Meteore e Meteoriti
È incredibile come a volte il calcio possa essere spietato. Passare dagli anni gloriosi nei quali si viene definiti “golden boy”, a finire nel dimenticatoio che calcio che conta. In realtà, questa, è una dinamica molto conosciuta nel mondo del pallone. Spesso ci siamo trovati di fronte a giocatori che potevano essere, ma che poi non sono stati. Vi faccio un esempio, quante volte abbiamo sentito parlare del futuro Buffon. Il caso più eclatante sicuramente è stato quello di Simone Scuffet, giovane dalle bellissime speranze, che a seguito delle prestazioni molto convincenti nella stagione del suo esordio in serie A, a soli 17 anni, aveva stimolato l’interesse dell’Atletico Madrid. Dall’alto della sua umiltà, e forse anche a causa del timore di lasciare troppo presto la sua Udine, rifiutò l’allora trasferimento. Mai scelta fu così sbagliata dal punto di vista sportivo. L’anno successivo al suo felice esordio, l’Udinese cambia allenatore e per Simone le cose cambiano repentinamente. Da possibile portiere titolare con buona benedizione di San Gigi da Carrara, si ritrova a fare il secondo a Karnezis, la scelta a fine anno è pressoché obbligata, scendere di categoria e farsi le ossa in serie B presso il Como. Le cose non andarono come desiderato, o meglio, la stagione fu vissuta da assoluto protagonista, ben 35 le presenze da titolare, ma troppi i gol subiti, e il Como retrocedette in serie C. La sicurezza mostrata il primo anno, svanita. Le incertezze, aumentate. Ritorna nella sua Udine, dove è costretto nuovamente a fare il secondo per due stagioni, prima nuovamente a Karnezis, poi ad Alvaro Bizzarri. La terza stagione non la porta a termine, l’Udinese acquista Musso come primo portiere ma un suo infortunio concede l’opportunità a Scuffet di rimettersi in mostra, purtroppo le sue prestazioni altalenanti non convincono mister e società, tanto che sul finire di gennaio viene ceduto in prestito alla squadra turca del Kasimpasa. L’anno seguente scende nuovamente nella serie cadetta ma nelle fila dello Spezia. Questa volta, le sue prestazioni sono convincenti, e aiuta il club ligure ad ottenere una storica promozione in serie A. Il presente è attualità, di nuovo nella sua Udine, nuovamente come secondo portiere. Forse, se quel giorno avesse accettato il trasferimento in terra Iberica, la sua storia sarebbe stata differente. Sia chiaro, è un ragazzo di soli 24 anni, e la carriera è ancora lunga. Forse paga la sua genuinità e il suo non voler crescere troppo velocemente. Testa, maledetta testa troppo riflessiva, e forse, troppo paurosa.
Tra le giovani promesse del calcio italiano che però non hanno avuto fortuna, sicuramente possiamo annoverare anche Giuseppe Rossi, però nel suo caso, a farla da padrone sono stati i continui gravi infortuni che ha subito e che ne hanno minato la carriera. Inizia oltre oceano, negli Stati Uniti, approda nelle giovanili del Parma, ma viene notato dal Manchester United che lo acquista nell’estate del 2004. Debutta anche lui a 17 anni in prima squadra, in una partita di League Cup. Resta ai Reds per due stagioni, poi viene ceduto in prestito prima al Newcastle, e poi al Parma. Benedetto questo secondo prestito in una sola stagione. Grazie ai suoi 9 gol in 19 partite, contribuisce alla salvezza della squadra ducale. Si fa notare nuovamente, il Parma, così come molte altre squadre lo vogliono, ma a decidere per lui è la sua squadra di Manchester. Viene così ceduto al Villareal per 11 milioni. Trova la sua dimensione, trova la sua continuità e tanta fiducia. Diventa una bandiera del club. Purtroppo, però, nell’ottobre del 2011, durante la sfida contro il Real Madrid si procura la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Sei mesi di stop! Pronto per tornare in campo, durante un allenamento, il ginocchio già operato fa nuovamente crack.
Il campo lo rivedrà solamente il 19 maggio del 2013, ma con la maglia della Fiorentina visto che nel mercato di gennaio, la squadra di Firenze acquista il cartellino del giocatore nonostante ancora infortunato. Purtroppo, la sua avventura sulle rive del fiume Arno è altalenante, così come la sua condizione atletica. Durante la preparazione atletica in vista della stagione 2014-2015 subisce un nuovo infortunio, nuovamente su quel maledetto ginocchio destro, e a causa anche di una cattiva gestione fisioterapica, non scenderà mai in campo.
Nel frattempo, sulla panchina toscana arriva il tecnico portoghese Paulo Sosa con il quale il giocatore non riesce a instaurare un buon feeling, e decide quindi di tornare in Spagna in prestito, questa volta nel Levante. 17 partite e 6 gol, che però non aiutano la squadra ad evitare la retrocessione. La stagione seguente decide di rimanere nella Liga, e si accasa nel Celta Vigo. Si vede che non è più il giocatore imprevedibile di una volta, le sue prestazioni non convincono, e ad aggravare ulteriormente la situazione, quasi al termine della stagione, arriva l’ennesimo infortunio, questa volta a cedere è il ginocchio sinistro. Quel che viene dopo è poca cosa, prima il Genoa, poi una squalifica per doping, ed infine il ritorno in America. Se a pesare sulla carriera di Scuffet è stata la testa, in questo caso l’ago della bilancia sono stati gli infortuni che hanno sicuramente privato il calcio di un talento vero.
A questo punto dell’articolo vi chiederete dove voglio andare a parare. Giustissima riflessione.
Non voglio assolutamente tradire le vostre aspettative, e voglio arrivare al punto. In realtà, questi giocatori di cui ho appena parlato mi servivano per far capire come, alcune volte, la carriera di un giocatore subisca dei bruschi rallentamenti per diversi motivi. Ho citato due casi, uno di un giocatore in erba dalle belle speranze che però non ha avuto il coraggio di osare e di credere in sé stesso, e un altro invece che in sé stesso ha creduto molto, ma non solo, ha anche avuto i giusti riconoscimenti, ma che solo gli infortuni e la sfortuna hanno frenato.
Altre volte, invece, ciò che interrompe una carriera fatta di successi è l’atteggiamento sbagliato. Non è un caso che la persona di cui parlerò adesso abbia fatto anche lui il suo esordio in serie A a 17 anni.
 
