica sul campione americano, si aggiudicò il mondiale proprio in quel GP di Australia.
Il mondo della Boxe, invece, imparò a conoscere Mike Tyson, che all’età di 20, divenne il più giovane campione dei pesi massimi di sempre. L’incontro, come spesso accadeva con il picchiatore di Brooklyn, durò molto poco, due sole riprese, e a farne le spese fu il mal capitato Trevor Berbick.
Nel Tennis, il giovane Boris Becker si conferma per la seconda volta consecutiva, a soli 18 anni, campione di Wimbledon, superando in finale Ivan Lendl, il quale però trionfa prima a Parigi e poi a New York.
Nel calcio, invece, il 1986 è l’anno dei Mondiali in Messico. Chi è appassionato di calcio, giovane o meno giovane, sicuramente saprà che lì nacque il mito della mano de dios. Maradona portò al trionfo della massima competizione la sua Argentina per l’ultima volta.
Per una squadra che vinse il trofeo per l’ultima volta, ce ne fu invece una che alzo la coppa dalle grandi orecchie per la prima. La Steaua Bucarest vinse contro il Barcellona la sua prima Coppa dei Campioni. Protagonista assoluto, ed eroe della serata, Ducadam, portiere del club rumeno che riuscì a neutralizzare ben 4 rigori su 4.
E in Italia? Nel nostro paese è l’alba di una nuova generazione di imprenditori, è un momento storico che cambia radicalmente la visione del pallone e che porta, nel movimento, una rivoluzione a suon di miliardi di vecchie lire.
 
Il 1986 e Silvio Berlusconi
E’ il febbraio del 1986, e il Milan di Giuseppe Farina vive una situazione economica al limite del drammatico. È sull’orlo del fallimento e la Guardia di Finanza scopre ammanchi dovuti al mancato versamento dell’IRPEF. A quel punto arriva lui, il futuro cavaliere più famoso d’Italia. Silvio Berlusconi, proprietario di Fininvest, decide di acquistare il club rossonero, e con una strategia imprenditoriale, inizia il riassestamento societario che lo farà diventare uno dei club più forti negli anni a venire. Al suo fianco, da sempre, l’amico Adriano Galliani che diventa amministratore delegato del club, e nel ruolo di direttore generale Ariedo Braida. Scrisse Franco Loi: «L’entrata di Berlusconi non ha investito soltanto la squadra rossonera, ma tutto il mondo del calcio. L’azione del grande manager ha portato in un ambiente dilettantesco e troppo spesso fondato sul pressappochismo e sui capricci personali del padroncino di turno, il senso della suddivisione dei compiti, la distribuzione oculata delle funzioni, la serietà dello sport, ossia, come si è già più volte citato nel corso della presente tesi: il passaggio da “squadra calcistica” ad “azienda calcistica”»
La squadra c’è, si può dire che il predecessore Giussy Farina era riuscito comunque a tessere un fondamento solido come base di partenza. Alla corte del Barone Niels Liedholm stavano crescendo le future bandiere del club, persone come Paolo Maldini, Billy Costacurta, Filippo Galli, guidati mano nella mano dal leader Franco Baresi, la bandiera del Milan. Colui che era sceso in serie B e aveva riportato in alto in suo club. Berlusconi fa subito capire di che pasta è fatto, e l’anno del suo insediamento strappa alla Juventus Roberto Donadoni per una cifra vicina ai 10 miliardi di lire. Questo fu solo uno dei tanti acquisti che portarono il club a diventare competitivo a livello internazionale. Nella prima stagione da Presidente, ebbe un incontro/scontro folgorante. Il suo Milan fu eliminato in Coppa Italia dal Parma, la società emiliana era allenata da un giovane Arrigo Sacchi. Credo che il fatto di esser stato eliminato da una squadra che militava in serie B, avesse reso Berlusconi, particolarmente attratto dal mister di Fusignano, tanto che la stagione successiva decise di farlo sedere sulla panchina del suo Milan.
 
