Un pallone, uno spiazzale, una radiolina. Non ci serviva altro. Il pallone era quasi sempre un Super Santos, raramente potevamo godere di un Tango o addirittura di un pallone di cuoio, magari uno coi pentagoni neri come quello di Holly e Benji. Lo spiazzale era di solito il Cavone, una strada senza uscita che ad una certa altezza si allargava e si riusciva a giocare anche in dieci. La radiolina era sintonizzata su Tutto il Calcio Minuto per Minuto, oppure su qualche radio napoletana che trasmetteva la diretta del Napoli. Anche quella domenica la tradizione era stata rispettata. Il Napoli andava male, anzi andava peggio: se avessimo perso a Parma, saremmo retrocessi matematicamente in serie B. Infatti l’umore non era dei migliori e anche le nostre giocate ne risentivano. Io, ad esempio, non ingarravo (“indovinavo” in lingua napoletana) un tiro decente manco a pagarlo oro; Fabiolino, arcigno difensore puteolano, veniva saltato con estrema facilità; Pinuccio, il nostro portiere che vestiva sempre la copia contraffatta della maglia di Batman Taglialatela, prendeva goal ad ogni tiro. Stavamo giocando da una mezz’ora e la partita era iniziata da un paio di minuti quando sentiamo la voce del radiocronista. “Interrompiamo dal Tardini, Parma in vantaggio! Goal di Hernan Crespo!”. Non ripeterò qui cosa augurammo a Crespo e quali considerazioni facemmo su sua madre, suo padre e tutta la sua stirpe fino alla settima generazione.
Eravamo tutti avvelenati, tutti tranne uno: Pinuccio era disperato. “Guagliù, ma vi rendete conto? La serie B… La serie B!”. La serie B non l’avevamo mai conosciuta. Avevamo avuto la fortuna di nascere in un’epoca in cui il Napoli vinceva campionati e coppe. Un periodo durante il quale al Tempio, così chiamavamo il San Paolo, giocava Diego Armando Maradona. Ogni domenica era una festa, una speranza di rivincita, un desiderio di magia. Quella domenica, invece, sarebbe diventata un incubo che oggi, a distanza di oltre vent’anni, fa ancora male. Finisce il primo tempo e comincia il secondo. Il Cavone si è riempito di altri ragazzi. Si mischiano le squadre e ci si organizza: chi perde, esce; chi vince, resta in campo. Di solito, quelle partite finivano in risse o in lividi: quella volta no, non c’era il clima giusto. Si giocava senza genio, come se fosse una banale routine domenicale. Non c’era magia, nessuno tentava una giocata o derideva un avversario. Se scaraventavo qualcuno per terra, poi gli porgevo la mano per aiutarlo ad alzarsi: eravamo talmente tristi che persino il fair play aveva preso il sopravvento! “Bellucci! Claudio Bellucci! Il Napoli ha pareggiato!”. La voce del radiocronista fu sommersa da un boato indescrivibile. La nostra partita si fermò all’istante: tutti esultammo e ci abbracciammo. Era il goal di un pareggio che avrebbe semplicemente ritardato l’inevitabile, eppure lo festeggiammo come se fosse una rete segnata in una finale di Champions. Pinuccio sembrò risollevato, per la prima volta durante quel pomeriggio lo vedemmo sorridere. La gioia durò poco, dieci minuti circa: su calcio d’angolo, Apolloni riportò in vantaggio il Parma. Lo sconforto ci avvolse, definitivamente. All’ottantesimo minuto di Parma – Napoli, il Cavone era immobile. Nessun pallone rotolava, nessuna voce si levava a chiamare una marcatura o a incitare un compagno. Eravamo fermi, seduti sull’asfalto, Super Santos in mano e radiolina al centro. Al minuto ottantasei arrivò la condanna: “Ancora Parma, ancora Crespo! Tre a uno per la squadra di casa!”, gracchiò il radiocronista. Era finita, ufficialmente: tornavamo in B dopo trentatre anni di serie A. Nessuno aveva la forza di aprire la bocca, fosse anche per far scendere tutti i santi da cielo. Sentimmo singhiozzare: era Pinuccio. Stretto nella sua maglia falsa di Batman Taglialatela, costata diecimila lire sulla bancarella, stava piangendo. Con compostezza, gli occhi bassi sull’asfalto, i guanti da portiere stretti in un pugno di dolore. 
Piangeva, Pinuccio. E pianse anche il vero Pino, quel Taglialatela che del Napoli è stato capitano e bandiera. Quel giorno, uscendo dal campo del Tardini abbracciato a Fabio Cannavaro, aveva le lacrime agli occhi e provava a nascondersi tra le braccia di un altro napoletano. Le immagini di Novantesimo Minuto sono cicatrici indelebili, che sanguinano ancora ogni volta che il Napoli gioca a Parma.
Ogni volta che ripenso al nostro Pinuccio, ovunque oggi sia.