Villarosa, provincia di Enna, regione Sicilia.
Un puntino nel mondo, un tassello di quel meraviglioso puzzle chiamato provincia italiana. Mille Borghi, mille paesini, mari e monti che s’intersecano tra paesaggi eterni, di case e di chiese, di piazze e fontane e stradine e trazzere, di vecchietti che passeggiano e giovani motorini che ruggiscono di speranza e adrenalina.
Mille vite, mille storie, mille mondi. Mille Comuni e una sola cosa in comune: le domeniche del pallone. Che poi domeniche non lo sono più, sono anche i sabati e talvolta, ma solo qualche volta, i venerdì. Però a me piace pensare che sia sempre e solo di domenica, quando l’aria è acerba, il paese è abbigliato a festa e la gente va al campo a vedere la partita. 

Sono le mie domeniche del villaggio, che racconto a VXL, finché VXL vorrà farmele raccontare. 

Il villaggio di questa domenica è Villarosa, paesino di mandorle e grano, che sta dentro una conca e sotto una montagna, che sta tra due fiumi, uno dolce e uno salato, che è caldo d’estate e freddo d’inverno. Cittadina di contraddizioni che convivono alla perfezione in un ecosistema desolato, cittadina dell’entroterra siciliano desolato, cittadina garibaldina desolata. Anche qui si gioca al pallone, anche qui i colori d’una maglia bianca indossata sopra calzoncini azzurri e calzettoni azzurri sono identità, passione e passatempo.
Anche qui il calcio è la resistenza estrema alla mancanza di soldi, strutture e ambizioni. Ma la squadra si deve iscrivere al campionato, a cavuci e muzzicuna e qualche porta a cui bussare, “Ché l’onorevole una mano ce la deve dare…”.

È il 4 marzo, si gioca, il campionato di promozione prosegue nella sua inedia di partite che sembran tutte uguali. Ma quella partita non è uguale alle altre, purtroppo no. 
Il campo è in terra battuta, le linee quasi non si vedono, non c’è sole che batte su palazzi in costruzione, ci sono nuvoloni che si addensano, spettrali, sul cielo. Quello di Sicilia è un cielo poco avvezzo al grigiore e forse anche per questo si mostra incerto ai pochi spettatori che si assiepano alla rinfusa dietro ringhiere arrugginite, guadagnandosi un angolo di visuale tra cartelloni pubblicitari appesi a mezz’altezza, per gentile concessione di minuscole aziende locali. 
Quel campo è il polveroso tappeto incolore su cui galoppano i cavalli da terza ruota del Villarosa, quando giocano in casa (a pochi passi da Enna) e si contendono punti e media inglese d’una classifica da migliorare a tutti i costi. Perché quel terzultimo posto è un pugno allo stomaco e “I picciotti oggi ce la devono mettere tutta”. 

I picciotti sono calciatori consumati dall’anagrafe che adesso ridono dentro un bar e qualche ragazzino che ancora sogna un amore non corrisposto. E raccontano, a calci e morsi (pure loro), una delle infinite domeniche del villaggio a tifosi conosciuti ad uno ad uno; che tifosi lo sono fino al midollo osseo e che prima d’officiare il rituale del calcio patinato in tv, fanno il proprio dovere di villarosesi e riscoprono l’orgoglio immotivato delle proprie origini. Vanno al campo, tifano, imprecano, gioiscono, stanno vincendo. 

È la domenica del villaggio, quel villaggio è una cittadina di cinquemila abitanti, tutt’altro che ridente, che anzi piange, piange di vergogna. Nel campo, lì, non cresce l’erba; fuori dal campo uguale, perché lì, a Villarosa, non cresce erba né lavoro, lì c’è tutta la fatica d’un quotidiano da conquistare, lì c’è tutta la noia dell’entroterra siciliano. Lì è “dove si perde il giorno” alla ricerca di speranze sempre future. Lì, quel 4 Marzo, il calcio è morto. 

“Siamo un’associazione che dal 2013 si occupa dei ragazzi del nostro territorio, dai primi calci in su; e non abbiamo mai avuto episodi di questo genere. In tre minuti ci siamo visti crollare un decennio di attività. Il ragazzo che ha aggredito l’arbitro non ha mai commesso nessun atto di violenza in tutta la sua carriera di giocatore: è con noi sin da ragazzino”. Queste sono le parole di Silvia Zangara, la presidente del Villarosa - calcio, la società che ha in questi giorni “conquistato” la ribalta della cronaca sportiva, e del web, per l’aggressione all’arbitro da parte di propri tesserati.
La partita è quella valevole per la 22esima giornata, contro i “messinesi” del Pro Falcone, ultimi in classifica. Una partita che finisce 1-1, ma il cui risultato non verrà omologato dal giudice sportivo. 
Siamo nei minuti di recupero, i bianchi padroni di casa sono in vantaggio di un gol. Ma arriva il pareggio degli ospiti, arriva nei minuti di recupero, arriva  all’ottavo minuto di recupero. Affronto! Qual arbitro più insolente può mai aspettare fino all’ottavo minuto di recupero e permettere agli ospiti di pareggiare? Gravissimo! Non si fa. 
L’arbitro insolente è David Bartolotta, della sezione di Palermo. Anche lui insegue un sogno o forse solo la manciata di euro che gli servono per arrotondare chissà quale stipendio, se ce l’ha. Ha 22 anni, David, è mingherlino, una faccia pulita, un fischio onesto, evidentemente troppo onesto per soggiacere alle becere logiche della sudditanza. Lui fischia quando c’è da fischiare, nel bene e nel male. E del resto, che ci potrà mai essere di male? In fondo, è solo una partita di pallone, no?
No!