Arrigo Sacchi – per ¾ Italiano e ¼ olandese
Ho dei ricordi contrastanti su Arrigo Sacchi, sicuramente, per il tifoso milanista, ha rappresentato il cambiamento, Colui che ha portato in alto i colori rossoneri. Il suo 442 tutto olandese, grazie agli acquisti miliardari di Berlusconi, che portarono Van Basten (in scadenza con la sua squadra), Gullit e Rijkaard, stupì e conquistò l’Europa dopo ben 20 anni dall’ultimo trionfo targato Nereo Rocco portando al trionfo la sua squadra per due anni consecutivi. Troppo facile parlare di numeri e trofei quando si scrive un articolo, basta aprire wikipedia, cercare la sezione palmares e via con la lista della spesa: 1987-1988 Campionato; 1988-1989 Supercoppa Italiana e Coppa Campioni; 1989-1990 Supercoppa Uefa, Coppa Campioni e Supercoppa Intercontinentale; 1990-1991 Supercoppa Uefa e Supercoppa Intercontinentale.
Come fai da milanista a non essere fiero di un tecnico così? Ma io non sono un tifoso rossonero, ho da sempre tifato Lazio, e ogni due anni sostenevo la nazionale. Per me, Arrigo Sacchi, ha rappresentato le prime cocenti delusioni in ambito calcistico. Avevo quasi 6 anni quando con mio padre andai a vedere la mia prima partita allo stadio, guarda caso Lazio Milan. Un freddo raro, 14 gennaio sui gradoni dello Stadio Flaminio. Ero così emozionato che non avevo chiuso occhio la notte. Appena giorno, mi diressi subito in cucina a fare colazione con mia madre e mia sorella, e poi a prepararmi perché andavamo allo stadio. Non era come oggi, le partite al tempo o le vedevi allo stadio, o le sentivi per radio, oppure aspettavi 90esimo minuto per vedere azioni e gol. Neanche a dirlo, quella domenica la Lazio uscì sconfitta, e nonostante fossi deluso per il risultato, per quella domenica fu indimenticabile. La seconda cocente delusione, invece, accomuna l’intero tifo italiano, quella maledetta finale di USA 94, quando con una nazionale nettamente superiore, venimmo sconfitti ai rigori dal maledetto Brasile.
 
Don Fabio e la sua parrocchia
Tornando all’era Berlusconi, si può dire senza rischio di smentita che fu il periodo più trionfale che una squadra di calcio italiana abbia mai vissuto nella propria storia. Emblematica la foto dove viene ritratto con tutti i trofei conquistati nella sua era. Di certo, la capacità imprenditoriale messa in atto anche in ambito calcistico, portò a quei risultati. La scelta di allenatori vincenti come Capello prima, e Ancelotti poi, è stata il chiaro segno di come negli anni, la struttura aziendalista con a capo Adriano Galliani abbia funzionato in modo praticamente continuativo. Abile e perspicace nel capire quando un ciclo stava finendo, e quali azioni mettere in campo per entrare subito nel nuovo. Chiaro esempio di questo fu l’avvicendamento in panchina tra Arrigo Sacchi e il giovane Fabio Capello.
Fu una sorta di continuum visto che, comunque, il tipo di gioco era lo stesso. Entrambi amanti del 442, entrambi con uno zoccolo duro in difesa che ormai aveva una sua fisionomia ben precisa, entrambi pragmatici e concreti. Il cambio quasi non si avvertì, quel Milan era una squadra costruita per vincere, e il mister friulano non deluse le aspettative. La stagione del suo esordio portò in gloria il Milan concludendo la stagione al primo posto senza mai subire una sconfitta. La dimensione data alla sua squadra, certamente era molto più nazionale rispetto al suo predecessore, con la conquista di 4 scudetti in 5 stagioni e di 3 Supercoppa Italiana. In campo europeo trionfò una sola volta in Champions League battendo per 4 a 0 il Barcellona, e una sola volta in Supercoppa UEFA.
Al pari di un’azienda che viveva di cicli regolari, anche il mandato quinquennale di Fabio Capello era giunto al termine, ma quello che accadde dopo fu imprevedibile. L’azienda perfetta si inceppò, e per sei anni, il toto allenatori mise in dubbio le capacità di Adriano Galliani. Ad esclusione dello scudetto 1998-1999 con la guida del tecnico Alberto Zaccheroni, il Milan ebbe un periodo nero, nel quale provò addirittura a richiamare anche i suoi precedenti profeti senza però ottenere risultati soddisfacenti. Chi riuscì a dare nuovo lustro alla squadra fu Carlo Ancelotti, chiamato a risollevare le sorti della squadra dopo aver ben figurato sulla panchina di Parma e Juventus.
 
