Ho visto
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano
Nel mondo che hanno già dentro alle notti che dal vino son bagnate
Dentro alle stanze da pastiglie trasformate
Lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade dio è morto
Nelle auto prese a rate dio è morto
Nei miti dell’ estate dio è morto.
 
Sono le 8:00. La sveglia inizia la sua cantilena. Fastidiosa, petulante e ripetitiva come sempre. Le otto. Oggi non è tardi, è venerdì, mi sveglio più tardi. Non vado in ufficio, sono di turno per il mio secondo lavoro. Già, noi né dotti e né dottori a volte facciamo due lavori. Ho 36 anni, e per buona parte della mia vita ho bighellonato, o come si dice a Roma, ho cazzeggiato. Potevo avere tanto, ma ho ottenuto di più. Un figlio a 24 anni e un altro in arrivo a breve. La vita è stupenda. Abbraccio l’amore della mia vita. In grembo, nostro figlio. Sapete, ieri abbiamo fatto la nuova ecografia, il termine è quasi giunto e lui è una roccia. Qualche cosina da controllare, è pigro nel fare la pipì, dicono i dottori. Ma è comune come per tutti i maschietti, e quindi, dobbiamo prestare maggiore attenzione ad alcuni dettagli. Ah l’amore mio, la mia salvezza. Se non ci fosse stata Lei.
Oggi che giorno è? Ah sì, è 18, per fortuna il 17 è già passato di qui. Ma la sveglia da quanto ha già suonato? Bah, chi lo sa… forse 10 minuti, quindi non sono più le 8:00, bensì le 8:10. Amore, sei la mia vita. Siete la mia vita! Si cucciolo, parlo con Te (si muove, scalcia, e mi fa sentire che lui è già qui, è vivo, sta bene. Vuole conoscerci, ed ha fretta di farlo). 
Ma tu che gioisci con poco, che ne vuoi sapere di tutto questo? Lascia perdere, non fa per te. Non ci sono studi né dottorati che tengano per spiegare queste cose. Bravo hai vinto, ma hai perso!
Il trofeo della critica è un punto di partenza! Dici? Ho avuto realizzazioni a 24 anni che voi dottorandi nemmeno a 36!
Io vivo, e tu? Hai per caso visto su qualche libro cosa si prova quando nasce un figlio? Durante un tuo master? E dimmi, il tuo CV annovera un figlio o una emozione così forte?
8:20, dai Emanuele, dai un bacio al tuo piccolo che verrà. Un TI AMO sussurrato e di corsa sotto la doccia.
Fantacalcio, fantacalcio, fantacalcio. Che ho fatto? Pareggiato, maledetto Mk, non la smette mai di segnare questo Armeno. Emanuele ma che fai, scrivi un blog e parli di calcio? Come osi, non hai i requisiti. Il tuo percorso scolastico e il tuo background lavorativo non te lo consente.
Ore 9:00. Aveva ragione Remigio! Ma che ne sai tu del Prrincipe di Piazza Barberini. Si, c’era un Primcipe, ma che tale non era. Molti lo scambiavano per matto, ma forse era il più sano di tutti. Miti e leggende aleggiavano in capo alla sua figura, le più gettonate, che fosse un ricco imprenditore impazzito a seguito della morte prematura della figlia e di suo fratello in un tragico incidente, oppure che fosse un direttore di banca impazzito a seguito di una rapina. Dio è morto, Dio è morto. Urlava agitato vicino alla fontana del Bernini. Il suo stile era unico. Delle finte antenne sulla testa come se volesse intercettare qualche comunicazione proveniente dallo spazio. Un signore distinto, con un mezzo frac e la cravatta. Fogli di giornale attaccati addosso, a volte il Corriere della Sera, altre il Messaggero. Sempre con Prodi o Berlusconi in prima pagina. Nel 2001, per una settimana, aveva portato la prima pagina del Corriere dello Sport, ROMA – CAMPIONE D’ITALIA; ROMA PAZZA DI ROMA. Già, Remigio era romanista, di quello doc! E parlava… quanto parlava. Quando uscivo di scuola spesso allungavo appositamente fino da lui. Mi ci intrattenevo, non vaneggiava solamente, spesso parlava del governo. Metteva sull’attenti la gente su quanto questa società fosse corrotta. Ce l’aveva soprattutto con Prodi e con il futuro Euro. Ogni tanto, compravo due tramezzini da Pepis bar (i tramezzini più buoni di Roma? Da Pepis Bar Emanuele – così diceva mio nonno), uno per lui ed uno per me, e pranzavamo insieme. BELLA REMIGIOOOOO, AH GRANDEEE. Era una istituzione, chi passava di lì, lo salutava sempre, ma non a mo’ di scherno. Ma per rispetto, il rispetto dovuto a chi in quella piazza, era il padrone, il Principe eletto dalla gente del quartiere. E lui per tutta risposta un canto, una danza da pazzarello, ed infine una pernacchia con inchino.
Se solo fosse ancora vivo… Ha accompagnato la mia adolescenza, dalle medie sino alla fine del liceo, Istituto Sacro Cuore Trinità de’ Monti. Avrò percorso Via Sistina migliaia di volte, e ogni volta che giungevo al semaforo di piazza Barberini, lo trovavo lì. Sempre felice. Solo per un periodo fu assente, un breve periodo. Quando lo rividi aveva dei lividi, poverino era caduto dalle scale. Non gli ho mai detto addio. Oggi, in tanti spendono parole per persone mai conosciute, si dilungano in incredibili e mirabolanti ricordi di quando si era bimbi, cinque anni avevo quando Pablito vinse la coppa del Mondo, parole vuote, fatte di buon italiano, buona dialettica, niente più. Remigio se ne è andato, e non torna più, con lui, via una parte della mia infanzia.
 
