Il prode Chinè non demorde. Continua con i suoi accanimenti sulla famiglia a strisce bianconere e si inerpica in altri sentieri giuridici al fine di riuscire a colpire la società torinese. Quello che lascia sorpresi è il bandolo di motivazioni, piene di reati e di compartecipazione a delinquere di ogni tipo. Si potrebbe veramente accorpare il fardello giuridico verso una ben corposa condanna assicurata, in base a stipendi pagati, ma spostati in bilancio, o partnership con agenti e intermediari, attraverso i quali la Juventus non ha ottemperato ai bolli e ai tempi di deposito delle dichiarazioni e dei contratti, tutto questo a suo dire. Il pagamento di alcuni stipendi, in base ad accordi con i prestatori d'opera, ovvero professionisti e non solite maestranze, nonostante gli accordi e la situazione particolare, non danno diritto a nessuno sconto, nè attenuante. La pandemìa non è una scusa, anzi, è una risorsa per la procura federale, che allinea tra le sue fila molti dipendenti statali, per i quali lo stipendio arrivava anche se seduti sul divano, mentre per società di prestazione di opera professionale, con adibito spettacolo offerto al pubblico pagante i biglietti per continuare a vivere e sopravvivere, la vita era dura.

E se la Juventus riusciva lo stesso a pagare stipendi, contributi pensionistici e relative tasse, non vedo dove si possa trovare la malafede della società, che ha probabilmente fatto quello che in quel periodo hanno fatto molte aziende e molti soggetti privati: ha spostato alcuni pagamenti. Normalmente è un gentleman agreement, che riguarda l'azienda e i prestatori di prestazione professionale, quindi professionisti a tutti gli effetti, che hanno accettato la transazione. Magari ha pesato sulla decisione dei calciatori la situazione generale, con morti per un virus respiratorio e persone senza sussistenza e altre aziende meno fortunate che si sono poco alla volta ritrovate sull'orlo del fallimento, se non senza alcuna via d'uscita.  Ma imputare in una tale situazione una frode di bilancio, mi sembra un'esagerazione! Perché nessuno è scappato con la cassa, le tasse sono state pagate ed i contributi previdenziali ed assicurativi sono in regola con quanto dovuto. E c'è dell'altro, non è che i ritardi nell'invio dei documenti e del deposito dei contratti non fossero magari dovuti a forza maggiore? Mi spiego; se per caso siamo in lockdown e la circolazione delle persone è fortemente limitata, non è che ai fax o agli uffici della Federcalcio il personale era assente o seduto nel divano di casa?

E poi come si può imputare l'irregolarità di un'iscrizione ad un campionato, adducendo l'insussistenza delle poste in  bilancio, in base a importi francamente "bagatellari" rispetto al totale del patrimonio, e comunque appena ristorato da due aumenti di capitale, di ben 700 milioni di euro? Al massimo possiamo accettare una multa per violazioni amministrative, ma la tanto evocata slealtà, con la quale ci fanno pure il brodo, sembra una "porcata" giuridica. E se vogliamo essere precisi, in quel periodo e forse ancora oggi, alcune squadre di calcio non solo non hanno pagato stipendi, non hanno pagato contributi, hanno debiti per quasi un miliardo di euro, oneri finanziari (interessi) per cifre che nemmeno tre Champions League, in caso di vittoria potrebbero sistemare. In più c'è anche il loro presidente  che non riesce a rientrare in patria, altrimenti lo arrestano per i debiti delle sue società. E poi ci vengono a raccontare della nostra onestà? A proposito della lealtà e delle regole decubertiane, ci sarebbe qualche appunto da fare.  E mi riferisco al fatto che seppure il nostro Procuratore abbia fatto qualche passo in favore di patteggiamenti o accomodamenti per risolvere la questone, sembrerebbe che il Coni si sia opposto, richiedendo invece il dibattimento e l'eventuale sanzione ai danni del club di John Elkann. 

Bene, mi si lasci allora spiegare quello che la trasmissione Report ha recentemente portato a galla. In Italia ci sono almeno seicentomila istruttori che prestano la loro opera nelle più disparate associazioni sportive, tutte affiliate al Coni. Questo esercito di istruttori e professionisti si occupano di rugby, nuoto, atletica, ginnastica, ed un'inifinità di sport. Cos'hanno in comune questi signori o signore? La risposta è un contratto irregolare, nel quale la loro opera non viene pagata regolarmente, ma in più non hanno diritto nè a versamenti previdenziali e neppure a contribuzioni pensionistiche, per non parlare delle assicurazioni sanitarie. Il peggio è stato che, durante proprio quel disgraziato lockdown, costoro non hanno percepito nessuna remunerazione essendo un esercito di inesistenti, per l'Inps e soprattutto per il Coni. Naturalmente, ogni volta che l'ispettorato del lavoro li trovava, avveniva d'incanto la loro veloce regolarizzazione, anche perchè se si va da un giudice, la condanna per la società è sicura. Ma molti di questi "eroi" dello sport, ancora oggi, non denunciano la loro situazione, non per paura di ritorsioni, ma per l'amore che portano allo sport che insegnano. Ma il Coni, che parla di lealtà e giudica senza appello, è cosciente che questa è una vergogna che pesa sulle loro teste e che magari dovrebbero fare qualche "mea culpa" anziché additare la luna degli altri?  Certo, come diceva qualcuno, a pancia piena si ragiona meglio e si giudica senza problemi, e chissenefrega se gli altri soffrono! E' la vita, io sono stato bravo, e non fortunato, quindi gli altri non contano. Si lamentino, ma noi siamo intoccabili! 

Ed a proposito di intoccabili, è possibile che nel nostro panorama calcistico ci sia una tale discrasia su come si compone un collegio giudicante, ma soprattutto di come sono obsolete e inconcepibili alcune norme. Più che un regolamento adatto per società di diritto privato, con forti ripercussioni nell'ambito lavorativo e sociale, assomiglia al regolamento del torneo di calcetto della parrocchia, dove il parroco decide a suo insindacabile giudizio, e con il crisma della sua moralità. Per poi scoprire che va a letto con la perpetua! E una società quotata in borsa con miliardi di giri d'affari economici, centinaia di dipendenti e strutture di proprietà, non può essere giudicata nel teatrino di una partita di poker, dove uno solo distribuisce sempre le carte, gioca a carte coperte e obbliga gli altri a giocare a carte scoperte. In più ti minaccia di fare saltare il banco se ti opponi e richiedi giustizia presso altri soggetti che potrebbero ribaltare la situazione, non per benevolenza ma per il giusto processo e le garanzie di legge che qui vengono negate. Il ministro Abodi aveva già accennato la questione, ma il ministro Giorgetti ha anche appuntato quello che a suo dire è un'ingiustizia avallata da dirigenti calcistici ignavi e poco inclini alle nuove regole. E tra le cose impure ci sarebbero le nomine di dirigenti ed organi giudicanti poco trasparenti e facilmente debordabili in connivenze poco chiare. Ed il ministro ricorda anche la nomina di magistrati di corti varie, che si occupano forse più di sport che della loro attività principale, come se non ci fosse la possibilità di nominare persone competenti e soprattutto svincolate da interessi personalistici e di possibili influenze presso corti giudicanti collegate o possibilmente richiamate per i giudizi ordinari. In tutto questo vorrei dire che se un giorno si nominasse un giudice torinese, ed un collegio giudicante di persone nate al nord, magari leghiste, probabilmente con lo stesso schema, fossi un tifoso del Napoli o della Roma, comincerei a tremare.

Distinti saluti.