Le origini
Questa è la maxi-storia di come la mia vita sia cambiata, capovolta, sottosopra sia finita seduto su due piedi qui con te ti parlerò di Mario superfico di Bel Air…
Ve lo ricordate anche voi Willi il principe di Bel Air, era la storia di un ragazzo che dalla periferia arriva a casa degli zii nella famosa Bel Air, e da quel momento, la sua vita non fu più la stessa. Migliorò sotto ogni aspetto.
La storia di Mario presso a poco è la stessa, anche se ben più drammatica nelle dinamiche familiari.
Nasce a Palermo nel 1990, da una famiglia di immigrati Ghanesi. A soli 3 anni, per esigenze lavorative del padre, cambia città e si trasferisce a Brescia. Lì la sua vita cambia radicalmente. A causa dei problemi economici della famiglia, e delle cure di cui necessità nei primi anni di vita, la famiglia dovette ricorrere ai servizi sociali, che decisero per Mario l’affido familiare alla famiglia Balotelli. Sicuramente, questa sarà una delle cose che poi in futuro incideranno molto sul rendimento mentale del Mario giocatore, o almeno questa è l’idea che mi sono fatto. Perché? Semplice, originariamente l’affido era circoscritto alla settimana, nei week end, invece, faceva ritorno alla sua vera famiglia, ma con il tempo, il tribunale dei minori dispose l’affido definitivo in favore della famiglia italiana. La conseguenza di questa decisione ebbe un impatto notevole sulla vita di Mario, che nel tempo perse praticamente del tutto i contatti con il padre e la madre naturale. L’accusa fu proprio quella di averlo abbandonato, e di aver mostrato interesse per lui solo dopo aver raggiunto il successo con la maglia neroazzurra.
 
Mario e il calcio
Sicuramente uno dei prospetti più interessanti del calcio italiano. Un giocatore abile nel saltare l’uomo, nel tirare, proteggere palla e staccare di testa. Insomma, un giocatore capace di fare tutta la fase offensiva. Dominante per molti versi, e capace di vincere nelle sue prime tre stagioni da professionista, 3 campionati, una coppa Italia e una Champions League. Deve sicuramente la sua fortuna calcistica a Roberto Mancini, che vede in lui grandi qualità, tanto che nella stagione 2007-2008 decise di aggregarlo in prima squadra dopo aver dimostrato grandi cose in Primavera. L’impatto è di quelli che si fanno sentire, ma soprattutto che si fanno notare. Ride, si incredibile a dirlo, ride molto quando gioca, si diverte e fa divertire. Le prime due stagioni all’Inter volano in questo modo, mettendo in campo tutte le sue qualità. Sul finire della seconda stagione qualcosa si inceppa, non calcisticamente, ma a livello comportamentale. Inizia a mostrare quei lati del carattere che poi lo accompagneranno per il resto della carriera. Diventa irascibile e scontroso, soprattutto con il pubblico che inizia ad indirizzargli i classici ululati razzisti. Nel 2009 entra a far parte della sua vita professionale Mino Raiola, vincerà tre palloni d’oro, così disse di lui. Da quel momento Balotelli smise definitivamente di avere la testa sulle spalle, sebbene a fine anno venne insignito del riconoscimento European Golden Boy. Litiga con il nuovo allenatore, lo Special One Jose Mourinho, sul finire della stagione più trionfale della storia dell’Inter, e l’anno seguente viene venduto al ricco Manchester City dove ritrova Roberto Mancini. Sarebbe bello poter dire che nel campionato inglese finalmente trovò la sua dimensione, e ritrovò anche il sorriso ma non fu così. Anzi, a dirla tutta riuscì a litigare anche con Roberto Mancini per comportamenti fuori dalle righe, sia in campo che fuori, degne di un Bad Boy. Atteggiamenti sbagliati durante le amichevoli, scherzi di cattivo gusto in casa propria. E poi il gossip. Già perché quando diventi calciatore, devi stare attento a non trasformarti in divo, purtroppo per lui però questo passaggio è stato quasi immediato.
 