Non è solo una partita di pallone, è il male. Quel male oscuro che alberga nell’ignoranza e nelle indoli violente e che sfoga nel pallone, come una peste bubbonica senza cura. Quel male oscuro che si nutre della noia di chi non ha nient’altro che un arbitro da aggredire e un pallone da calciare. Quel male che è humus per la cultura della prevaricazione, della sopraffazione, del dominio violento sul più debole. Quel “male incivile”, direbbe Giovanni Falcone, che ha ammorbato di prepotenza una Terra bellissima. E sì che “diventerà bellissima”, ma quando? 

David è dovuto letteralmente scappare via dal terreno di gioco, dopo essere stato minacciato, strattonato e aggredito da alcuni giocatori e dirigenti della società villarosana. Bestie arrabbiate che schiumavano, sotto gli occhi increduli di donne e ragazzini e sopra il corpo del povero arbitro, preso a pugni e a calci. Era solo, David. Solo contro tutti e contro quella sua stessa divisa, che mai gli era stata così stretta, così scomoda. 

È la domenica del villaggio, anche questa. Senza donzellette, senza armonia, senza poesia. Una domenica bestiale, ma nel più vero e stretto senso della parola. 
Un episodio ripreso in diretta e pubblicato sul web.
E la giustizia sportiva ha fatto il suo corso (secondo me non fino in fondo), squalificando per 5 anni i giocatori Marco Ferrara e Youssef Mardi e per 3 anni Lamine Mohamed Dabo.
Troppo poco! La giustizia sportiva doveva squalificarli a vita, perché costoro non hanno niente a che fare con lo sport e non ci devono avere più niente a che fare: perché non c’è clemenza o indulgenza che tenga a fronte di un’azione così indegna. Hanno massacrato di botte un arbitro di calcio, hanno stuprato il calcio, la sua magia, la sua stessa essenza di sport. Sono bestie che in un campo possono starci solo per ararlo (con tutto il rispetto per gli animali che a tale scopo servono davvero). E non era nemmeno domenica, era di sabato, ma cosa importa? Cosa cambia? Niente, non cambia mai niente. Sono scene viste e riviste, a cui però non ci si può abituare. Non ci dobbiamo abituare.

E non dobbiamo voltarci dall’altra parte, tantomeno plaudire alle parole di circostanza, che non servono a niente, è tutta fuffa melensa e talvolta fastidiosa. Come quelle, inopportune, della presidente del Villarosa. Signora Zangara, ha perso un’occasione per tacere. Anziché prodursi in un comunicato stampa - fiume, pieno di parole spropositate - avrebbe dovuto dirne solo una, di parola, e poi tacere. Non c’è bisogno che le suggerisca quale sia quella parolina magica, che pure ha pronunciato alla fine di quel comunicato, quindi la conosce; c’è forse bisogno che io invece le faccia notare come non ce ne freghi un accidente dei suoi dieci anni di attività, del fatto che uno degli aggressori non avrebbe mai commesso altro atto di violenza, del fatto che il vostro mister abbia aiutato l’arbitro (ci mancava pure!) e di idiozie simili. E inoltre no, signora Silvia Zangara, presidente del Villarosa, no: non c’è stata nessuna esagerazione mediatica, perché una vergogna del genere merita tutti, ma proprio tutti, gli orrori della cronaca. 

E (redazione permettendo) ha costretto me a inaugurare questa mia umilissima e personalissima rubrichetta, Le domeniche del villaggio, raccontando non uno dei tanti stupendi “villaggi” che la provincia “pallonara” del nostro Paese ci regala, ma un sabato bestiale. 

Riporto allora le parole della mamma di David Bartolotta, Carmela Riolo: “Auspico che gli episodi di violenza, che hanno caratterizzato le ultime domeniche calcistiche dilettantistiche, siano da monito per tutta la società civile, affinché si impegni a coltivare i veri valori dello sport che sono l'aggregazione, la socialità, la condivisione, la sana competizione, l'osservanza delle regole quale presupposto, appunto, per un giusto e rispettoso confronto e non certo per  l'aggressività, la violenza e la prevaricazione. La garanzia di questi valori è un dovere delle istituzioni a tutti i livelli, affinché si possa costruire una società che sia degna di essere considerata civile".
Capito, presidente? 

Infine, un auspicio: che il nostro arbitro torni presto a dirigere una partita.
David, non possiamo dargliela vinta. Proprio no! Aspettiamo di udire ancora uno dei tuoi fischi onesti, che sia sabato o sia domenica. Che sia lo sport, punto e basta.