Carletto – il principe dei mostri
Sono gli anni 2000, per l’esattezza la stagione 2001-2002, quando Carletto arrivò nella sua Milano a sostituire il Sergente Turco Fatih Terim. In sette anni vince tutto, e fa tornare il Milan nell’olimpo del calcio europeo. Sono gli anni di Sheva, Nesta, Kakà, Ronaldinho, Pirlo e Seedorf. Anni in cui l’armata rossonera divertiva la platea.  Due Champions, due Supercoppe Uefa, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e un campionato. Carletto ha scritto in modo indelebile la storia del Milan, e dell’era Berlusconi. Lo ricordo come una persona estremamente educata. Il calcio espresso dalla sua squadra è stato entusiasmante, e faceva sorridere chi lo guardava, ma soprattutto chi lo praticava. I sorrisi di Sheva e di Kakà durante le loro esultanze, le corse sotto gli spalti di Pippo Inzaghi, malato di gol. Ma questa è una storia che abbraccia il nuovo millennio, e che ha visto come protagonisti eccellenti giocatori.
Sinceramente, sono abbastanza certo che se non fossi nato laziale, sarei stato del Milan. Da sempre una squadra che ho ammirato nel suo gioco, nelle persone che hanno vestito quella maglia e nel modo in cui per anni è stata gestita diligentemente. Strano ma vero, detto da un laziale che in realtà ha come gemellaggio la tifoseria interista, eppure per me, gli anni degli olandesi prima, e dei brasiliani poi, hanno suscitato un discreto fascino. Sebbene continui a ritenere la mia Lazio del 1999-2000 la squadra più forte di sempre, quel Milan aveva un qualcosa di unico. I campioni che hanno vestito la maglia rossonera erano fantasia e potenza allo stesso tempo. Invidio il fatto che il Milan abbia goduto di bandiere così illustri come Maldini e Baresi. Invidio il fatto che il difensore simbolo della mia Lazio, Sandro Nesta, abbia concluso la sua carriera lontano dalla sua città, lontano dalla sua Lazio, lontano dai suoi tifosi. Invidio tutti quei trofei alzati negli anni. E invidio quei Palloni d’Oro, Van Basten, Gullit, Weah, Kakà, Shevchenko, Papin, Ronaldinho, certo, gli ultimi due erano con altre squadre quando li vinsero, però hanno orgogliosamente vestito la maglia rossonera, aumentando il lustro di cui questo club può vantare.
Quando penso al Milan, forse perché sono di una generazione andata, penso all’eleganza, penso a come abbia cambiato il modo di interpretare il calcio, e lo spirito innovativo che ha portato. Penso stranamente anche ai Queen e alla loro Bohemian Rhapsody, già perché quella è stata LA CANZONE, la perfezione e il connubio di diversi stili musicali che accorpati insieme hanno dato vita ad un capolavoro della musica. Così è stato il Milan, la connotazione europea ha sicuramente giovato a tutto il movimento italiano, ha fatto sì che altre squadre puntassero ad ambire a ciò che per molti anni è stato un dominio di calcio Inglese e Spagnolo, senza non ci sarebbero stati i vari Sensi, Cragnotti, Moratti. Berlusoni è stato il Steve Jobs del calcio moderno. Senza lui, non ci sarebbe stato quel decennio epocale che cambiò le sorti del calcio italiano in ambito europeo. Meriterebbe un capitolo solo suo Adriano Galliani, perché se tutto ciò è stato possibile, sicuramente è merito del suo attaccamento alla maglia, memorabili le sue esultanze che andavano sistematicamente in onda durante Quelli che il calcio. Sarò ripetitivo, ma il calcio è cambiato grazie a loro, anzi grazie a LUI.
 
Quindi, GRAZIE MILAN, è ANCHE MERITO TUO SE HO POTUTO FESTEGGIARE LO SCUDETTO DEL 99-00 DELLA MIA AMATA LAZIO.
 
E.D.M.