Da Golden Boy a Bad Boy
L’avventura inglese dura due stagioni e mezzo. Il City, stufo dei suoi atteggiamenti, decide di cederlo al Milan. Avvio entusiasmante, 13 presenze e 12 gol nei primi 6 mesi. La stagione successiva si conferma. 30 presenze 14 gol. Ironia della sorte, la stagione 2013-2014 è quella in cui stabilisce il proprio record di presenze in stagione, 30 in campionato, 41 totali. Nel frattempo, trova il tempo anche per litigare in TV con un mostro sacro del Milan, Boban. Maleducato, strafottente e troppo pieno di sé. Un po’ come il proprio procuratore. Già, perché Raiola con Mario vuole fare soldi, in realtà Raiola con ogni suo giocatore vuole fare soldi, raramente ha fatto gli interessi dei propri assistiti.
Altro giro e altra corsa, si lancia la pallina, si avvia la roulette e les juex sont faits, rien ne va plus, prossima destinazione Liverpool per 20 milioni di euro. Ecco, lì il feeling non è mai nato. Se a Manchester qualche sprazzo di calcio lo aveva fatto intravvedere, nella sua seconda avventura inglese la sua involuzione è totale, al punto che dopo una sola stagione viene rispedito al mittente, stavolta in prestito. Nemmeno la sua Milano però lo vuole più e decide di non riscattarlo alla fine di una stagione travagliata a causa della pubalgia.
Finita l’avventura inglese, e rinnegato dalla propria patria, l’astuto procuratore gli trova un ricco ingaggio in Francia, stavolta al Nizza. Lontano dai riflettori torna ad essere il Mario devastante che aveva dimostrato di essere nella prima fase della sua carriera, e tre stagioni prima al Milan. In due anni sigla 43 gol in 76 presenze. Addirittura, la Nazionale rivede in lui quella speranza spenta anni prima, già perché almeno fino al 2014 Mario era presenza fissa in casa Azzurri, ma il declino aveva avuto ripercussioni anche con la casacca azzurra.
A (new) star is born? Manco per sogno, cambio di tecnico, arriva Patrick Viera sulla panchina del Nizza, nuovi litigi, e nuova fuga, stavolta sempre in Francia sponda Marsiglia, sei mesi di lenta agonia in attesa di una risoluzione del contratto.
Il resto è storia recente. Lo scorso anno, ormai senza squadre realmente interessate a lui, Mario decide di tornare nella sua Brescia, nella speranza di ritrovare anche se stesso. Agli allenamenti, per lo meno all’inizio, sempre il primo ad arrivare. Tanto impegno e tanta volontà, ma si sa, quando rivarchi i confini tutti si aspettano qualcosa in più. Arrivato al Brescia come messia, disputa però una stagione anonima, che finisce addirittura con un bel fuori rosa in periodo di Covid. Ci sei cascato di nuovo? Credo proprio di sì, anche perché davanti aveva un presidente molto vulcanico, il mitico pirotecnico Cellino.
 
Why always me?
Già Mario, perché sempre te? Sei riuscito a darTi una risposta, oppure ancora non lo hai capito? Io spero che in questo lungo lockdown personale, tu sia riuscito a fare un’analisi introspettiva di quanto ti è capitato nella carriera da giocatore, e di aver trovato le risposte che hanno caratterizzato quella famosa domanda posta in maniera polemica mostrata dopo la doppietta contro il Manchester UTD, ai tempi della tua prima esperienza oltre manica.
Nessuno ha mai messo in dubbio le qualità di Mario Balotelli giocatore, o per lo meno, le qualità tecniche. Sei finito nel dimenticatoio del calcio italiano, e a me personalmente dispiace da morire. Mi ha esaltato per molti versi la sua strafottenza, figlia di una crescita avvenuta sotto le ali protettive di Ibrahimovic, ma Ibra è Ibra, mentre Mario è Mario. La differenza l’ha fatta la testa, perché per tenere botta ad uno come Mino, ci vuole testa, chiedere a Marek per ogni dubbio o perplessità.
E' triste pensare che l'apice della carriera di un giocatore così promettente sia stato il suo inizio. Doveva solo continuare a ridere, ed invece si è preso troppo sul serio ed ha seguito i consigli di chi forse, invece dei propri interessi, puntava più ai propri.
 
Questo pezzo su Mario lo avevo in testa da parecchio tempo, esattamente da quando lo ho visto varcare le soglie della casa del Grande Fratello, ma ho deciso di scriverlo solo dopo la sua firma per il Monza in serie B. Sono sincero, non vedo programmi spazzatura, anzi ho proprio vergogna a finire su quel canale. Ho provato un senso di sconforto per lui mentre camminava su quella passarella. Ho pensato immediatamente ad una frase… Mario, you know why!
 
E.D.M.