Mi han detto 
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell’ eroe
Perché è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato la dignità fatta di vuoto
L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio
Dio è morto
Coi miti della razza
Dio è morto
Con gli odi di partito
Dio è morto
Dio è morto.

Dai, è tardi, è ora di andare sul punto vendita. Devo fare 50 chilometri, e la giornata è lunga. Troppo lunga. In realtà, questa settimana non riposo. Tre giorni su punto vendita, e poi di nuovo lunedì in ufficio. Stringiamo i denti. Saluto il mio amore e il mio futuro pargolo. Prendo l’auto, percorro il primo chilometro e giungo al semaforo. Rosso! Strano. C’è qualcosa di strano nell’aria oggi.“

"Ascoltami, i poeti laureati 
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.”
Al semaforo non c’è la solita persona. In realtà ce ne sono sempre due che si alternano. Un clochard scalzo con abiti logori con il suo inseparabile bicchiere di carta, ma è troppo presto per lui, fa freddo. Un lavavetri dallo sguardo triste. Che finaccia hanno fatto, venuti in Italia per trovare la loro America, ed invece, abbandonati sul ciglio della strada, provano a racimolare qualche spiccio per portare a tavola un pasto caldo. Avranno dei figli? Chi lo sa…
Oggi c’è un signore distinto, ma stanco. Gli occhi di chi ha vissuto tanto, sofferto molto. Di chi non è stato mai compreso. Un vecchio soprabito con l’asola logora. Due toppe scucite, e un paio di scarpe vecchie mille e più chilometri. In mano ha solo dei fogli scritti di suo pugno, nessun piattino o bicchiere per l’elemosina. Sul volto si riconosce uno sguardo troppo fiero per una persona in cerca di pochi spicci. Mi ricorda tanto Remigio. È tardi, ma non fa nulla. Mi fermo, e tra gli occhi increduli della gente, mi avvicino a Lui. Salve Signore, vuole un caffè o qualcosa di caldo signore? L’uomo non è avvezzo a tanta generosità, mi guarda come se fossi un folle, una persona strana da studiare. Esatto, fin dalla mia prima parola i suoi occhi si sono stretti in due fessure minuscole, come se stesse cercando qualcosa che non va in me, eppure è lui quello infreddolito, è lui quello con abiti logori che vagabonda tra le auto ferme ai semafori recitante una poesia a me nota, ma che al momento, ancora non rammento. La ringrazio giovine, un tea e due parole, questo è quel che mi basta per non avere più questa sensazione di freddo.
Sorseggiando una bevanda calda iniziamo a parlare e lui racconta. Io, completamente rapito da costui, lo osservo. Tu hai vissuto, gioie e dolori fanno parte della tua vita. Hai tanto da tramandare, ed io sono qui. Ti ascolto.
Sei merce rara ragazzo mio, oggi la gente non si ferma più a riflettere. Oggi è cambiato tutto. Pensa, io non ho un master, non ho una laurea, ma ho avuto per tutta la vita una valigia fatta di sogni e di parole. La cultura me la son costruita sui libri, ma ancor più per la strada. Ascoltare, questo è stato il mio mantra. Ascoltare chi ne sapeva più di me, ma ancor più chi, in apparenza, non aveva nulla da dare al mondo. E sai perché? Perché sono loro che custodiscono le più belle storie che si possano sentire. Con che