Sono Sergio X, da 38 anni giornalista sportivo, e dall'atterraggio del primo elicottero berlusconiano, fedele, puntuale e stimato Milanologo.
Per chi non lo sapesse, Milanologo è un neologismo, un termine coniato ad hoc, per indicare chi, come me, oltre alle competenze in tema di giornalismo sportivo, e di calcio in particolare, ha sviluppato nella propria ultra decennale carriera specifiche conoscenze del mondo rossonero.

Io ero, appunto, all'Arena Civica di Milano nel 1986 con il suono della Cavalcata delle Valchirie che sciabordava l'aria densa di pioggia, ero a Milanello quando Sacchi iniziava tra lo scetticismo generale, intervistavo Liedholm quando ci regalava la stella, ero alla Fininvest quando Berlusconi, che stravedeva per Borghi, fu convinto a mollarlo per ingaggiare il più forte centrocampista della storia del Milan: Frank Rijkaard.

Baresi, ricordando certi momenti di quel Milan inarrivabile, dichiarerà qualche tempo più tardi ai miei microfoni: "Era diventato impossibile essere normali: non potevamo essere una squadra come le altre".
Insomma, ero sempre sul pezzo e quello che non mancava mai, oltre ad una considerazione da parte della proprietà fuori dal comune per stima reciproca, era proprio il lavoro. Ma non perché avessi soffiate particolari da Ramaccioni, quanto perché le gesta rossonere costituivano una fonte inesauribile di notizie! Se il Milan era su Gullit, era perché aveva deciso di prenderlo e nessun'altra società al mondo poteva farci niente.
La comunicazione era franca, aperta e costante: cio' che si dichiarava era cio' che veniva effettivamente fatto da lì a pochi giorni; se c'erano dubbi circa una mossa societaria poco comprensibile al tifo, questa veniva prontamente chiarita senza possibilità alcuna di fraintendimenti.

Oggi è il 21 Agosto 2020; Pioli radunerà i suoi fra tre giorni ed il mercato è meno che immobile.
Sto cincischiando col tablet come faccio dall'anno del Signore 2011, quello dell'ultimo scudetto, in cerca di uno straccio di notizia, ma dalla mia tastiera escono solo gag poco credibili su quanto Gazidis sia fiero del Milan femminile o sulle disquisizioni di Scaroni che sostiene che senza uno stadio di proprietà non si può tornare a vincere; a tal proposito una domandina per il presidente ce l'avrei: "come mai i nostri odiati cugini, che lo stadio lo costruiranno con noi al cinquanta per cento e non ne posseggono alcuno, stanno per vincere l'Europa League? Non sarà che certe equazioni, cervellotiche e del tutto prive di fondamento, per pura disdetta, valgono solo per gli sfigati? Ma è una domanda che non farò mai! Mi verrebbe negato l'accesso in Sede e ne andrebbe della mia reputazione.

Anzi a pensarci bene le cose erano cambiate, e di molto, già dall'estate 2006, quando Sheva aveva deciso di andarsene e prese forma, per la prima volta, l'inizio della fine: portava il nome di Ricardo Oliveira. E non era solo l'inizio della fine di una cavalcata leggendaria, segnava i primi, costanti, inarrestabili scricchiolii, poi diventati crepe insanabili, tra la proprietà ed il resto del mondo, in primis stampa e tifo.
Non parliamo poi delle gestioni Lì ed Elliot, perché qua la comunicazione è cosa del tutto assente e sbarcare il lunario è diventato proibitivo per chi di mestiere deve scrivere ogni giorno con l'obbligo di stupire chi legge: l'impresa è semplicemente irrealizzabile.

No, certe considerazioni e il profondo sconforto che qua sto rivelando a voi pochi intimi, non potrei mai esternarlo in un editoriale. Scusatemi anzi per lo sfogo.
Va bene essere super tifosi, ma mi capirete: tengo famiglia...