Segue ...

qui per la parte I

Lunedì - La cabina telefonica
Quel lunedì c’era nell’aria quella particolare sensazione di positività, che, per quanto indefinita, è perfettamente percettibile, l’avverti, la senti, la respiri. La pioggia batteva forte sulle strade, sui marciapiedi maculati di chewing-gum e passi d’ogni età, sui portoni scrostati dal tempo, sulle automobili, sugli alberi che autografavano il selciato ingiallendolo di foglie. Cadeva la poggia e bagnava il Viale di uggia e grigiore invernale.
Ma l’umorismo generale non ne risentiva. La vittoria della Mediatrice era ancora sulla bocca di tutti. L’aver battuto la prima in classifica, l’aver conquistato due punti importanti per non scendere in terza categoria, la buona stagione della squadra, il gol della vittoria segnato da Tony, il ragazzino di “casa” nato e cresciuto lì, tra le strade del via Mediatrice Tutto merito, si diceva, di Mister Fifo: lo chiamavano tutti così, mio padre.
Ma non il Giornale di Sicilia, lì era semplicemente mister Mendola. Il Giornale di Sicilia è stato per anni il quotidiano più venduto e letto in assoluto in città e in provincia, almeno fino a quando internet non ha partorito quotidiani on line e notizie sui social, che finiranno per soppiantare del tutto il fascino insostituibile della carta stampata e il rituale del giornale comperato in edicola.
Ma questa è un’altra storia…
A quei tempi tutti leggevano il Giornale di Sicilia. E Il Giornale di Sicilia del lunedì, a quei tempi, era la Bibbia per tutti gli appassionati di calcio locale: c’era infatti un’amplissima sezione sportiva, dove si approfondiva tutto ciò che accadeva, dalla serie D alla terza categoria. Quel lunedì addirittura una mezza pagina era stata dedicata, con tanto di foto a colori della squadra, alla vittoria del giorno prima e, segnatamente, alla splendida rete di Tony Sodaro, «il ragazzino, appena sedicenne, che con un’incornata ha battuto l’incolpevole portiere della Cephaledium».

Tony era stato letteralmente scoperto da mio padre, il quale l’aveva preso dagli allievi e buttato in prima squadra. Smilzo e bassino di statura, era un vero rapinatore d’area di rigore, uno alla Paolo Rossi, per intenderci. Aveva due problemi, Tony: uno col piede destro, che usava solo per camminare; l’altro con la scuola e quello sì che era un problema, almeno per mio padre. Mister Fifo era stato chiaro: “Per ogni buon voto che mi porterai, ti garantirò una presenza in prima squadra da titolare”, il che voleva dire la gloria settimanale tra amici, conoscenti e parenti, dal momento che al Viale si venerava la Madonna Mediatrice, certo, ma la religione era il calcio. Tony frequentava il secondo anno di Ragioneria, il voto che gli era valso la convocazione e lo schieramento dal primo all’ultimo minuto (questa era esattamente la promessa) era stato un dignitosissimo 6 in Geografia, debitamente documentato e mostrato a mister Fifo; voto che lui aveva dovuto sudarsi, studiando di sera, dal momento che i suoi pomeriggi erano destinati al bancone della macelleria dello zio e, tre volte a settimana, dalle 18 alle 20, per gentile concessione dello stesso “principale”/parente, agli allenamenti.

Quel lunedì Tony era una specie di divo di quartiere, camminava per il Viale tutto impettito. Faccia al cielo e lieve dondolio delle spalle, dinoccolato e con l’allegrezza che gli velava il viso, sembrava la rivisitazione vivente di John Travolta nell’ultima scena di Stayin' Alive; e sì, andava a farsi il suo quartiere, almeno per quei passi che separavano casa sua dalla macelleria, dove anche quel pomeriggio, alle 16 in punto, avrebbe “messo mano”, lavorando fino alle 9 di sera. Ma prima di giungervi, si fermò alla cabina telefonica. Anche quello per Tony era un appuntamento quotidiano: dieci minuti prima di cominciare il suo turno, telefonava alla “zita”, in quell’esercizio, monotono e spesso monosillabico, in cui due che stavano insieme si scambiavano parole vuote, sciocchi sospiri e …. “Amo’, ci sentiamo stasera …”.

Quel pomeriggio, intorno a quell’ora, squillò pure il telefono di casa mia. A quel trillo sostenuto ed insolente, sospirai infastifdito. Credevo fosse quel cretino di Gianfranco Abbadessa, il mio compagno di banco che puntualmente dimenticava di segnare sul diario i compiti per l’indomani e altrettanto puntualmente mi telefonava per averli e sempre a quell’ora, sebbene sapesse che al riposino pomeridiano tenevo parecchio. Ma non era Gianfranco. Evidentemente il “bomber” (così chiamavamo Tony), dopo la telefonata alla fidanzatina, ne aveva fatta un’altra, dai rumori della strada era chiaro che chiamasse dalla cabina telefonica. Cercava mio padre, ma mio padre non c’era. Lavorava al Comune, per l’azienda che si occupava di nettezza urbana, tutte le mattine; di pomeriggio, invece, dava una mano alla mamma nel negozio di articoli sportivi. Mio padre e mia madre erano usciti da qualche minuto, perché il negozio riapriva alle 16 ed era a due passi da casa nostra. Tony mi chiese di riferirgli che aveva telefonato e, scusandosene, che avrebbe richiamato di sera, perché aveva una cosa urgente da dirgli. 

È così fu
Erano quasi le 21, eravamo seduti a tavola, davanti alla tv, dove la canzoncina di Lucio Dalla annunciava il film del lunedì sera…. Dabliude’… ta tta’ taratata’ …diureb diriduba’ … (l’avrebbe descritta così Marinetti, sempre lui).
Squillò il telefono, un telefono a disco, color grigio topo, messo sullo stesso ripiano del televisore Philips 36 canali, di fianco. Era Tony, mio padre lo salutò con un iniziale trasporto che pian piano degradò in sottaciuto disappunto. E per tutta la breve durata della telefonata non disse altro, solo un “Va bene, ne parliamo al campo” appena biascicato, prima di mettere giù.
Tornò a sedersi, finì di mangiare, finse di guardare la sua solita mezz'oretta di film (non resisteva mai più di tabnto, poi a letto). Noi non gli chiedemmo nulla, non ce n’era bisogno. Quando mio padre faceva così, significava che qualcosa lo turbava, ma noi sapevamo che non ne avrebbe parlato. Si chiudeva nel suo silenzio e basta.
Domani era martedì, ne avrebbero parlato al campo...