patos può raccontare una storia chi l’ha già narrata 1000 e più volte? Immagina invece chi non è mai stato ascoltato. Quanta voglia avrà di parlare, di essere ascoltato, di dire la sua verità. E non importa che quel che dice tu già lo sai. Da lui imparerai l’emozione del parlare, ma solo se vorrai ancora essere uno studente e non semplicemente il suo maestro, perché tale non sarai mai se non capisci il legame che lega l’alunno al suo mentore. Il problema di oggi sono i dotti che si sentono superiori a tutto e tutti per via di un titolo universitario. Certo, è importante, ma se il tuo ego è più grande di te, se pensi che un uomo semplice non possa insegnarti la semplicità, allora quel titolo, per te, sarà solo un pezzo di carta.
Hai ragione. Se quel pezzo di carta fosse tutto, oggi gente come Enrico Mentana, invece di essere uno dei più apprezzati giornalisti, potrebbe fare al massimo il giornalaio. Steve Jobs e Mark Zuckerberg, al massimo, ricoprirebbero il ruolo di commessi all’interno di qualche negozio di elettronica, forse della Olivetti. Dove è scritto che oggi possano parlare solo i referenziati?
Se così fosse, io sarei un vagabondo qualsiasi, e oggi sarei qui con te a prendermi veramente un tea caldo. Solo gli arroganti possono avere questi pensieri. Solo chi nella vita pensa di essere un Dio.
Già, Dio. Bella storia anche la sua e di suo figlio. I Farisei ragionarono così al tempo. Come osa costui a parlare nel nome del Signore. Con quale titolo! È un folle, anzi peggio, è un miscredente e un bestemmiatore. Alla croce! Non ha avuto il nostro percorso accademico, e dunque non può essere degno di parlare al Tempio. Merita di morire.
Questo capita a chi argomenta senza averne il diritto cartaceo? Allora sono nei guai, oso scrivere di calcio senza però aver fatto studi di giornalismo. Parlo in un blog utilizzando come fonti, Wikipedia e Google. Altri, invece, scrivono così schematici da sembrare un televideo. Meglio gli ermetici, quelli che sanno scrivere come Montale, anche se ricordiamoci che se fossero valse queste stupide regole, a quest’ora, il poeta ligure sarebbe un vagabondo qualsiasi, che ai semafori intrattiene i viandanti motorizzati con somme poesie, e le sue raccolte, solo dei fogli scritti di suo pugno che distribuisce alla gente.
 
Ma penso 
Che questa mia generazione è preparata
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
A una rivolta senza armi
Perché noi tutti ormai sappiamo
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo dio è risorto
In ciò che noi vogliamo dio è risorto
Nel mondo che faremo dio è risorto
Dio è risorto
Dio è risorto
 
Tin-tin-tin-tin-tin-tin-tin-tin
La sveglia, di nuovo, ma che ore sono? 7:05. Era tutto un sogno, il mio amore no, lei e il suo pancino sono accanto a me. Circa un mese e Riccardo vedrà la luce.
Visto l’orario, sicuramente è già lunedì, è meglio se mi preparo, l’86 è puntuale. C’è odore di rugiada, il freddo è pungente. Il parco della Marcigliana, un’immensa carta velina di brina che lo ricopre. È arrivato l’inverno.
È lunedì, Dio è morto, ma poi è risorto. Francesco, comunque quello era Gesù, non Dio.
Chissà Guccini cosa avrebbe cantato… 

E.D.M.